Lezione di ieri: Se fa freddo, meglio dormire per terra che in amaca.
Mercoledì 27/10/2021 7:47
Zero gradi di nuovo. Sì, in effetti fa freddo. Sento piovigginare leggermente, ma sopra la mia testa ci sono così tanti stati di rami e foglie che non è ancora arrivata neanche una goccia. Per colazione finisco l’uva e continuo a rimpicciolire la confezione di biscotti, così entrerà meglio nello zaino.
9:06
Raccolgo una manciata di castagne e mi rimetto in cammino verso la rotonda da cui si dirama la strada per Kamnik e Velika planina. Ha anche smesso di piovere e la foschia si è diradata, non chiedo di meglio.
La pista ciclopedonale percorre una zona industriale, un ottimo posto per reperire un pezzo di cartone. Gli sloveni però sono ordinati, non lasciano i cartoni sparsi in giro, anche i cassonetti sono puliti. Ce n’è uno mezzo aperto con dentro la scatola rossa fiammante di un elettrodomestico, che mi sembra proprio della misura giusta. Ne prendo un pezzo con il coltellino, ma poi il Victorinox mi scappa di mano e scivola dentro, sul fondo naturalmente. Mi sembra un po’ laborioso ripescarlo con amo e lenza, meglio spostare qualche cartone e recuperarlo con l’aiuto del bastone e qualche acrobazia. Il cassonetto di plastica nera è così nuovo che forse è più pulito di me.
11:15
Passato lo spavento per una così grave perdita, preparo il cartello “KAMNIK – VELIKA PLANINA” e mi piazzo a bordo strada.
Nel giro di cinque minuti accosta una macchina, forse non faccio caso ai cenni dell’autista e me ne accorgo per caso guardando indietro. Corro verso la macchina e trovo alla guida un uomo sulla settantina che va a Kamnik.
Daniel non parla inglese, però ha lavorato per cinque anni in Germania e sa il tedesco. Cerco di racimolare i pochi brandelli di tedesco che mi sono rimasti in testa dall’anno scorso, così Daniel e io mettiamo in piedi una buffa conversazione. Una trentina di anni fa è stato a Bologna per cinque settimane e si ricorda soprattutto del parco della Montagnola. Rispondo alle sue domande, e capisco cosa dice, che non è male considerando che ieri l’altro ci ho messo un bel po’ a capire quando Adrian mi ha chiesto come mi chiamo e come sto.
Daniel mi lascia all’inizio di Kamnik, alla stazione degli autobus, ma io sto facendo pratica con l’autostop e quindi vado avanti duecento metri fino alla fine del paese. Piego il mio cartello per lasciare solo la metà di sotto, quella che dice Velika planina. Aspetto dieci minuti, poi riprovo trenta metri più indietro e in quattro e quattr’otto trovo un passaggio fino all’imbocco del sentiero. Sono con le persone giuste, Špela e Kristof sono appassionati di montagna e conoscono bene la zona, così mi danno anche indicazioni sul sentiero da prendere. Krištof aggiunge che di solito i turisti usano Google Maps e cercano di salire da un sentiero poco battuto che segue la funivia e poi chiamano l’elisoccorso perché rimangono bloccati a metà. È comprensibile che salire di 1000m in 2,5 chilometri non sia proprio agevole.
Lungo la strada mi chiedono se ho abbastanza acqua e se dobbiamo fermarci alla fonte, ma io che ho paura di fargli perdere tre minuti di troppo rispondo che non c’è bisogno. Non ho molta acqua, ma ho visto che sul pascolo in cima ci sono diverse fonti.
I miei due autisti mi spiegano anche che in cima non troverò le vacche che si vedono solitamente nelle foto, perché i pastori le hanno riportate a valle. D’inverno i pastori affittano le proprie case di legno agli sciatori in vacanza.
È mezzogiorno e sono già arrivato, non è niente male considerando che ho camminato fino alle 11. Lascio il mio cartello al coperto perché mi servirà di nuovo e parto a piedi verso planina Dol, che è la prima tappa. Il sentiero è stupendo, sale a tornanti stretti in un bosco multicolore con il verde scuro degli abeti, il verde-giallo dei frassini, il rosso dei faggi il giallo degli aceri e dei carpini, tutti mescolati. Dopo ottocento metri di dislivello a tornanti il terreno si spiana e il bosco si interrompe al margine di un pascolo con le tre grandi capanne di legno da cui è composto Dol. Da qui in poi il sentiero collega gli insediamenti dei pastori, tagliando attraverso tratti di bosco. Sulla carta tutti questi pascoli allineati danno l’idea di un altopiano, ma in realtà il terreno è tutt’altro che piatto. Tra una cima e l’altra i pascoli sono sprofondati in tantissime doline carsiche. Qua e là il prato scende a imbuto verso la bocca di un enorme formicaleone oppure, per chi conosce meglio Star Wars che i Neorotteri, queste buche hanno le dimensioni della fossa del Sarlacc sul pianeta Tatooine.
Evitando abilmente di essere divorato dalle trappole del prato, dopo parecchie capanne e laghetti arrivo finalmente a Velika planina, un enorme pascolo con una trentina di capanne sparpagliate in giro. C’è anche una capanna-chiesa e una mezzacapanna-teatrino.
Lontano verso Nord si vede una catena di monti dalle cime rocciose ma dal quassù l’orizzonte dista trecento metri in ogni direzione. Sembra di essere in un’altro mondo, Petra aveva proprio ragione. Di nuovo, questo posto ha qualcosa che ricorda un pianeta di Star Wars, ma non ho ancora capito quale.
Appoggio lo zaino sul tavolino davanti a una capanna mi riposo un po’, aspettando il tramonto.
18:20
Ho trovato un posto perfetto in mezzo a un gruppo di rocce, abbastanza riparato dal vento e con un bel pratino verde su cui dormire. Stanotte servirà la tenda perché sarà una notte ventosa. Inizio a indossare la maglia termica dentro la tenda, in ginocchio sul telo azzurro che mi fa da pavimento, ma qualcosa non va. Cosa sono queste macchie bagnate sui pantaloni? A quanto pare il telo azzurro impermeabile non merita entrambi gli aggettivi e questo pratino è così verde perché è una spugna intrisa d’acqua.
Esco e corro a controllare gli altri posti adatti che ho visto prima, schiacciando l’erba per sentire se è asciutta. Smonto tutto e trasloco nella penombra, mi piazzo di fianco a un masso dove non tira un filo d’aria e rimonto il mio tetto.
Nel frattempo si vedono già le prime stelle.
Scrivo un po’ e controllo il termometro esterno, che è già sceso a zero nonostante siano ancora le otto. Mi sorge il dubbio che forse probabilmente i 4°C previsti per stanotte non siano una previsione molto accurata. Non importa, la tenda forma una bolla d’aria calda intorno al mio sacco a pelo e la temperatura interna rimarrà comunque sopra zero. Punto la sveglia per le 2:30, in modo da mettere il naso fuori per guardare il cielo e per controllare la temperatura minima di stanotte, sono proprio curioso. Sarà importante nei prossimi mesi per sapere quando è il caso di dormire in un ostello invece che all’aperto.
2:30
C’è una piccola gobba del terreno proprio in mezzo alla tenda, per questo non mi sono accampato qui inizialmente. Mi tocca dormire su un fianco e girarmi di tanto in tanto per lasciar circolare un po’ il sangue.
Le dita dei piedi hanno freddo, ma comunque meno della prima notte a Ljubljana, poteva andare peggio. In alto la tenda è imperlata di condensa, ma ai lati vedo una leggera patina bianca. Ha senso, fuori c’è -3 e giustamente il telo ha la stessa temperatura dell’aria esterna, niente male.
Mi sdraio di nuovo, a pancia in su, spengo la torcia frontale e afferro un bordo della tenda in modo da sporgere fuori la testa. Fuori c’è un capolavoro, sopra di me vedo Perseo. Lo scorso 30 luglio ero in trekking sulle Alpi vicino al monte Bianco e ho guardato le stelle da un bivacco a 3000 metri. Guardando in giro con il binocolo mi sono imbattuto per caso in un gruppo di stelline a forma di oca, tra le stelle α e δ Persei. Ebbene, stanotte riesco a vederle quasi tutte a occhio nudo, sono sconvolto da tanta bellezza.
C’è un cielo cristallino e la Via Lattea taglia in due la volta del cielo e si vede persino la costellazione della freccia senza bisogno di cercarla e fa freddissimo quindi mi sa che torno dentro, ciao e buonanotte.