Un paesaggio che in Italia non c’è

Lezione di ieri: con le bambine chiacchierone si imparani un sacco di parole, anche senza saperlo.
Domenica 09/01/2022 7:50 Sultandaği (Turchia)
È giunto il momento di fare le valigie e salutare, ma al momento Mehmet è di sotto e Nicol e Börte dormono, quindi c’è tutto il tempo di scrivere di Istanbul.
10:50
La colazione di oggi è simile a quella di ieri, so già come fare e nel frattempo faccio due chiacchiere con Nicol, che sta cercando di far mangiare qualcosa a Börte, la cui attenzione è dedicata al cellulare. Ieri non ne abbiamo parlato, ma l’aumento dei prezzi sta arrivando anche qui a Sultandaği. Le quindici uova qui sul tavolo costavano nove lire fino a tre mesi fa, ora si vendono per venticinque. La settimana scorsa Nicol ha incontrato il commesso del supermercato proprio mentre incollava sugli scaffali le etichette con i nuovi prezzi. Non è facile tenere il passo, dovendo contare solo sui guadagni del caffè, oltre al fatto che si è appena rotta la lavatrice, forse bisognerà comprarne una nuova. “Ho una curiosità Nicol, la sera che ci siamo incontrati Mehmet mi ha detto che nella bella stagione fa l’agricoltore. La terra che avete è qui vicino?” Mehmet ha usato la parola “farmer”, agricoltore, non ha detto che va a cavare patate o a raccogliere la frutta per conto di qualcuno. Tuttavia, come un marinaio che va a vivere in Mongolia resta pur sempre un marinaio, un agricoltore senza terra resta pur sempre un agricoltore. Così è successo che suo padre anni fa ha avuto dei gravi problemi di salute e poi è morto, lasciandosi dietro un’enorme conto da pagare per coprire le spese sanitarie. Le varie fonti disponibili online elogiano il buono o ottimo sistema sanitario turco, ma per saldare il conto con questo ottimo sistema sanitario questa famiglia ha venduto la terra, la casa e la macchina. Ora vivono qui, ma sono in affitto. Lo riporto per dare una cornice al quadro di questi due giorni trascorsi qui, che diventano ancora più speciali.
Proprio stamattina mentre preparava il caffè, Nicol si è ricordata di un fatto accaduto tre giorni fa. Di tanto in tanto prepara il caffè alla turca e ispeziona il fondo che rimane nella tazzina per vedere che cosa dice. Tre giorni fa ha visto una persona, con delle gambe molto lunghe, a rappresentare qualcuno in arrivo da lontano. “Ma chi è che sta arrivando?” si è detta. Non sto capendo che cosa abbia visto in quella tazzina, ma per fortuna lei fa sempre una foto ai fondi di caffè e quindi me la può mostrare per spiegarmi che aspetto ho nelle tazzine da caffè. Io immaginavo di essere nero su fondo bianco, invece è il contrario, e le gambe si vedono bene. Per quanto le macchie di Rorschach siano interpretabili in maniera soggettiva, una volta che l’interpretazione viene stabilita è immutabile. Magari in quella polvere di caffè si poteva vedere la faccia di un cane o un numero della lotteria, invece lei ha visto una persona di profilo con le gambe molto lunghe. Il giorno dopo suo marito è rientrato a casa con un viaggiatore trovato in strada dicendo che avrebbe dormito a casa loro, perché Mehmet è fatto così. Non sono supereroi, ma si sono esposti al rischio e hanno deciso di darmi fiducia.
11:40
È ora di fare lo zaino, altrimenti sto qui un’altra notte. Börte non è per niente d’accordo, ma dopo un po’ di lacrime mi dà una mano a raccogliere le mie cose. Non ho niente, che cosa posso lasciare qui? Le cartoline di Mostar, quelle che non ho mai scritto! Ne prendo una da lasciare sul comodino, per lasciare almeno una traccia tangibile del mio passaggio, un ringraziamento scritto. Non è facile fare stare tutte le parole che servono in un foglio così piccolo, perché queste quarantadue ore sono state dense come una settimana.
Mentre sollevo lo zaino Börte lo vuole provare e se lo allaccia in vita, facendo solo un metro perché nel poco spazio di questa stanza il braccio della mia gru non arriva più lontano di così.
Prendo lo zaino, la borsina con le olive e la tanica d’acqua appena rabboccata. Mehmet e Nicol hanno un filtro per migliorare un po’ l’acqua del rubinetto, in modo che non sappia così tanto di cloro. Probabilmente consente un risparmio notevole rispetto ad acquistare l’acqua in damacana (damagiana), che costa circa 1-2 lire al litro.
Questi racconti in Turchia stanno prendendo un taglio troppo economico, ma la situazione ha fatto questo scherzo qui, altrove probabilmente sarà diverso. Se mi si chiude la vena antropologica non ce n’è più per nessuno.
Mehmet interrompe un attimo il lavoro al caffè per venire a salutarmi, così posso esprimere anche a lui quanto io sia ancora sconvolto per quello che è successo due giorni fa, quando un uomo ha sentito un sedicente turista parlare inglese e gli ha offerto il proprio letto per dormire e la propria casa per riposare.
13:40
Basta, me ne vado. Rinnovo la mia provvista di cartone e preparo lentamente il nuovo cartello per Konya. La preparazione è lenta perché il nuovo pennarello cinese fa schifo, dopo la prima lettera inizia a scrivere peggio del pennarello Pentel, che conservo ancora per controllare se per caso si riprende. Magari la quantità di inchiostro è la stessa, ma la qualità di un pennarello che costa un decimo dell’altro è a sua volta un decimo, o forse è prossima a zero.
Ciononostante riesco a terminare l’opera e a fermare Mert, un camionista. Va a Sud verso Mersin, trasportando del cibo destinato alle navi cargo. È stato molto gentile, perché la compagnia per cui lavora vieta specificamente di prendere a bordo gli autostoppisti, che in caso di incidente vanno pagati per buoni e fanno perdere del tempo prezioso. Provo a spiegargli che lui è il primo camionista a darmi un passaggio, leggendo la traduzione di Google. Mi sembra perplesso, quindi riprovo, ma lui continua a non capire. Prende il proprio telefono e con il traduttore vocale mi chiede se sto parlando di 34 caramelle. No, non era esattamente quello il soggetto. Cambio la frase e la lascio leggere a lui, così capisce.
Dopo due ore e mezzo al sole arriviamo alla tangenziale Nord di Konya e scendo per evitare il centro. Nicol mi ha detto di non andare a Konya, i konyesi sono brutte persone. Poi mi ha anche detto di prendere un autobus invece di fare l’autostop, ma è solo perché non si ricordava del consiglio precedente.
Il posto sembra buono, ma le macchine sono poche e nessuno si ferma. Ad un tratto arriva un vecchio magro vestito di nero con i denti ingialliti dal fumo. Incuriosito viene a soppesare il mio bastone, dice che è bello e poi si piazza cinquanta metri dietro di me a fare l’autostop.
Continua a non fermarsi nessuno, anche se la destinazione sul cartello è qui a quindici chilometri. Forse nessuno si ferma per non dover prendere su anche il vecchio, conviene andare in un altro punto più avanti, da solo.
Continua a non funzionare, tanto più che un quarto d’ora dopo vado il vecchio che mi saluta a bordo di un’auto. D’accordo, non era colpa sua, ora posso tornare al posto di prima. L’importante è arrivare verso Aksaray prima che faccia buio, così domani sicuramente arrivo a Nevşehir (ş si legge sc).
17:05
Il sole è già basso, ma si è fermato uno, si chiama Yalçın e ha 23 anni. Come Sefa due giorni fa, lavora nell’esercito e sta andando a Kayséri, che si trova ben oltre Nevşehir. Ho fatto tombola. Yalçın una settimana ogni quattro è libero di tornare a casa a Izmir a trovare la famiglia e la moglie, perché è già sposato. Fa il soldato da quattro anni e ha scelto questa professione proprio perché gli piace l’azione. Inoltre dice che questo è il lavoro pagato meglio in Turchia, per ogni settimana passata in missione all’estero prende tremila dollari. Ovviamente non è sempre in missione all’estero, ma ad esempio tra dieci giorni andrà in Iraq, per un periodo indefinito.
Qualcuno ha fatto caso a dove abita Yalçın? Esatto, Izmir dista novecento chilometri da Kayseri e io sono partito di là dieci giorni fa. Yalçın invece è partito stamattina, o meglio stanotte all’una, in modo da arrivare a Kayseri verso le dieci, dopo una tirata di ventuno ore. Avrei potuto aspettarlo comodamente a Denizli. Facciamo una rapida sosta per comprare un caffè lungo in lattina e ripartiamo verso Nevşehir. E da quattro giorni che sono a mille metri di quota e, come mi ha anticipato Mehmet, cinquanta chilometri oltre Sultandaği il paesaggio si spiana, coperto di campi. Poi, cinquanta chilometri oltre Konya, spariscono anche le coltivazioni. Qui sull’altopiano che ospita il Tuz Gölü, il salato-lago, il paesaggio raggiunge dei livelli che non ho mai visto. Non ci sono più alberi, li ho salutato già dalle parti di Konya. A volte si vede un cespuglio, uno, in lontananza. Non c’è neppure il verde perché la poca erba che c’è è morta per il freddo e per la siccità. Decine di chilometri di terreno orizzontale, secco e pieno di sassi, talmente inutilizzabile che l’unico uso possibile è venderlo. Qua e là incontriamo delle cave in cui si estrae il terreno sassoso, come se i turchi volessero sbarazzarsene. In un contesto del genere, improvvisamente spunta il cartello “Karatay Jandarma Hatıra Ormanı”. Orman significa “foresta”, ma non si vede un albero a perdita d’occhio, non so proprio a che cosa si riferisca, forse è solo un’opera d’arte di Dalì.
Speravo di vedere l’enorme lago Tuz, perché la strada passa a 27 chilometri dalla riva, ma mi rendo conto che non c’è speranza. Qui è talmente piatto che forse il lago è nascosto dietro la curvatura terrestre. Più avanti però il paesaggio riserva una sorpresa, una montagna che si erge a Sud per 2300 metri sopra il livello dell’altopiano. È un vecchio stratovulcano spento, con la cima coperta di neve.
Inizia a farsi buio, ma noi continuiamo a parlare, nonostante Yalçın conosca solo il turco. Non sono riuscito a comunicare molto con Börte, ma ho imparato molte parole e molta dizione. Ora che ci conosciamo abbastanza, provo a chiedere a Yalçın la sua opinione riguardo ai Curdi e al Kurdistan. L’esercito turco combatte i cosiddetti terroristi del PKK, quindi la sua opinione mi interessa parecchio. Poi qualcuno mi spiegherà perché curdi si scrive con la ci e Kurdistan con la kappa, perché io me lo sto chiedendo da un mese.
Per prima cosa, Yalçın che non c’è nessuno stato chiamato Kurdistan. Guarda la mappa, non c’è. Nessuno dei due sa come si dice mappa nella lingua dell’altro, ma quella cosa piatta in cui non c’è il Kurdistan è senz’altro una mappa. Fin qui niente di strano, mi sembra legittimo così come non è sbagliato sostenere che la Catalogna non esiste come stato perché fa parte della Spagna. Quello che chiedono i curdi non è un confine in più per limitare le possibilità di movimento, ma il diritto di esistere culturalmente. Qui arriva il colpo di scena, anche Yalçın riconosce l’importanza di proteggere la storia e la cultura dei curdi, che è stata ingiustamente calpestata per un secolo intero, cambiando persino i nomi e i cognomi delle persone. Ora per fortuna si può insegnare il curdo nelle scuole, come corso facoltativo. “Lo so Yalçın, però dovrebbe diventare un corso obbligatorio alla pari del turco, altrimenti non lo frequenta nessuno.” È comodo immaginare i piani di studio da far studiare agli altri, ma finira non mi sono accorto di essere caduto anch’io nella stessa trappola, forse. Yalçın risponde che sì, sarebbe bello insegnare anche il curdo nelle scuole, ma non c’è un sistema per insegnare il turco, il curdo e l’inglese contemporaneamente. Sarebbe un carico di studio enorme, e forse ha anche ragione. Nelle scuole italiane si impara bene una lingua e benino l’inglese, sarebbe impensabile aggiungere una terza materia con altre sei ore a settimana per insegnare ad esempio il tedesco, fino a renderlo una seconda lingua. In Italia nel Sudtirolo si insegnano tedesco, italiano e inglese in questo modo, ma il risultato non è un granché nella seconda e nella terza lingua. Ora, il Sudtirolo è piccolo e non minaccia l’integrità dell’Italia, ma il Kurdistan costituirebbe circa un terzo o metà della Turchia. I turchi parlano solo il turco, quindi se i curdi non imparano alla perfezione il turco il paese si spacca. Però c’è un però. Normalmente scrivo solo quello che sapevo al momento si è verificato quello che racconto, ma visto che sono in ritardo di due settimane, almeno che serva a qualcosa.
In questi quindici giorni passati in compagnia dei curdi, ho proposto questo dilemma a diversi interlocutori, i quali però hanno già finito di studiare. Loro non sono d’accordo, dovrebbero esistere delle scuole in cui si insegna in lingua curda, con delle ore in più per insegnare il turco. Fanno l’esempio degli Stati Uniti, dove la minoranza spagnola impara anche l’inglese o i francofoni in Canada sono bilingui. È vero, ma chiunque viva in un paese non anglofono oggi bisogna che impari anche l’inglese, e bene. Voglio vederli gli americani a imparare spagnolo, inglese e turco. Sarebbe bello, ma è adatto solo per linguisti provetti. Tuttavia adesso che sto scrivendo sono andato a cercare qualche informazione in più, scoprendo l’esistenza del sistema scolastico a immersione linguistica, ideato in Canada negli anni sessanta. A partire dalla scuola materna, i bambini frequentano un asilo in cui tutte le attività si svolgono in una lingua che non conoscono. Con il passare degli anni vengono introdotte via via sempre più ore di lezione nella loro lingua madre, fino ad arrivare all’ultimo anno di scuola dell’obbligo in cui metà delle lezioni sono in una lingua e metà nell’altra. Imparare perfettamente una lingua è un processo lungo, ma non è penoso se lo si inizia senza dover fare una verifica con il voto ogni due settimane. Alla fine del percorso di studi gli studenti sono bilingui e c’è spazio per insegnare una terza lingua, ad esempio l’inglese. Quindi Yalçın, un sistema esiste, solo che viene applicato in pochissime parti dei paesi più sviluppati e spesso è osteggiato in nome dell’uniformità culturale, quindi prima che arrivi in Turchia passeranno molti decenni.
Non mi aspettavo tanta apertura da parte di Yalçın, ho dei pregiudizi nei confronti dell’esercito e speravo che almeno lui mi mostrasse un po’ di quella mentalità chiusa e nazionalista di cui mi hanno parlato Same e alcuni degli altri curdi che ho incontrato. Adesso non so se il mio autista la pensa così perché il mio pregiudizio è sbagliato o perché sto incontrando solo le persone che sono disposte ad aiutare uno straniero, a parlare un’altra lingua eccetera eccetera.
20:18
Ecco Nevşehir, meno male perché ho bisogno di scendere. Buono il caffè in lattina, ma la caffeina aumenta la diuresi. Risolto il primo problema, basta solo trovare un posto per dormire. Sarebbe facile, se a Nevşehir esistessero i boschi. È già tanto che l’immensa pianura sia finita, interrotta dai primi rilievi, alti qualche centinaio di metri. L’altra difficoltà è che stanotte sulla pianura soffia un vento poderoso, al quale non si può sfuggire per mancanza di alberi. In realtà una macchia di bosco c’è, anche se dalle foto satellitari sembra abbastanza rada. Domani a Göreme andrò in ostello, promesso, ma questa notte la passo fuori, tanto in tenda il vento non c’è. Giro attorno al sito archeologico di Nevşehir, costituito da una città sotterranea scavata nell’arenaria. Incontro solo qualche passante in centro, poi le strade diventano deserte e ventose mentre seguo la strada che passa tra le case moderne e aggira la cima della collina traforata di abitazioni ipogee. C’è un cancello aperto, sono quasi tentato di accomodarmi in una stanza sottoterra, dove almeno non c’è vento, ma non vorrei ricevere visite stanotte. Vado al bosco, che è meglio.
venti minuti più tardi sto percorrendo l’ultima via della città quando passo accanto ad un riparo fantastico. C’è una scalinata che scende lungo un pendio, coperta da un tunnel rivestito di pannelli di plastica ondulata, che conduce alla porta di ingresso di un meccanico per auto, o forse di un ristorante. In ogni caso questo posto è appena stato costruito ed è ancora da ultimare, manca ancora il rivestimento definitivo della volta, ma il pavimento è perfetto e laggiù sicuramente il vento non arriva. Secondo le previsioni Eolo si dovrebbe placare un po’ verso mezzanotte, quindi nel frattempo posso aspettare laggiù, dove la temperatura è buona e c’è anche da sedersi. Nel cantiere di fronte c’è una transenna di lamiera che potrei prendere in prestito per la notte, ma per precauzione è stata legata e poi avvitata al tronco di un albero, mi sa che farò senza. Prendo giusto un mattone per tenere fermo l’angolo libero di un pannello di plastica, che spiffera.
Laggiù, dove regna la calma, mi siedo sui cartoni puliti a mangiare e a scrivere, mentre aspetto una telefonata da alcuni amici in Italia. Esco giusto per prendere una grossa pietra, perché il mattone è troppo leggero e le raffiche a 25 nodi lo spostano.
00:20
Non si sta così male qui in realtà, potrei quasi pensare di passare qui la notte. Di dormire non se ne parla, c’è troppa polvere per stenderci sopra il telo azzurro, e poi non è da escludere che possa passare qualcuno lungo la via lassù, anche se finora ho visto solo due macchine. No, non è una bella idea stare svegli tutta notte quando si è malaticci come me, meglio cercare un posto per riposare. Il bosco è troppo lontano e il punto panoramico è troppo in alto, anche se il bar che c’è là in cima probabilmente offrirebbe un ottimo riparo dal vento. Secondi me questa via porta in un posto abbastanza sperduto da andare bene anche se ci sono così pochi alberi.
Riemergo dal mio tunnel e dopo pochi metri incontro tre cani randagi, che iniziano ad abbaiarmi addosso. “Ora che so che siete spaventati ve lo leggo negli occhi, ma abbiate un minimo di buon senso e non svegliate tutto il vicinato, sto cercando di passare inosservato, perbacco.” No, non capiscono, anzi continuano ad abbaiare anche quando mi vedono ricomparire sul versante della collina oltre le case, trecento metri più in là. Non so cosa pensare, devo avere un aspetto terrificante.
Qui sulla collina la situazione è molto migliore di quanto sperassi. Probabilmente questo terreno è usato solo come pascolo, ma sono stati ricavati dei grossolani terrazzamenti dove crescono parecchi cespugli, che vanno benissimo per riparare la tenda dal vento. Salendo trovo anche una struttura circolare fatta con un muro a secco, una sorta di riparo monoposto a forma di nuraghe. Il mio spirito sardo cresciuto durante le tante vacanze in Sardegna si risveglia e inizio a spostare qualche pietra e le assi di legno che una volta sostenevano un telo di plastica. Ad un secondo esame però il luogo si rivela inadeguato, purtroppo. Stanotte dovrebbe piovere un po’ e non posso appoggiare il telo sulle rocce, si graffierebbe tutto. Inoltre ci vorrebbe un’ora per spostare tutte le pietre e le assi che ingombrano questo rifugio minuscolo. Meglio la cara vecchia tenda, dove posso dormire disteso. Appoggio lo zaino e vado in esplorazione dei dintorni, in cerca del cespuglio perfetto. Non lo trovo, ma poco più su c’è una conca semicircolare che dovrebbe riparare dal vento, quindi trasporto tutto là.
No, neanche qui va bene, il vento segue il terreno e arriva anche qui.
1:13
Il secondo giro di esplorazione è quello vincente, due terrazzi più su c’è uno spiazzo d’erba senza rocce al riparo di un grosso cespuglio. Trasloco di nuovo senza neanche bisogno della torcia, in queste notti si vede di nuovo la luna, finalmente. In pochi minuti la tenda è pronta, penserò domattina a capire che cosa sono questi piccoli frutti arancioni.
In tenda c’è caldo, prima salendo con lo zaino stavo addirittura sudando. Durante la telefonata in Italia la Gualtier ha detto che mi mandava un po’ di calore, ma deve avere esagerato. Tengo la giacca per sicurezza, ma un paio di calzettoni può bastare perché fa troppo caldo nel sacco a pelo. No, non ho la febbre.

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