Lezione di ieri: I melograni devono essere sodi
Mercoledì 06/01/2022 10:15 Kaklık (Turchia)
Scampanellio di pecore al pascolo, in avvicinamento. È ora di alzarsi, sta arrivando un piccolo gregge di capre, accompagnate dal pastore e da un paio di cani. Metto la testa fuori dal riparo, da una parte e poi dall’altra, scostando la tenda blu. “Salam!” Il pastore non è per niente scandalizzato dalla mia presenza e prosegue per i fatti propri. Meglio smontare tutto e partire, oggi c’è del traffico nella strada forestale qui vicino. Sono già lontano da Kaklık, conviene raggiungere il paese successivo e partire da lì. Sulla via di Alikurt Köyü non c’è granché, tranne un peculiare anemoscopio naturale, una foglia di pioppo con il picciolo ricurvo incastrato nel ricciolo di una pianta rampicante. Passerebbe inosservato se non fosse che la brezza lo fa girare vorticosamente, all’infinito. Non ho idea di come si sia formata una struttura così assurda, ma è talmente perfetta che merita un piccolo video. Nel piccolo paese devo sembrare decisamente un alieno, dubito che Alikurt Köyü sia mai stato la meta di qualche turista, è formato da meno di cento case. Capito davanti ad un piccolo negozio di alimentari proprio mentre il proprietario se ne sta andando. Mi riapre la porta e compro una damacana di acqua (si legge damagiana). Mentre gli spiego da dove vengo e dove vado verso via l’acqua di fontana e mi scolo il litro d’acqua che mi è rimasto, così i cinque litri appena comprati si dimezzano riempiendo le due borracce e la bottiglietta di Vadat.
15:40
Torno sulla strada per proseguire verso Dinar, e trovo un passaggio fino a Çardak, il paese successivo. Non ricordo con chi ho viaggiato, il suo nome è perso nelle nebbie dei tempi, se in futuro mi servirà nominarlo lo chiamerò Alcide.
Spero sempre di trovare qualcuno che faccia conto chilometri in una botta sola, ma qui si fanno spostamenti piccoli. Çardak è un paese abbastanza inutile per me, che si affaccia sulla strada con un quartiere di meccanici per auto.
Qui a Çardak, sulla scritta Dazkırı (Dazk-r), il pennarello Pentel esala l’ultimo rigo e termina qui il suo viaggio, dopo aver scritto una quantità di cartelli incalcolabile. Ora vedremo se i pennarelli che si comprano nei “paesi dove la vita costa meno” saranno di qualità simile oppure no. Guardando il pennarello con ideogrammi cinesi comprato a Sofia, direi che la risposta è no, ma aspetto di metterlo alla prova.
Davanti al mio cartello, il primo a fermarsi è Ronder, che va fino a Dazkırı (Dazk-r). Lavora in ferramenta ma parla solo turco e la nostra conversazione non va molto in là, perché faccio ancora fatica a scrivere le parole turche che sento. Da qualche parte deve esserci un’impostazione per riattivare il registratore vocale di Google traduttore, ma non so dove sia e non sono sicuro di volerla attivare. Essere costretto a scrivere è il primo passo per imparare a distinguere i suoni di una nuova lingua. Se i suoni sono distinti nella mia testa riesco a pronunciare le parole correttamente, altrimenti la gente non capisce. È facilissimo sbagliare l’accento sulle parole, se poi si iniziano a cambiare anche le lettere il messaggio diventa assolutamente incomprensibile. Per esempio “qual è il tuo nome” si dice adınız ne, mentre “qual è il tuo lavoro” si dice işiniz ne. Nei primi tempi facevo confusione e adiniz e ışınız risultavano incomprensibili. A volte, ovviamente, le parole cambiano significato, perciò dürüm è una piadina kebab, mentre durum vuol dire situazione. Il bello di viaggiare via terra è che spesso i suoni cambiano più lentamente degli alfabeti, il ché è un grande vantaggio per il viaggiatore.
Arrivati a Dazkırı, mi sembra un buon momento per andare a prendere un kebab e fare un pochino di spesa. Dopodiché riproverò a fare l’autostop fino al paese dimenticato di Aktoprak, la cui affinità con “atto pratico” mi ispira simpatia. Anche là c’è un bosco ed è più grande di questo, quindi non sarebbe male arrivarci.
Il dürüm döner è molto buono e adesso che sto diventando furbo lo mangio al tavolino invece che tenerlo in mano insieme al bastone e la damacana d’acqua (La chiamo così perché è quasi italiano, e si pronuncia sempre “damagiana”).
Torno sulla strada e si ferma un piccolo furgone con tre persone nei sedili posteriori e Yunus alla guida. Per prima cosa accompagnamo a casa i tre passeggeri, per poi proseguire verso Dinar. Yunus mi dice “sadece bir soru” (sadege bir soru). Io dopo qualche minuto di tentativi di scrittura, riesco a capire che sta dicendo “solo una domanda”. “Sì?” La sua domanda è “Geisen?” (La g è dura) Provo a scrivere, sen so che significa tu, ma “gei” viene tradotto solo con “gay”. Mi sembra strano, non sto capendo. Capita abbastanza spesso che dai miei tentativi di scrittura risultino parole tipo mestruazioni, eiaculazione o simili. Il bello è che mentre scrivo pronunciò ad alta voce quello che ho capito, scandendo bene i suoni, ma nessuno fa mai una piega. Prova e riprova, la parola gay resta invariata in ogni versione. Quando mi spiega che è circonciso capisco che mi sta proprio chiedendo se sono gay. Mi spiace Yunus, apprezzo l’onestà perché non mi aspettavo una dichiarazione così aperta in Turchia, ma non sono la persona giusta. C’erano alcuni gesti molto semplici per farmi capire di che cosa stava parlando, ma non è stato per niente volgare.
Siamo quasi arrivati, mi dice che sono un bell’uomo e accosta lungo la strada.
Lo saluto e mi dirigo speditamente verso il bosco, perché il sole è appena tramontato e resta solo mezz’ora di luce. Poco dopo vedo da lontano un ciclo viaggiatore che sfreccia verso Dinar. Le nostre strade non si sono incontrate per un soffio, magari era uno famoso.
Il bosco è ancora più rado e più secco di ieri, ma con meno aghi di pino per terra e meno vento. Vado proprio al centro e cerco un paio di alberi abbastanza vicini, magari riparati dai cespugli della simpatica quercia spinosa, quella specie di agrifoglio in miniatura che mi aveva tanto allietato la serata a Izmir e a Efes. È qui che cerco il nome di questa pianta per specificarlo quando lo dovrò scrivere la prima volta, e il mio disprezzo si trasforma in ammirazione. La quercia spinosa è una pianta adattata ai climi secchi, talmente secchi che resiste persino agli incendi. Non è certo ignifuga, ma può ricrescere a partire dalle radici dopo che la parte aerea è bruciata. Mi inchino davanti a cotanto eroismo.
Mentre cerco il posto giusto mi imbatto in una colonna vertebrale ripulita con un po’di costole sparse, poco distante da un cranio di cane e qualche altro osso. C’è pieno di cani randagi, non è neanche strano.
19:05
Trovo un posto perfetto proprio lì vicino e monto il campo. Non credo che ci siano altri campeggiatori nelle vicinanze, quindi suppongo di essere io il motivo dell’abbaiare dei cani in quell’azienda agricola distante cinquecento metri, dall’altra parte del bosco. Io vedo le luci del cortile, quindi in teoria loro possono vedere la mia torcia. Comunque sia oggi tanto si riaccendono i latrati.
Stasera non c’è vento e il fuoco si può fare, così cuocio la polenta taragna portata dall’Italia insieme al ragù che mi diede Antun a Mostar. In più cuocio anche un po’ di uova sode, perché il torneo di scosetta è fermo da quando si è disputata la prima manche in Montenegro. Stavolta le uova sono solo cinque, una era già crepata prima di cuocerla. Partecipano Gibbo, la Feffe, la Giuly, la Kety e Gozzi. Nonostante i pronostici a vantaggio della Kety, è Gibbo ad uscire vincitore. Spero che per il prossimo incontro serva meno di un mese e mezzo, ma non è facile trovare delle confezioni da meno di quindici uova qui in Turchia. Alcuni le vendono sfuse, ma il trasporto non è molto pratico senza portauova.
Ottima serata, ho fatto il fuoco in un punto riparato dai cespugli e anche quando si alza un po’ di vento io da qui non lo sento.
Aspetto che le braci si spengano del tutto e poi vado a letto.
Sei uno scrittore, ora è chiaro
Non me l’aspettavo, considerando quanto detestavo i temi a scuola non pensavo di arrivare a questo punto. Grazie Cate.
Grazie anche alle maestre che mi hanno inflitto tutti quei temi.