Uscire da Sarajevo non è semplice come entrare

Lezione di ieri: arrivare in una grande città con il buio può dare un’impressione erronea per quanto riguarda la sicurezza. Ora che l’ho vista anche di giorno non sembra più così grande.

Venerdì 12/11/21 6:56 – Sarajevo (Bosnia e Erzegovina)

Stamattina si scrive, poi doccia, zaino e si parte per Mostar. Prima di uscire saluto gli iraniani che sono ancora qui, quelli che hanno deciso di rischiare attraversando la Bosnia in autobus invece che a piedi attraverso i boschi. Sarebbero dovuti partire ieri, ma uno ha perso la carta di credito e ora deve aspettare dieci giorni per la consegna di una nuova carta. Ci auguriamo buona fortuna ed esco con Azdin per andare alla moschea. Abbiamo sbagliato orario, non si può entrare a quest’ora, ma almeno ho l’occasione di osservare le abluzioni dei fedeli che si preparano ad entrare. Per me è del tutto nuovo e Azdin intanto mi spiega come funziona. Ci si lavano le mani, tre volte, la bocca, tre volte, il naso, tre volte, gli occhi, tre volte e le orecchie, tre volte. Si prosegue allo stesso modo con la faccia, la testa, le braccia fino al gomito e per ultimi i piedi. Saluto anche Azdin e mi metto in cammino verso Ovest.

11:40

Passeggiando sul lungofiume trovo un gruppo di germani reali che sguazzano nell’acqua impietosa. Uno sta arrancando controcorrente, a un metro dal salto d’acqua successivo. Mi fermo a guardarlo mentre raggiunge faticosamente la riva, ma poco dopo torna verso il centro, dove la corrente è più forte. È chiaro, sta pescando: stare al centro è più faticoso, ma si mangia di più.
Ora che la attraverso di giorno, capisco che la città è molto più sicura di come mi era sembrata la sera in cui sono arrivato. Lungo la strada gli edifici diventano via via più grigi e maltenuti, sono enormi condomini di cemento risalenti a quaranta o cinquant’anni fa. Mentre passeggio sul marciapiede guardando in sù, do un calcio a qualcosa. Per terra ci sono dei pezzi di costole di bovino e c’è un uomo che sta scegliendo le ossa in un cassonetto. Non è in giacca e cravatta, daccordo, ma non è neanche un senzatetto. Non capisco a cosa possano servirgli, comunque a un certo punto è soddisfatto, chiude il baule della macchina e se ne va.

14:10
Arrivo finalmente verso la periferia di Sarajevo, ma continuo ad essere perplesso su dove piazzarmi con il mio cartello “Mostar” rosso fiammante. Facciamo che intanto vado nel supermercato qui di fronte a comprare da mangiare per i prossimi giorni. Compro la salsa ai peperoni onnipresente nei supermercati balcanici e trovo finalmente un pacchetto di cavolo bollito da mezzo chilo. Prendo anche quattro pani da čevapčići, mandarini e un litro di yogurt. Adesso ho capito perché non trovavo i classici bicchierini monoporzione che ci sono in Italia, qui lo yogurt si vende a litri.

14:40

Attraverso la strada e aspetto che qualcuno si fermi, ma una macchina che va a Mostar, distante 125km, è un pesce grosso ed è difficile da catturare.

16:20

Inizio a dubitare che nessuno si fermerà ed elaboro un piano B. C’è un fazzoletto di bosco a 50 minuti da qui, andrà benissimo per aspettare il giorno.
Il posto che ho individuato si trova oltre un quartiere di alberghi con molte stelle, lungo un vialetto alberato che corre in mezzo a ville e ristoranti. Siamo in bassa stagione perciò i ristoranti sono chiusi e lungo la strada c’è solo qualche passeggiatore.
Sono quasi arrivato, quando noto lungo la strada una casetta rossa, di legno, su una piattaforma sopraelevata. È una costruzione per bambini di uno dei ristoranti chiusi.
Proseguo fino al boschetto, che è un intrico di arbusti spinosi, attraversato soltanto da uno stretto sentiero. Meglio la casetta.
Ancora indeciso sul da farsi, faccio per tornare indietro e dopo pochi passi vedo arrivare una volante della polizia, di pattuglia lungo questa stradina.
Non cambia molto, nessuno controllerebbe mai quella casetta, ma questo basta a farmi rinsavire. Dormo sotto un tetto da solo tre giorni e mi sto già incivilendo così? Male male, la cura migliore è una notte in amaca.
Imbocco il sentiero nella boscaglia e dietro una cortina di arbusti trovo un paio di alberi abbastanza grandi da appendere l’amaca. È un boschetto molto recente, gli alberi più vecchi hanno al massimo vent’anni, probabilmente un po’ meno. Fino al duemila questa zona doveva essere un campo o un giardino.
L’incredibile quantità di inquinamento luminoso prodotta dalla capitale si riflette sulla cappa di nuvole e rischiara l’accampamento. La luce sarebbe quasi sufficiente per leggere il giornale.

17:40

Organizzo un nuovo piano di fuga da Sarajevo per domani, invece che puntare direttamente a Mostar conviene effettuare un paio di riposizionamenti in punti strategici e poi spostarsi a tappe.
Dopo una grande cena e una lunga telefonata, crollo a dormire appena mi sdraio.

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