Un primo assaggio di Georgia

Lezione di ieri: i camionisti sono un’ottima fonte di informazioni stradali, ma parlano poco.
Venerdì 05/02/2022 11:10 Ureki (Georgia)
Purtroppo in questi giorni piove, quindi non è il momento migliore per andare lontano. Intanto però bisogna fare colazione, ma è meglioe mettere qualcosa sotto i denti seduto accanto alla stufa, prima di andare a tavola per mangiare di nuovo.
Come immaginavo, sulla tavola c’è abbastanza cibo per sei persone, ma noi siamo solo in tre, forse non se ne sono accorti. Agli occhi dei georgiani appaio magro e denutrito, perciò la Lali ha deciso di darmi da mangiare finché sarò ingrassato abbastanza. Finita faticosamente la colazione, usciamo a fare un giro in macchina.
Ci dirigiamo a Lanchkhuti, verso l’interno, così da comprare del pane, qualche altro genere alimentare per non morire di fame e una scheda SIM per me. Non è semplice, perché oggi è festivo e quasi tutti i negozi sono chiusi. Così come in Turchia serve un documento identificativo per acquistare la SIM, ma non faccio in tempo a estrarre il mio che la Lali ha già in mano la carta di identità per intestare la scheda a proprio nome. Chissà perché, forse c’è lo sconto.
Lasciamo il centro e iniziamo a percorrere altre strade con ancora più buche per andare a comprare le uova da una persona di loro conoscenza, poi si sale verso la cima di un monte per andare a fare due passi nella neve. Il fatto che abbiamo delle gomme lisce come quelle da asciutto per la formula uno non è affatto un problema per Temuri, che è abituato a condizioni stradali ben peggiori. Dove parcheggiamo nevica, e si sono già accumulati venti centimetri di neve, calpestati solo da una macchina, da un albero caduto e da una piccola mandria di cavalli, che ci passa accanto qualche metro più avanti.
Salendo nel paesaggio incantato pieno di alberi carichi di neve, festeggio la fine di quella landa desolata senza alberi che durava da Konya, in Turchia. Sarà meglio godersi la Georgia, perché le immagini satellitari dell’Iran danno l’idea che sia privo delle condizioni ambientali necessarie alla vita organica. Per descriverlo con le tre parole preferite del professor Pierpaolo Panciroli, “è una sassaia!” Sarà sicuramente interessante, ma in questo momento non sono preparato ad un tale livello di desolazione.
Qui però è tutta un’altra cosa, siamo immersi nel bosco, sguazzando nella neve e parlando in turco.
In cima alla strada raggiungiamo il portone di ingresso al cortile di un monastero, composto da parecchi edifici, di cui due chiese. Mentre io e Temuri entriamo, Lali va a procurarsi un mazzetto di candele gialle da accendere nelle vasche di sabbia posizionate davanti alle icone. La Georgia infatti non è famosa solo per i parchi naturali, ma anche per i monasteri e le chiese, ce n’è una quantità spropositata. Essendo chiese ortodosse, sono ricche di immagini sacre, a cominciare dall’iconostasi che separa la navata dall’abside. Davanti alle immagini più importanti c’è un piedistallo che sorregge una vasca d’acciaio riempita con un dito di sabbia, in cui piantare le candele accese durante la preghiera. Esaurite le candele, usciamo e Temuri decide di comprarmi un braccialetto di cuoio come ricordo del nostro incontro. Nel frattempo ha smesso di nevicare, ma decidiamo di ritornare comunque alla macchina perché la strada per il secondo monastero è impraticabile.
Per non arrivare alla macchina prima di essermi tolto la voglia di neve, mi sposto sulla destra per solcare la neve alta con le scarpe. È divertente, ma in realtà sto facendo delle prove per capire quanta neve mi entra nelle scarpe. La Georgia è ancora piena di neve, quindi immagino che prima o poi mi troverò di nuovo a campeggiare sulla neve. In Bulgaria ce n’era poca, invece qui sulle montagne abbonda. Superiamo in macchina una vacca e il suo vitello e scendiamo a Lanchkhuti, per riprendere la via di casa. È ora di mangiare, dopotutto.
Riaccendiamo la stufa a legna e mentre Temuri e io facciamo due chiacchiere viene pronto il pranzo. Ora che ho internet so dove mi trovo e scopro di trovarmi a cento metri dal mare. Non so come ho fatto a non accorgermene, questo spiega perché il paese di Magnetiti in cui mi trovo sia praticamente deserto.
Dopo mangiato restiamo in casa perché continua a piovere e la digestione è un processo difficile che richiede molti enzimi e una assoluta concentrazione. Faccio anche qualche telefonata ed è subito sera, il momento giusto per uno spuntino con il pane di Kars, i cioccolatini, la torta e la frutta. Posso mangiare al massimo un pezzetto di pane e bere un caffè, niente di più.
22:10
Stasera si mangia un prodotto iconico della cucina georgiana, che si chiama khinkali, con una bella kh per cominciare bene. Naturalmente ce n’è abbastanza per quattro, senza contare il resto del cibo che ci aspetta, nel caso che ci rimanesse un languorino. I khinkali sono una pasta senza uova ripiena di carne, con una forma inusuale. Si fanno a partire da un disco di pasta, che viene raccolto e pieghettato in modo da chiudersi a sacchetto. Si schiaccia bene la chiusura in modo da saldarla e l’eccesso di pasta viene reciso. Naturalmente dove c’è la chiusura la pasta è molto più spessa e non cuoce, perciò la si può utilizzare come impugnatura e lasciarla da parte nel piatto. È pasta asciutta, quindi si mangia come una coscia di pollo arrosto, ma è un cibo che andrebbe venduto con un manuale delle istruzioni. Spesso i khinkali si riempiono di brodo e diventano pericolosi, meglio sorbire tutto il brodo prima di addentare il ripieno. È bene farsi spiegare come mangiarli prima di iniziare, per non finire negli annali insieme ad un presidente americano che mangiò anche la pasta cruda senza battere ciglio.
I khinkali sembravano per quattro, invece ce n’erano altrettanti in pentola, perciò sono infiniti. Adesso che ho internet posso chiedere pietà imparando a dire “non ho fame”. In ventiquattro ore ho imparato “buonasera”, “buongiorno” e “non ho fame”, qualcosa vorrà dire. Un altro fatto degno di nota è che da queste parti si beve il vino, che si chiama semplicemente “ghvino”. Ora so che cosa contiene quella tanica di plastica vicino al muro.
Sono tornati il vino, il maiale e il caffè, le chiese, le foreste e si entra in casa con le scarpe. Inoltre sono già due volte che sento l’espressione “qui in Europa” nei loro discorsi. Non me l’aspettavo, ma in effetti le differenze rispetto alla terra che ho lasciato ieri sono notevoli. Non resta altro da fare che riconoscere umilmente che dopo essere uscito dalla porta d’Europa a Istanbul, a quanto pare sono involontariamente rientrato dalla finestra. Anche le facce delle persone sono diverse, per niente turche. Per i lineamenti che hanno, parecchi georgiani potrebbero benissimo essere italiani.
Dopo cena è giunto il momento di fare un po’ di ordine nei miei dubbi sulla pronuncia dell’alfabeto georgiano, che contiene parecchie consonanti di cui ignoro il suono. Raggruppo i suoni simili in modo da chiedere alla Lali, che sarà la mia paziente maestra di georgiano. Va tutto bene fino a quando iniziano, perché poi le mie illusioni di capirci qualcosa vanno in frantumi. Il problema della p di ieri sera si estende ad altre cinque lettere dell’alfabeto, rendendole refrattarie a qualsiasi tentativo di imitazione. È lo stesso maledetto suono, un click che segue di una frazione di secondo la pronuncia della consonante. Mentre parlano normalmente non lo sento nemmeno e non riesco a capire come si possa produrre un suono del genere, specialmente perché è associato a consonanti totalmente diverse tra loro come p, k e ts. Metto la lingua così e cosà, ma non c’è modo di ottenere la consonante e il click in così rapida successione. Lali non sa come spiegarmi che cosa devo fare, perciò cerco delle spiegazioni online per cercare di capire che cosa succede dentro la bocca dei georgiani.
00:54
Faccio così la conoscenza delle simpatiche consonanti eiettive, note solamente ai georgiani, ai quechua e ad alcuni altri popoli mai sentiti nominare. Si ottengono sollevando la parte posteriore della lingua fino a toccare il palato molle, dove c’è l’ugola. A questo punto bisogna far salire la glottide, comprimendo l’aria intrappolata nella laringe fino a far saltare la chiusura ermetica creata dalla lingua. Ora so che cosa devo fare, anche se non ho idea di come fare. Per imparare ci sono alcune tecniche, ma di fatto l’unica strada è provare e riprovare fino a scoprire improvvisamente come si fa. Non è molto diverso da quello che fanno i bambini, con la differenza che da adulti l’apprendimento è molto più efficiente.
2:05
Sotto le coperte inizio ad esercitarmi e in un’ora di ricerca riesco a trovare il motoneurone che fa muovere la glottide. Da lì a produrre un qualcosa che assomigli ad uno schiocco non ci vuole molto, ma il rumore è a malapena udibile. Il problema è sollevare la lingua nel punto giusto e tenerla lì premuta. Con la bocca aperta ci riesco quasi, ma questa è solo metà del lavoro. Per pronunciare le consonanti eiettive bisogna che la base lingua scatti in posizione non appena la punta ha pronunciato la consonante. È come cercare di aprire la porta con la mano e spegnere la luce col gomito, con un movimento fluido e preciso. Per oggi sono soddisfatto così.

5 commenti su “Un primo assaggio di Georgia”

  1. Pietro Lasalvia

    Riccardo Palladini, esperto esploratore, campeggiatore, biologo, storico e ora pure glottologo, in questo giornale non si finisce mai d’imparare.
    Comunque solitamente la prima parola che s’impara in un alfabeto, dopo il ciao/buongiorno è “aiuto”, se tu hai imparato a dire “non mangiare” comincio a temere per la tua vita oltre che per la tua linea!

  2. Ciao Riki sono la nonna di Davo, ti seguo sempre e ti ringrazio per farmi fare il giro del mondo stando comodamente sul divano. Mi raccomando stai attento e divertiti.

  3. Matteo+Lasalvia

    “Adesso che ho internet posso chiedere pietà imparando a dire “non ho fame”. In ventiquattro ore ho imparato “buonasera”, “buongiorno” e “non ho fame”, qualcosa vorrà dire.”

    E’ stato letteralmente quello che imparammo io e i miei compari dopo la scoperta del kachapuri :’)

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