Trovare l’India in Croazia

Lezione di ieri: I tetti sono divoratori di tegole.

Venerdì 05/11/2021 7:15

Il camper non si è scaldato, ma ho dormito bene lo stesso. In perfetta sincronia, esco proprio mentre Branko e Rex mi vengono a chiamare per la colazione: pane e formaggio arrostiti in forno e purè di castagne. Non l’ho ancora precisato, ma in questa casa le fette di pane sono abbastanza spesse da stare in piedi da sole, che è lo spessore ideale delle fette. La festa inizierà verso mezzogiorno, quindi facciamo colazione in fretta perché Branko deve andare a Ogulin per delle commissioni. Questa volta, a malincuore, gli dico che preferisco aspettarlo a casa perché ho da fare, cioè scrivere. Lui non si sente tranquillo a lasciarmi la sua casa, giustamente, perciò vado con lui. Anche questa volta non me ne pentirò. Lungo la strada ci fermiamo a fare la spesa, prendiamo un carrello che è grande una volta e mezzo quelli italiani e io mi aspetto che si riempia, ma usciamo con in mano una borsa da dieci chili di detersivo e siamo a posto. In effetti ci potevo arrivare da solo, quando uno è vegetariano e coltiva l’orto, cosa se ne fa dei supermercati? Il passo successivo è andare da un meccanico per far aggiustare la ventola del radiatore. Mentre la ventola è sotto i ferri, abbiamo un’ora per fare un giro turistico del centro di Ogulin. Subito mi saltano all’occhio due specie rarissime, chimeriche, frutto di combinazioni assurde e imprevedibili: l’albero dell’uva e un croato in bicicletta. Nel primo si vede il trucco, infatti alla base dell’albero con i rami carichi di foglie gialle e grappoli neri c’è il tronco della vite. Il secondo invece mi lascia disarmato, ormai ero convinto che non potesse esistere. A Ljubljana sono così fanatici della bici che pedalano anche durante le proteste del venerdì, ma in tutta Rijeka non ho visto neanche un monociclo, né nel resto della Croazia attraversata fin qui. Fortunatamente sono riuscito a scattare una fotografia che ne prova l’esistenza.

Il centro di Ogulin è, se possibile, ancora più sconvolgente. Attraversandola sembra una normale città con un normale castello, solo che sotto al castello si apre una voragine da cui si accede ad un sistema di grotte lungo più di 16km. Da questa voragine fuoriesce un corso d’acqua che ha scavato un canyon che in caso di piena può arrivare a riempirsi fino a lambire la strada sovrastante. Ci sono anche alcuni cartelli turistici che illustrano la fauna endemica della grotta e spiegano che fa parte della rete di aree protette Natura 2000. Branko non sa di cosa si tratta e qui i ruoli di guida e di turista si invertono, dato che io alla mattina mangio pane burro e Siti di Importanza Comunitaria.

  • Inizio della rubrica dell’ecologo

Le aree protette della rete Natura 2000 sono praticamente ovunque in Europa, e spesso chi ci abita vicino non sa neanche che esistono, perché la maggior parte di questi siti è molto piccola, grande come un monte o un piccolo bosco o un tratto di un torrente. Per chi non si commuove nel vedere una pianta di un verde particolare o un insetto di una tonalità di marrone assolutamente unica, ciascuna di queste aree è assolutamente insignificante. I parchi nazionali sì che sono importanti. Tuttavia, queste aree protette nascono per svolgere un compito impossibile per i grandi parchi, cioè conservare più biodiversità possibile senza pretendere che il mondo diventi un unico enorme parco naturale. Se in un luogo c’è una specie particolare o un habitat particolare, basta una piccola area protetta per garantire che la specie persista. Con poco disturbo e poca superficie si crea un campionario delle specie presenti su una vasta area, in questo caso l’Europa. L’insieme di queste aree protette ad esempio garantisce agli uccelli migratori dei luoghi protetti in cui atterrare. Faccio un altro esempio. Nel mondo è nota una sola specie di spugna d’acqua dolce che viva in una grotta. Questa spugna si trova solo nella grotta di Ogulin. (L’ho scoperto adesso, non lo sa neanche Branko.) Il guaio è che i cuccioli di spugna non sono pelosi e con grandi occhi neri, quindi sarebbe complicato istituire un parco nazionale solo per loro. Nell’insieme, le aree protette europee sono cruciali per conservare la maggior parte delle specie rimaste in Europa.

  • Fine della rubrica dell’ ecologo

Il castello di Ogulin non è tanto grande, ma ha parecchi secoli e, come quello di Ljubljana, nel secolo scorso è stato usato come prigione. “Noi slavi siamo molto pragmatici”, dice Branko ridendo. Nei pressi del canyon e della ferrovia di Ogulin ci sono anche delle postazioni difensive in cemento costruite negli anni novanta. Durante la guerra Branko aveva circa la mia età ed era arruolato nella contraerea. Dice che è stato divertente e mi lascia di stucco. Torniamo dal meccanico, che sta ultimando alcune saldature. Anche l’officina non è esattamente come quelle a cui sono abituato: piene di attrezzi, banconi, sollevatori per auto e calendari di donne nude. Le pareti sono spoglie e non ci sono banchi da lavoro, solo un uomo di bassa statura che porta un paio di occhiali tondi in punta al naso aquilino. Sta lavorando un po’ come lavoro io a casa, cioè su un piccolo tavolino con le ruote, ingombro di attrezzi e parti meccaniche. A guardare bene, dietro c’è anche un altro piccolo tavolo, nascosto sotto quell’altra catasta di attrezzi. Ad ogni modo il meccanico lavora con la maestria di un artista e mentre rimonta il pezzo ho tempo di guardare bene anche un sollevatore vecchio stile, praticamente un vano interrato sopra al quale parcheggiare la macchina. La stanza sul retro rovina tutto, lì c’è un sollevatore a colonne e un bancone da lavoro. Ripassando dal solito forno per la terza volta, finalmente troviamo del pane vecchio per Rex, i gatti e per la festa di oggi. Sulla via del ritorno vengo a sapere che l’Audi A4 di Branko, che ha solo 360000 km, è ancora giovanissima per gli standard croati. Qui gli stipendi sono più bassi e le auto costano uguale, quindi invece di sostituirle precocemente le si porta a fine vita, che può essere cinquecentomila come un milione di chilometri. L’altro argomento della via del ritorno sono le ambulanze, onnipresenti in questa parte di Croazia. Allo stesso modo in cui le ambulanze italiane vanno a fare assistenza alle manifestazioni sportive, qui assistono gli artificieri che si divertono a cercare le mine. Lo sminamento sta costando alla Croazia mezzo miliardo di euro e secondo il governo terminerà nel 2026. C’è un piccolo problema però, solo alcune aree minate sono state mappate e quindi già bonificate. Le zone ancora contaminate le trovano i migranti quando attraversano i boschi. Branko mi spiega che in questa zona sono state sepolte così tante mine che non si troveranno mai tutte, anche perché una parte di esse risale alla seconda guerra mondiale. Per mia fortuna non si è combattuto nella zona di Plitvice.

12:20

Stavolta a Lička Jesenica parcheggiamo in fondo alla via, davanti alla casa di un vicino di casa di Branko che ha una stalla con una vacca. Per prima cosa le portiamo una grossa pagnotta, immediatamente apprezzata, poi andiamo fino ad una piccola costruzione in legno con la parte inferiore dipinta di blu, accompagnati da un gatto cieco. Da qui in poi non la mia descrizione non sarà per niente corretta perché tutte le spiegazioni di questi giorni non bastano neanche lontanamente a comprendere tutta la simbologia che sottende alla cerimonia, quindi perdonami Branko se scrivo inavvertitamente qualcosa di sbagliato o di offensivo. Per prima cosa ci si tolgono le scarpe, per poi aprire una porta con scritto Be happy! (Sii felice!). La porta è sul lato destro del tempio e l’interno è una stanza arancione sgargiante, piena di quadri e poster alle pareti, con un grande tappeto per terra. A sinistra ci sono una panca, sedie e cuscini, più una piccola libreria nell’angolo. Al centro della parete c’è invece un altare dedicato a Srila Prabhupadas, uno dei maestri di questo credo. Si chimerebbero guru, ma è meglio tradurre con maestro perché qui in Occidente con la parola guru di solito si intende un cialtrone. Di fronte e di fianco a me, sulle pareti laterali ci sono alcuni dipinti che rappresentano Krishna, una scena di danza al chiaro di luna e dei pavoni che fanno da sfondo alla stufa a legna. Sulla destra inizia la parte migliore. Al centro, dietro un sipario spalancato c’è un altare a gradini, su cui si trovano in alto le rappresentazioni astratte delle tre deità Subhadra, Balabhadra e Jagannath, alte 40-50cm. Sono tre grandi facce stilizzate, con due enormi occhi e un ampio sorriso: una gialla, una bianca e una nera, agghindate di fiori, oggetti luccicanti e mille altri dettagli così curati che da pochi metri di distanza sono comunque invisibili. Sui gradini antistanti ci sono immagini di Krishna e di altre incarnazioni di Vishnu, oltre alle icone dei maestri Hare Krishna e una quantità impressionante di piccoli oggetti variopinti e luccicanti che servono ad abbellire la composizione. Dietro l’altare c’è un grande pannello ad angolo con un prato fiorito a fare da sfondo. Nell’angolo a destra dell’altare c’è qualcosa di veramente singolare per un tempio: c’è la cucina! Davanti all’altare, su un piccolo carrello, c’è un vassoio di metallo che contiene una rappresentazione dei soggetti della festa di oggi: la collina sacra chiamata Govardhan e le vacche. Il vassoio è una teglia da forno, la collina è fatta di qualcosa che sembra polenta e sopra ci sono degli alberi-broccoli e alcuni animali di plastica: alcune vacche, un pavone e un pappagallo. I partecipanti sono una dozzina: uomini e donne tra i 35 e gli 80 anni. Alcuni sono vestiti all’occidentale, altri indossano i vestiti tradizionali dei bramini, a seconda di come ciascuno si sente a suo agio. Un paio di loro hanno anche le due linee bianche verticali dipinte in mezzo alla fronte e i capelli rasati, un’altro porta un ciuffo di capelli sulla nuca. Per prima cosa usciamo di nuovo per tornare nella stalla a viziare la vacca con pane e ortaggi vari, accompagnati da una litania e dal suono di un manjira, due cembali uniti da una cordicella. Uno degli officianti passa con un fiore in modo che ciascuno possa annusarne il profumo, dopodiché lo mangia. Subito dopo accende una piccola candela e ciascuno passa le mani sopra la fiamma come per cospargersi la faccia e la testa con il fumo. La musica prosegue incessante nella piccola stalla, mentre un paio di gattini di pochi mesi si affacciano alla porta per chiedere che cosa si festeggia. Come ultima cosa si pettina la vacca con un striglia quadrata, per avere protezione e buona fortuna. Ci spostiamo di nuovo al tempio per proseguire la cerimonia con un canto in sanscrito, che è una lingua musicale, ma con alcune parole lunghissime pronunciabili solo da pochi eletti. Conosco bene lo spirito di accoglienza di queste persone perché Branko in questi giorni me ne ha dato un’idea abbastanza chiara, ma né lui né io ci aspettavamo che mi si includesse tout court tra gli altri partecipanti. Io apprezzo e li aiuto in quello che fanno, inoltre in questo modo smetto anche di sentirmi a teatro in un contesto che senza dubbio non è una recita. Mi sembra anche una forma di rispetto. Ad ogni modo, dopo questa preghiera iniziale qualcuno si siede a terra con una pianola e un microfono e inizia a intonare un mantra a ritmo allegro. Il mantra è quello che rende famosi i devoti Hare Krishna e ripete in varie combinazioni i nomi Hare, Krishna e Rama, le più potenti incarnazioni di Vishnu. Continuerà per almeno mezz’ora, forse di più, variando l’intonazione ma senza perdere ritmo. Nel frattempo continuano a spuntare nuovi strumenti a percussione per arricchire l’accompagnamento. Lentamente, nella stanza iniziano a diffondersi i profumi di spezie della cucina indiana. Si ripete ancora un paio di volte il gesto delle mani sulla candela e poi la musica si interrompe. Nel frattempo ho notato che in cima alla collina di polenta è stata messa una specie di piccola sedia argentata con al centro una pietra sacra, una shaligram shila a parallelepipedo con dipinti due grandi occhi. È grande pochi centimetri, è circondata di decorazioni luccicanti e porta in testa una specie di cappello a cuscino tempestato di paillettes verdi. Ora è il momento di quella che in una messa corrisponde alle letture. Uno dei partecipanti vestiti in abiti braminici, sbarbato e rasato, si siede in un angolo e inizia a raccontare la storia di questa collina sacra dalla quale deriva anche la sacralità delle vacche in India. La storia di Govardhan puja (si legge pugia) è lunga e fitta di vicende in cui intervengono così tanti personaggi che il racconto dura più di mezz’ora. Branko me ne ha già parlato ieri l’altro ed è così gentile da fare da traduttore simultaneo durante tutta la storia, che naturalmente viene raccontata in croato. Colui che racconta la storia è decisamente bravo e lo fa con grande entusiasmo e si aiuta anche con la mimica. Nel frattempo inizia ad arrivare profumo di frittura. Al termine del racconto si ricomincia con il mantra iniziale accompagnato dalla pianola. La shaligram shila è stata posta su un tavolino con sopra una tovaglia plastificata e sotto, appoggiato a terra, un secchio giallo. Su un altro tavolo a destra intanto si sono accumulate le prime pentole di cibo. A questo punto due dei celebranti prendono la grossa conchiglia forata, chiamata shankha, che finora era stata usata come strumento a fiato, e la riempiono di yogurt. Poi, mentre uno suona un campanello, l’altro versa lo yogurt sopra la pietra con gli occhi. Il liquido esce da un foro della tovaglia e viene raccolto nel secchio. Poi pian piano ciascuno si alza e ripete lo stesso gesto e quando si vuota la pentola dello yogurt si passa al succo di mela fatto in casa e infine al latte. Per aiutare a drenare il liquido dalla conca della tovaglia usano una mela. Ripulito il tavolo, ognuno a turno prende uno stuzzicadenti avvolto con del cotone intriso di cera e lo accende. Con il lumino tra le dita, muove la mano in cerchio per tre volte intorno a una delle icone, a ogni statua e ai maestri Hare Krishna, poi lascia lo stecchino in una scatola di sabbia ai piedi dell’altare. A questo punto tutti si alzano e si inizia a camminare in cerchio intorno alla collina e alla shaligram shila, cantando un mantra e accompagnandosi con i cembali e battendo le mani a ritmo. La camminata e il canto diventano vivaci e qualcuno inizia quasi a ballare, mentre io colgo l’occasione per analizzare ad ogni giro dei nuovi dettagli della stanza e dell’altare. L’altare è così ricco di dettagli che potremmo girare in tondo per ore prima che riesca a guardare tutto.

Nel raccontare tutto una settimana dopo che è successo probabilmente ho cambiato l’ordine di quello che è successo, spero che non sia troppo grave.

La cerimonia termina dopo un paio d’ore, quando ormai il tavolino stracarico di pentole non potrebbe ospitare neanche una tazzina da caffè. Tutte le pentole fanno un rapido passaggio davanti all’altare in modo che una piccola parte possa essere offerta a Krishna. Ci sediamo per terra, ciascuno riceve un piatto e un bicchiere d’acciaio e il più giovane del gruppo inizia a distribuire le portate del pranzo gargantuesco che è stato preparato. C’è un’abbondanza di cibo impressionante, otto pietanze indiane in quantità quasi doppia rispetto a quanta ne possiamo mangiare. Ho visto così tanto cibo solo ai compleanni delle gemelle a Campegine. Tutte le preparazioni coabitano nello stesso piatto formando una montagna che viene istantaneamente rimpinguata dal nostro diligente cuoco e cameriere che passa a offrire i bis e i tris di ogni cosa. Nessuno fa complimenti e tutti i piatti si riempiono quanto il mio. Da bere c’è il mix di yogurt, succo di mele e latte che è stato raccolto nel secchio. È complicato arrivarci in fondo, e chi mi conosce forse ha un’idea di quanto cibo ci fosse in quel piatto. Prima ancora di aver finito con il cibo salato arriva il dolce che, come si sa, finisce in uno stomaco a parte, quindi ci sta sempre. Ecco che torna la collina di polenta e farina di castagne, privata dei broccoli e accompagnata con riso dolce, più un’altro dolce fritto. È tutto buonissimo, e solo verso la fine mi accorgo che in effetti non c’è carne in questo banchetto. Devo ammettere che all’inizio, guardando i miei commensali, non avrei scommesso una lira sulle possibilità di alcuni di finire quella montagna di roba. Mi sono dovuto ricredere, nei piatti non è rimasto un chicco di riso.

Durante il pranzo sono seduto di fianco a Marjan, che ha circa 55 anni e mi sembra vestito secondo la migliore moda contadina di un secolo fa. Ha un berretto grigio di lana tirato indietro a scoprire la fronte e un ampio maglione di lana grigio e rosso. Ha anche al collo una sciarpa grigia e rossa e un sacchetto di tessuto arancione che scende fin quasi alla pancia, che immagino contenga alcuni effetti personali. Per come è vestito, per la faccia rossiccia e per suo il naso importante, non posso fare a meno di pensare che sicuramente Biancaneve è preoccupata e lo sta cercando. Appena ci sediamo mi porge un libro scritto da lui, che è una raccolta di brani sacri attinenti alla vacca, con annessa traduzione. Non aveva mai scritto un libro prima di questo, ma avendo una notevole esperienza come allevatore si è sentito chiamato a scriverlo. Ha studiato economia a Sarajevo ed è entrato in contatto con gli Hare Krishna quando era ancora studente. Un uomo ha bussato alla sua porta presentandogli questo credo che richiede di vivere una vita sobria e di abbracciare questa fede. Lui, che già allora non fumava, non beveva, era praticamente vegetariano e non era neanche fidanzato, leggendo per la prima volta le norme di comportamento ideali dei bramini ha pensato: “Ma questo sono io!” Sapeva di essere un po’ anomalo, e ne ha trovato la ragione. Nella vita ha non ha mai posseduto delle vacche, ma era incaricato di accudire quelle di alcuni proprietari della zona. Ora ha smesso, alleva le api e vende miele e libri. Da quello che ho capito finora non è per niente semplice trovare un lavoro fisso da queste parti, ciascuno si crea una professione o magari più di una, spesso in proprio. Non ci sono grandi fabbriche, uffici o imprese edili, ma contadini, artigiani, e muratori-carpentieri-architetti, come Darko. Darko è uno dei presenti, al quale diamo un passaggio a casa alla fine della festa. Al momento non ha un lavoro, ma sta costruendo una casa per affittarla ai turisti l’anno prossimo. Salutiamo tutti quanti e torniamo a casa.

Qui approfitto per scrivere mentre Branko esce a fare un paio di commissioni, questa volta lasciandomi solo in casa propria. Al suo ritorno cerchiamo di raccomodare la fibbia del mio marsupio, che ieri sera è esplosa quando è rimasta incastrata nella portiera della macchina. Naturalmente mi trovo con la persona adatta a questo genere di lavoro, e due grosse fascette sono un’ottima soluzione provvisoria. Verso l’ora di cena arriva il più anziano dei presenti alla festa di oggi, di un’ottantina d’anni. Si siedono al tavolo davanti ad un foglio di carta per scrivere a mano l’atto di cessione di un piccolo appezzamento di terra. Non è mai bello avere dei debiti e vendere della terra a un amico è un buon modo per ottenere la liquidità necessaria a saldarli e vivere più serenamente. L’amico di Branko si chiama Vamshivata (credo che Hare Krishna sia il suo secondo nome) e al momento di tirare fuori i contanti inizia a contare le banconote da 50 e 20 kune fino a più di un migliaio di kune, che sono una bella mazzetta. Parla un po’ di italiano e di inglese e si mette a scherzare con me su questo losco mercanteggio mascherato da vendita di terra. Il fatto che si ricordi una parola di italiano alla volta aggiunge enfasi al suo “Questa è mafia. Questi soldi sono per ammazzare un uomo” “Now you know our secret” “Sì, e adesso che conosco il vostro segreto voglio una percentuale per tenere la bocca chiusa.” Pensavate di insegnare a un italiano come funzionano queste cose? Poco dopo Vamshivata si fa serio e pensieroso, alza un po’ la testa e chiude gli occhi come ogni volta che deve sottolineare una frase seria e chiede in inglese. “Perché mai uno dovrebbe accettare del denaro in cambio della vita di un uomo?” “Quanto vale una vita?”Aggiunge “I soldi sevono per far impazzire l’uomo, lo rendono avido.” Dice che ha memoria di quando, 62 anni fa, ancora non si usavano i soldi da queste parti. I prodotti dell’orto e la frutta non hanno un valore definito e si potevano anche offrire senza chiedere niente in cambio. Qui dove gli stipendi sembrano essere un’eccezione, l’autosufficienza alimentare è molto praticata.

22:30

Ormai è abbastanza tardi e ci saluta. Mi augura, in italiano, “una buona vita, bambino.” Conosce poche parole, ma la pronuncia è impeccabile. Branko mi chiede di nuovo se voglio qualcosa per cena, ma l’infuso di salvia era proprio quello che ci voleva per saziarmi. Arrostisco le dieci castagne che ho raccolto in Slovenia prima di Velika planina e poi si va verso il letto. Domani, Plitvice. Stasera Branko è così gentile da offrirmi una stanza e un materasso. Non è fondamentale accendere la stufa, ma lui mette a bruciare parecchi ciocchi, aggiungendo che tanto la legna per lui è gratis. Io in bagno lavo alcuni vestiti, scrivo un po’, poi verso l’una e mezza lascio perdere e vado a letto.

4 commenti su “Trovare l’India in Croazia”

  1. Caro Riccardo, è tutto veramente molto emozionante. Un altro mondo, e pensare che è a due passi da qui…
    Hai conosciuto delle persone speciali e l’incontro con Branko è stato proprio un “incontro fortunato”, non c’è che dire!!!
    Ti abbraccio

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