Lunedì 16/10/2023 Apia (Samoa)
Mentre Maija è ancora a bordo, iniziano i preparativi per la partenza. In men che non si dica, sopra e sottocoperta la barca viene sgomberata da szzss che si sono nascosti in giro, nel corso di queste due settimane. Stavo salutando Maija, ma nel frattempo bisogna correre avanti e indietro per prepararsi a salpare. Risolviamo con un abbraccio di addio, mentre Charlotte accende il motore. Maija scavalca la battagliola e, inaspettatamente, si ferma sulla banchina a slacciare il dente di squalo che porta al collo. Getta la collana accanto a me, saluta e si allontana a grandi passi. La raccolgo in fretta, mentre l’altra mano slega la cima di ormeggio dalla galloccia. La collana porta ancora il suo profumo.
Quando ci stacchiamo da terra sono le due del pomeriggio, non c’è ancora bassa marea. Fortunatamente la manovra riesce bene, presto siamo nella baia, con davanti l’oceano aperto. Sulle prime la situazione appare calma perché siamo ancora riparati dal vento e dalle onde, ma non è difficile scorgere la vera situazione del mare, a poca distanza dal porto. Il piano è restare qui nei paraggi per un’oretta, in modo da valutare le condizioni. Come ormai sappiamo, le orette su Valiant scorrono velocemente, infatti dopo mezz’ora siamo pronti per buttarci nella mischia. Il vento soffia dritto da Est, tentiamo di bordeggiare e in un’ora guadagnamo meno di un miglio. Le onde sono bianche di schiuma e il cielo è coperto di nuvole pesanti. È il caso di issare un pezzetto di randa, per guadagnare velocità e stabilizzare Valiant. Decido che è ora di fare cambio ruoli, perché se tra due settimane mastro Ernests ci lascia, bisogna che impari anch’io i trucchi del mestiere. Così mi preparo a cazzare la drizza, mentre Lord Asparagus libera la penna della vela. Uno, due, sei… Non c’è niente da ridere, contiamo così su Valiant, uno, due e sei. Uno, due, sei, issa! Siamo già a metà issata, quando ci giunge un grido dal pozzetto: “Guardate la drizza dannazione, su sulle crocette!”
Di solito io guardo in su e mastro Ernests issa la vela, quindi non ci siamo accorti che la drizza d’acciaio si è incattivata sulle crocette più alte. È incastrata in un piccolo perno, aggrappata come se avesse le mani. Cerchiamo di scuotere il cavo a casaccio, ma non c’è niente da fare. Interviene Charlotte, per spiegarci come liberare il cavo, ma la sua concitata descrizione a parole è complessa da interpretare. Bisogna prendere il ritmo del rollio della barca, e impartire una frustata al cavo mentre l’albero si sta inclinando sottovento. La chiave è il tempismo, perché il colpo di frusta deve arrivare in cima mentre la barca è sbandata al massimo. Riprendo a issare, ma la manovella del winch diventa durissima, forse qualcosa non va. Certo che qualcosa non va, la penna della vela è incastrata nel lazy jack di sinistra, che da qui non vedo. Calo e isso di nuovo, agganciando la bugna della seconda mano di terzaroli. “No Paofxlla, quella è la terza mano, no?” Oggi non ne va bene una, ho agganciato l’occhiello sbagliato. Calo e isso di nuovo, cazzo la drizza e siamo a metà del lavoro. Una volta tesata la cima della seconda mano e i lazy jacks, basta addugliare di nuovo le due cime dei terzaroli e mettere in sicurezza la drizza. Fatto, c’è voluta solo mezz’ora, è stata l’issata peggiore di questi tre mesi. Almeno ho imparato molto, è questo che conta.
La luna non è con noi questa notte, al calar delle tenebre restano solo le pallide luci di navigazione a rischiarare l’acqua buia. È durante il turno di Ernests che incappiamo nel primo groppo di pioggia. Drrr… drrr… Mi sveglio sentendo il rumore dei winch che girano, salto dal letto per dare una mano in pozzetto. Il groppo ha portato raffiche di vento oltre trenta nodi, bisogna poggiare con decisione e avvolgere metà del genoa per ridurre la tela. Durante la manovra dobbiamo sacrificare qualche centinaio di metri delle poche miglia guadagnate finora. Valiant ora è molto più lenta, ma è al sicuro da possibili danni.
Due ore dopo, un’altra raffica a 33 nodi annuncia un secondo groppo. Non è niente di serio, è solo una seccatura tirare il freno a mano e farsi sballottare dalle onde, sotto un acquazzone. Continuiamo a navigare così per tutta la notte, tra una doccia e l’altra. Alle dieci e mezza un’onda si infrange sulla murata e getta una secchiata d’acqua su Charlotte. Si accende un allarme e contemporaneamente si accendono le volgarità di Charlotte. Scende sottocoperta cercando di levarsi di dosso quel coso giallo e ingombrante che le si è gonfiato intorno al collo. Il giubbotto salvagente ha una cartuccia ad aria compressa, che si innesca se viene immersa in acqua. Il capitano ha un pessimo rapporto con la fibbia del giubbotto salvagente, quindi slacciarlo alla cieca è una prova di manualità complicatissima.
Per fortuna l’alba viene in nostro soccorso, ora riusciamo a difenderci meglio dagli elementi. Durante il giorno, chi non timona è impegnato sottocoperta, non ci si annoia di certo. Oggetti che cadono, vele da spostare, stoviglie da lavare. Ogni tanto entrano spruzzi di sale dagli osteriggi e ci sono le onnipresenti infiltrazioni d’acqua attraverso la tuga, ogni volta che ne sigilliamo una ne scopriamo un’altra. Nel frattempo, stiamo cercando di adattarci al vigoroso rollio dello scafo, che ha già convinto Ernests a prendere una pastiglia per il mal di mare. Io di solito arrivo solo ai prodromi del mal di mare, ma ieri sera ho avuto un momento poco piacevole, la bocca ha iniziato a salivare come se dovessi vomitare. Una boccata d’aria fresca in pozzetto ha salvato la situazione in un attimo.
Di giorno il vento gira leggermente e cala di intensità, mantenendosi comunque sopra i venti nodi. Questo ci permette di fare un primo bordo di bolina, guadagnando un po’ di distanza dalle Samoa. È bello essere di nuovo per mare, la brezza tesa rende la navigazione più difficile, ma anche più sportiva. Sicuramente Valiant non è d’accordo, il vento forte e rafficato mette a dura prova tutta l’attrezzatura, specialmente navigando di bolina stretta.