Lezione di ieri: le formalità doganali per le barche sono lunghissime.
Venerdì 18/08/2023 Port Denarau (Fiji)
Torniamo al cantiere navale per aiutare a sollevare Valiant fuori dall’acqua, con la gru. Tirata in secco è veramente enorme, lo scafo nero con la deriva che curva all’indietro fa assomigliare la barca a uno squalo capovolto. Anche Avi ha la stessa impressione. Ora che la barca è in secco e saldamente puntellata, possiamo risalire a bordo con una scala a pioli.
Laviamo tutto con acqua dolce e poi ognuno per sè, in giro per il marina o nella piazza del porto turistico.
Ci ritroviamo alla sera, per preparare la cena. Ernests ha comprato da mangiare e gli hanno dato sette dollari di resto. Una banconota da sette dollari. Immediatamente pensiamo che ci siano anche banconote da 6, 8 e 9 dollari in circolazione, ma una breve ricerca online risolve il mistero. Queste banconote da 7 dollari sono state stampate nel 2017 per commemorare la vittoria del primo oro olimpico nella storia delle Fiji. Vale sette dollari perché la medaglia d’oro è stata vinta dalla squadra nazionale di rugby a sette. Non paghi, hanno persino vinto una seconda medaglia d’oro nel 2020.
La cambusa è piuttosto vuota, domani dovremo fare un altro giro in città per rimpinguare le scorte di frutta e verdura. Per ultima rientra Charlotte, che ha passato la giornata a stringere amicizie. Ha conosciuto una cameriera del ristorante del marina, che le ha proposto di ospitare noi quattro a casa propria per un prezzo modico. Il capitano sta semplicemente cercando di organizzare una sistemazione più comoda della barca. Per quanto mi riguarda la barca è una reggia, ovviamente, ma passare del tempo in buona compagnia è sempre ottimo, quindi sono d’accordissimo a cambiare alloggio.
Il giorno dopo ci svegliamo presto, per mettere mano al timone. Usando una drizza come paranco, il timone si può sollevare di quasi cinque millimetri, per permettere di estrarre la vecchia corda di canapa e martellare dentro la guarnizione nuova. Per arrivare là sotto, Charlotte si deve infilare in uno stretto spazio sotto il pozzetto, che sotto il sole mattutino diventa rapidamente un forno. Ovviamente la canapa è incastrata e per rimpiazzarla ci vuole più di un’ora. Poi inizia a ricostruire la base di Mario il pilota. Una seconda ispezione del guasto rivela che non è solo esplosa la base di legno, ma si sono spezzati i bulloni d’acciaio che bloccavano il pistone sul supporto. Terminato anche questo Charlotte prosegue la ricerca di pezzi di ricambio e l’equipaggio se ne va in città. L’autobus per Nadi (pronunciato Nandi, perché la d fijiana si legge sempre nd) fa un giro infinito per passare a prendere proprio tutti, anche se il capolinea dista solo sette chilometri da Port Denarau. Il clima è caldo nel primo pomeriggio tropicale, ma le strade sono comunque piene di gente. Dopo neanche cinque minuti un uomo vestito di rosso attacca bottone con noi, ci porta nello stesso negozio di souvenir dove gli altri sono passati ieri. L’uomo in rosso ha per mano una bambina, così io e lei facciamo conoscenza. Nel negozio veniamo accolti con il sevu sevu, la cerimonia di benvenuto tipica delle Fiji. Un uomo ci invita a sederci in cerchio su una stuoia, versa qualche cucchiaio di polvere di kava in un pezzo di stoffa e aggiunge abbondante acqua fresca. Il kava è la radice di una pianta imparentata con il kawakawa neozelandese. Entrambe queste piante dalle grandi foglie cuoriformi sono molto importanti per le culture locali. La differenza principale è che le radici di kava hanno un blando effetto psicoattivo, mentre il kawakawa ha solo un odore balsamico. Una volta mescolato il kava nell’acqua, si strizza la polvere nello straccio e la bevanda filtrata è pronta. Il celebrante riempie di liquido una piccola scodella di noce cocco con un mestolo di cocco e la offre ad uno degli ospiti. La prima a ricevere il kava è Magali, infatti il primo sorso di kava viene sempre offerto al capo, o turaga (si pronuncia circa “tùranga”). Magali batte le mani tre volte, accetta il guscio di cocco pieno di kava e inizia a sorseggiarlo. “Tutto d’un sorso” raccomanda il nostro anfitrione. Finito di bere il celebrante batte le mani riprende il cocco e chi ha appena bevuto ringrazia dicendo vìnaka. A seguire, riceviamo un sorso di kava anche noialtri plebei. Da ultimo beve anche il celebrante. La cerimonia è di una semplicità disarmante e si ripete sempre uguale, ma la nostra memoria procedurale è quantomeno imbarazzante e battiamo le mani a caso. Forse stiamo cercando di capire di che cosa sa questo kava. Bisogna ricordarsi che si tratta dell’infusione a freddo di una radice secca, quindi non assomiglia affatto alla cioccolata in tazza né al cappuccino. Nonostante le radici siano lavate con cura, il kava ha il colore grigiastro dell’argilla. È rinfrescante, senza dubbio, ed è leggermente allappante. Quanto alla sensazione inebriante, è probabile che ne serva molto di più per accorgersi degli effetti.
Il kava venduto in città viene prodotto nei villaggi, dove, secondo il nostro amico, si beve kava di mattina pomeriggio e sera. Si beve kava sempre e si fuma marijuana. In due parole, “Fiji time!” Mi sembra una storiella esagerata per impressionare i turisti, ma magari è così.
Girando per il centro, raggiungiamo il mercato ortofrutticolo. C’è un’intera sezione dedicata al kava, praticamente un terzo dello spazio è ingombro di kava. Ci sono grandi pile di esili radici essiccate e sacchetti di kava già molito, che diffondono un gradevole aroma balsamico. Abbiamo ancora a bordo delle verdure neozelandesi in condizioni di salute disperate, quindi compriamo soltanto papaya, ananas e un’anguria grossa come un melone da mangiare sul posto. Il melone cresce alle Fiji, ma costa dieci volte di più delle angurie. Questo mercato è un incredibile tuffo nel passato, mi riporta subito in Indonesia e in Papua Nuova Guinea. Riconosco le verdure, so anche come si cucinano! Così come in Papua, anche qui le mercanzie sono divise in mucchietti, e i prezzi sono un tanto al mucchio.
Da ultimo, facciamo una sosta al negozio Digicel per comprare una sim. Ci sono solo promozioni da centinaia di gigabyte di internet, venduti ad un prezzo stracciato. O le Fiji hanno la migliore connessione internet del pianeta, oppure internet funziona solo nelle città e la Digicel può permettersi di vendere tutti i gigabyte che vuole, tanto nessuno li userà mai. Ho anche la sensazione che la connessione manchi nella maggior parte, quindi posso fare a meno della sim. Resto fuori dal negozio a guardare la gente che passa. Come ha notato Lord Asparagus, qui gli uomini portano le ciabatte, mentre le scarpe. Non è una regola assoluta, ma è palesemente una moda. Le facce sono in gran parte indiane e cinesi, probabilmente qui in città la presenza di etnie differenti è ancora più pronunciata che nelle zone rurali. Non solo ci sono diversi templi indù nella città di Nadi, ma persino il cartello “vietato fumare” al centro del mercato testimonia l’enorme proporzione di indiani e cinesi che vivono qui. È scritto in tre lingue, nell’ordine: hindi, inglese e figiano.
Le strade della città e i negozi sono decisamente più curati e occidentali di quanto mi aspettassi. Anche le automobili parcheggiate per strada sono nuove e tutt’altro che economiche. Mi aspettavo di trovare una situazione come in Indonesia o in Papua, invece qui c’è decisamente più benessere. Mi guardo intorno riflettendo su quanto il viaggio che ho alle spalle mi abbia portato ad avere dei pregiudizi sui paesi che non ho ancora visitato. Chiunque abbia imparato molto crede di sapere già tutto, è una vecchia trappola.
Torniamo al marina e bisogna che inizi a scrivere qualche pagina del giornale di viaggio, altrimenti rischio di accavallare i giorni. È difficile riordinare i ricordi quando si sono svolti tutti nello stesso ambiente, mi si ingarbugliano i pensieri.