Un autobus degno della NASA

Lezione di ieri: ci sono paesi che avrebbero fatto bene ad adottare le mascherine ben prima della pandemia.
Venerdì 01/07/2022 Kathmandu (Nepal)
Altre domande fresche fresche per Arjun. Aveva una mappa quando è andato a camminare là a Gokyo? No, non aveva un bel niente, semplicemente ha chiesto indicazioni lungo la strada. La cosa mi conforta, anche se per come mi muovo io una mappa farebbe comodo. A differenza del cellulare, la mappa non va a batterie.
Per colazione una tazza di tè e via che si parte, oggi ho un giro lungo da fare.
Per prima cosa faccio una visita all’ambasciata thailandese per avere la conferma che è possibile entrare due volte in thailandia nell’arco di sei mesi. I piani sono cambiati, o meglio hanno preso forma. Invece di attraversare di corsa il Laos per vedere il Vietnam, mi fermerò un paio di settimane proprio in Laos, che mi è stato tanto consigliato dalla Cate, mia cugina. Poche ore fa ho comprato il biglietto aereo per Bangkok, a duecento euro invece di trecento. Purtroppo il volo economico era disponibile solo per la mattina successiva alla scadenza del mio visto, ma sono sicuro che con un paio di email al ministero dell’immigrazione si risolverà tutto. I governi sono contenti quando vai via, dieci ore in più non fanno molta differenza in Nepal. Ieri sera avrei potuto prenotare per il giorno giusto, ma ero stanco e ho lasciato perdere.
All’ambasciata manca l’ambasciatore, perciò il portiere mi indica l’indirizzo email da contattare. In sostanza potevo anche non passare.
La seconda tappa dista un’ora e serve per prenotare il biglietto dell’autobus per Salleri. Lungo la strada ci sono sei piccoli cubicoli di legno tappezzati di tabelle orarie e prezzi, scritti con la numerazione nepalese. Sono inutili, ma io nel dubbio le cifre le ho già imparate. C’è un autobus che parte alla mezza e arriva a Salleri prima di domani mattina, tratto il prezzo per undici euro e mi resta solo da recuperare i permessi per il trekking in due ore. Considerando che il prezzo dell’aereo per Lukla è di 100-180 euro, 11 euro sono ottimi per 250 chilometri.
In due ore riesco giusto ad andare e tornare dall’ufficio che vende i permessi, mi serve un passaggio in moto, trovo un taxi che sa dov’è il centro e in un attimo sono dentro, a prelevare 85 euro per pagare tutti i permessi necessari. Mentre compilo moduli, vogliono anche sapere un numero di telefono del mio albergo qui in Nepal. Non sono stato in alcun albergo, lascio il numero di Arjun e dopo un’ora e parecchi timbri sono libero. Per fortuna avevo le fototessere fatte per la SIM, perché alla burocrazia nepalese piacciono molto. Al bancone dei permessi ci sono due miei colleghi che vanno a camminare nel parco dell’Annapurna e uno dei due è stato in Laos pochi anni fa. Ne parla molto bene, ma mi avverte che il governo cinese se ne sta appropriando come sta accandendo anche in Africa.
Faccio intuire a quello che rilascia i permessi che ho molta fretta, così taglia corto con le raccomandazioni e con le ciance sul profilo instagram dei parchi del Nepal e bla bla bla. In sostanza dovrei essere l’unico escursionista a fare il trekking dei tre parchi questa settimana, mi consiglia si prendere una guida ed è pericoloso ed è la stagione delle piogge. Ha fatto bene a ricordarlo, ma lo sapevo già.
Appena finite le formalità ho mezz’ora per arrivare al botteghino e comprare il biglietto, ma le strade sono intasate qui in centro, perciò conviene comunque camminare piuttosto che stare in colonna su un taxi. Al primo semaforo riesco a trovare una moto, che mi dà un passaggio fino all’autobus. L’autobus però va pianissimo e non ho margine sulla partenza dell’autobus, mi serve davvero un taxi.
Così per 400 rupie arrivo a destinazione un pelo in anticipo e gli lascio tutta la banconota da 500.
L’autobus non è ancora partito e i due venditori mi fanno accomodare sulla panca del botteghino, tanto non avrei tempo per comprare il cibo per il trekking, come mi ero proposto. Va bene lo stesso ho recuperato un giorno e ne vale la pena. Così porto anche un po’ di soldini lassù a Salleri, che è meglio.
Alle 12:30 partiamo, siamo solo in quattro, ma la corsia centrale è piena per metà di secchi di pittura, per fare anche da trasporto merci. L’uscita da Kathmandu è infinita e richiede un’ora, perché il copilota deve gridare “Salleri” per tutta la città cercando di attrarre qualche viaggiatore dell’ultimo momento. Non ci riesce, ma ci fermiamo a caricare parecchi schermi per wall screen, delle lastre di vetro già rotte, un WC, altra pittura, una lampada.
Si parte da Kathmandu alla fine ma piano piano a causa del traffico. È solo dopo vari chilometri che prendiamo un po’ di spinta, divorando la strada asfaltata a velocità sostenuta. Durante la prima sosta compro un sacchetto di trecce di pasta fritta, ricoperte di zucchero. Il negoziante le vende una a una, resta stupito quando compro tutto il pacchetto. L’intento è pranzare, perché sono a digiuno da ieri pomeriggio. Dopo le prime due trecce però mi devo fermare perché sarà meglio impiegare questo cibo secco e appetitoso come scorta per il trekking.
Poche ore dopo infatti ci fermiamo per il pranzo. Faccio del mio meglio per mettere insieme un piatto grosso, ma in realtà non è grosso quanto il mio appetito. Ripartiamo sulla strada accidentata, che sarebbe perfetta se non fosse invasa dai detriti ogni chilometro o due. Questa non è più l’autostrada e incrocia continuamente dei corsi d’acqua che l’hanno riempita di montagne di fango. Per ragioni simili, anche il pendio sulla destra tende a sgretolarsi a causa del monsone. Frana inesorabilmente sulla carreggiata, troppo spesso per rimuovere tutta quella terra. Così gli autobus e le jeep semplicemente scavano due solchi con le ruote e contattano la nuova gobba. Fuori da Kathmandu il secondo uomo alla guida ha il compito di sporgersi fuori dalla porta e valutare la compattezza del suolo, dando indicazioni all’autista su come procedere.
Facciamo un’ulteriore sosta, questa volta per imbarcare due bombole di gas verdi e lunghe quasi due metri, che forse un tempo contennero azoto, ma ora sicuramente sono piene di gpl. Le bombole nuove virtualmente non esistono in Nepal, la ruggine testimonia la loro età.
Esaurito lo spazio calpestabile, siamo pronti per scavalcare altre frane inuna valle che diventa sempre più stretta, dove ogni lembo di terra meno inclinato di 45° è terrazzato e coltivato a riso o mais. Passo il tempo a cercare di capire come quelle case possano essere connesse alla strada principale. Probabilmente la strategia è non avere bisogno della strada, perché altrimenti è complesso arrivarci.
Cala il buio e siamo ancora in viaggio, su questa strada di qualità discutibile. È da tutto il viaggio che l’autista ascolta felicemente la propria colonna sonora MP3 di canzoni nepalesi, che a intuito devono essere grandi classici del pop.
Inaspettatamente, svoltiamo giù di strada, verso un punto dove la strada palesemente non c’è. Anzi, non mi sbagliavo, l’autista sta davvero attraversando il greto di un torrente, e quindi stiamo anche per guadare il torrente. Con un autobus, perché in Nepal gli autobus possono tutto.
Con qualche sobbalzo e scossone riguadagnamo la sponda, iniziando la parte bella del viaggio. Pochi chilometri dopo siamo già fermi a causa di una frana fresca fresca. Stavolta però è franato un piccolo segmento della strada, perciò ci sono gli uomini di tre camion già indaffarati per riempire il crollo alla luce dei fari. Ovviamente i camionisti nepalesi girano con il badile in tasca, perciò hanno quasi finito. Essendo privi di cemento e gabbie d’acciaio, hanno preso i pietroni più grossi dalla frana soprastante e li hanno usati come base per le rocce di dimensioni inferiori, che turano le intercapedini. Per finire li aiutiamo a gettare manciate di ghiaioni per pareggiare la strada, con il badile e con le mani. Annoto tutto perché può sempre tornare utile se anche a voi dovesse franare il vialetto di casa. Dal canto mio, non posso esimermi dal contribuire perché mettete le mani nella terra è il mio mestiere da quando ero alto così. Ho fiutato che c’era del lavoro per me e sono sceso immediatamente.
Nonostante la brillante riparazione, bisogna superare la curva con attenzione e questo non è che il primo di una lunga serie di passaggi inclinati sul ciglio della strada, che richiedono l’assistenza del copilota.
Mentre saliamo inizia a piovere, finché alle undici ci fermiamo a Okhaldunga, a sessanta chilometri da Salleri. Dipak, la guida himalayana seduta qualche fila dietro, mi spiega che ci fermiamo qui per la notte. Lascio il bastone sull’autobus e cerco si capire dove è sparito Dipak, trovandolo in un alberghetto vicino. Sarà incluso nel biglietto che ho pagato? Lo scopriremo domani intanto ci sistemiamo in una camera al piano di sopra, per poi andare a cena in cucina, con il locandiere e le due giovani cuoche. Dal bhat, cioè riso, zuppa di lenticchie, verdure, un pochino di carne di pollo e peperoncini freschi a centro tavola. Finito il primo giro si riempie di nuovo il piattone d’acciaio con il secondo giro, abbasso la fame. Capisco pochissimo nepalese, perciò il mio contributo alla cena è limitato a mangiare e parlare con Dipak.
Domani ci si sveglia alle 5:30, perciò dopo la cena ci aspetta il letto, che richiede una coperta per stare al caldo. È piacevole ritrovare il fresco dopo essere stati in Africa tutto il giorno.
Da ultimo, vado a cercare una presa in giro per l’albergo per ricaricare le batterie, sperando che non salti di nuovo la corrente come durante la cena.

2 commenti su “Un autobus degno della NASA”

  1. Luca Franceschi

    Deve essere un’esperienza assurda guidare un autobus su quelle strade, credo che per quanto possa immaginarmi roba strana cio che hai visto in quel tragitto sia impensabile.

    1. Ho immaginato molto realisticamente, grazie alla tua descrizione, l’autobus e voi come in un film tra frane, dirupi, piogge e altre disavventure!!! Che paura però!!!

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