The air is very dance

Lezione di ieri: nessun luogo è troppo remoto per trovare una pizza.
Venerdì 10/11/2023 Oceano Pacifico (Isole Cook)
Vento a quindici nodi, lunghe onde da Sudest, non una nuvola in cielo. Ecco la ricetta per far marciare Valiant a sette nodi e mezzo di velocità media. Non potete immaginare quanto faccia piacere al capitano vedere la barca filare così veloce. È la velocità media di navigazione che ci era stata prospettata alla partenza dalla Nuova Zelanda, ma in verità la raggiungiamo solo quando le condizioni sono ideali. Mentre Charlotte prepara allegramente una torta, dice che abbiamo trovato il punto di pressione di Valiant. Istintivamente penso ai punti di pressione del ju-jitsu, ma in realtà è una metafora sessuale. Ci facciamo una risata e si continua verso Sud, di gran carriera.
Nelle ultime ventiquattr’ore abbiamo ritrovato il corridoio di vento miracoloso e stiamo riducendo a buon ritmo la distanza da Raiatea, cambiando direzione ogni volta che il vento gira troppo a Nordest o troppo a Sudest. In maniera apparentemente spontanea, è nata nella mente del capitano l’idea di sfruttare questo corridoio di vento medio per guadagnare distanza verso Est. È bello pensare che questa idea sia stata suggerita dai ragionamenti ad alta voce tra Lord Asparagus e me, finalmente il piano ha prevalso sulla famosa strategia del Sud.
Oggi il morale a bordo è altissimo, possiamo finalmente distendere i nervi e godere della brezza senza fare anche la doccia d’acqua dolce e salata.
Nel tardo pomeriggio mi intrattengo insieme a mastro Ernests, parlando delle feste italiane e lettoni. Innanzitutto le vacanze scolastiche sono organizzate nella stessa maniera, con tre mesi di meravigliose vacanze estive per dimenticarsi completamente della scuola. Poi si festeggiano il Natale, capodanno e Pasqua. Che tu sia in Italia oppure in Lettonia, passerai comunque il Natale con i tuoi e Pasqua con chi vuoi. Lassù nei paesi baltici però è sconosciuto il carnevale, il ché mi pare una vera tragedia.
C’è una festa estiva equivalente al ferragosto, ma anticipata a 23-24 giugno, la notte di San Giovanni. Si chiama Jāņi (che si pronuncia iaagni) e prevede festeggiamenti all’aria aperta con tanto di falò. Poiché si accende un falò, è bene non sprecare l’occasione e saltare oltre le fiamme, che porta sempre buona fortuna. C’è un’altra usanza legata a questa festa, infatti gli innamorati vanno in giro per boschi in cerca del famoso fiore di felce. Poiché i fiori sono ancora oggi un brevetto esclusivo delle piante fanerogame, gli innamorati hanno un bel da cercare. Va a finire che si imboscano.
Per Pasqua, tradizionalmente, si colorano le uova facendole bollire con le bucce di cipolla. Niente di eccezionale, sono capaci tutti, ma i lettoni hanno elevato l’arte ad un livello superiore. Sulle uova da bollire si appoggia una foglia o un fiore, ben pressati sul guscio da un apposito involucro di tessuto o di rete. Così le uova si colorano di marrone e resta sul guscio l’impronta delle decorazioni floreali. Qui veniamo alla parte più interessante, alla vera svolta di una conversazione apparentemente casuale. Le suddette uova non vengono utilizzate solo per la caccia al tesoro, ma anche e soprattutto per un gioco che si chiama olu kaujas o olu sišanās che significano rispettivamente “battaglia di uova” e “picchiare le uova”.
Sbalordito, guardo Lord Asparagus. “Amico mio, in due anni di viaggio sei la seconda persona che incontro ad essere a conoscenza del gioco della scosètta! Il primo è stato Sercan Çimenlik a Kars. Com’è che si chiama il gioco in Turchia…? Diavolo, sono sicuro che mi tornerà in mente.” Con questo si aggiunge un’altra pagina importante alla ricerca etnografia sulla diffusione di questo gioco transfrontaliero.
Parlando di giochi con le uova, non posso non raccontare a mastro Ernests di un aneddoto che mi ha raccontato Beppe (Giuseppe Zanichelli), nelle lunghe serate di chiacchiere ai corsi di fisica sull’appennino forlivese. A quanto pare alla sagra di Poviglio si svolge una competizione di lancio delle uova. Si partecipa a coppie e bisogna passarsi un uovo fresco, lanciandolo. Lo scopo è prendere l’uovo al volo senza romperlo. Se si supera la sfida, ciascuno fa un passo indietro e si ripete il lancio, fino alla distanza massima. Ogni volta si hanno a disposizione tre tentativi. Come mi spiegò Beppe, da anni il record è detenuto dal figlio del fornaio e dal figlio del macellaio. Almeno, credo che fosse questa la professione di Luca Gualdi e Manuel Setti, coloro che fecero volare un uovo, indenne, per ben 37 metri.
Mentre stiamo amabilmente chiacchierando, il capitano rompe l’idillio annunciando che c’è un nuovo rumore proveniente da dentro l’albero. L’albero è cavo, perciò si sente sempre il clang-clung-clang dei cavi che sbatacchiano all’interno. Noi due buoni a nulla non ci facciamo caso, ma Charlotte è uno stetoscopio umano e ascolta la barca con la meticolosità di un direttore d’orchestra. Non sembra preoccupante, per il momento, ma sicuramente non è normale.
Alle quattro accendiamo il motore, per ricaricare le batterie. È già da settimane che il contagiri non funziona più, ma da quattro giorni abbiamo un problema ben più grave. Si è crepato un piccolo pezzo metallico che regge uno dei due tubi idraulici che regolano la manetta del motore. Questo vuol dire che da un momento all’altro potremmo perdere la marcia in avanti. Senza marcia in avanti, entrare nella laguna di Raiatea a vela sarebbe da incoscienti, avremmo bisogno di un rimorchiatore. Charlotte si è accorta di quella piccola crepa solo grazie ai suoi controlli scrupolosi e sistematici di ogni anfratto della barca. Alla fine ha deciso di scambiare il pezzo che regge la marcia avanti con quello della marcia indietro, così da sacrificare quella meno importante. Oltre a questo problema, l’acqua di mare che ha allagato il pozzetto nelle scorse settimane si deve essere infiltrata dietro il quadro di avviamento, ossidando alcuni contatti. Adesso accendere il motore è diventato un’impresa e ogni volta bisogna incrociare le dita.
Spegniamo il motore due ore più tardi, quando è già buio e le stelle sono tutte accese. Ah, che pace!
Valiant prosegue indisturbata e rapida, scivolando tra le onde incrociate provenienti da Est e da Sudest. Sono onde lunghe e lisce, del tutto innocue. Mangio una grossa scodella di strani noodles di grano saraceno conditi con prelibate diavolerie asiatiche della scorta personale di Charlotte, poi sono pronto per il riposo.
Lord Asparagus deve scuotermi un bel po’ per svegliarmi, ma infine balzo in piedi e lo sostituisco al timone, a mezzanotte. Le condizioni di navigazione sono immutate, sempre dritto sull’oceano placido. Mi concentro a individuare le costellazioni, ma dopo un’ora ho esplorato tutto il cielo. Seguo una stella, muovendo il timone appena appena perché la barca si dirige quasi da sola. Ho la testa pesante, mi siedo sul bordo del pozzetto per avvinghiarmi col braccio alla battagliola di dritta. Ci risiamo, ecco uno di quei turni in cui non faccio che guardare l’orario in attesa che passino le tre ore. Ho la testa ciondolante, ogni tanto mi appoggio al cuoio scamosciato della ruota, poi mi rialzo a fissare l’orizzonte, da sotto queste palpebre pesanti. Finora tutto bene.
Patapum!
Che è successo?
Ahia, è il mio ginocchio! Non ci vedo niente, in che posizione sono?
Tendo l’orecchio, per verificare se qualcuno ha sentito il tonfo. Per fortuna il capitano dorme, sono salvo.
Mi devo essere ribaltato di lato, cadendo di peso sul sedile del pozzetto, con la gamba destra distesa a forza e incastrata tra la murata e la ruota del timone, che perciò mi preme sul ginocchio. Non mi sono fatto niente, sono solo un asino.
Adesso sono decisamente sveglio, e ho modo di riflettere ancora una volta su quante volte mi sia già capitato di abbioccarmi alla guida. Non solo alla guida della deriva sul lago di Garda, talvolta, ma alla guida della macchina dopo aver guidato per dieci ore sotto la calura estiva. Sveglia prestissimo, due o tre ore di macchina per arrivare al lago, cinque o sei ore di navigazione e altre tre ore di guida al ritorno, se non c’è troppa coda sul lungolago. Fermarsi per un pisolino sembra una perdita di tempo infinita, noi europei abbiamo una vita impegnata. Ormai so anche come funziona, l’abbiocco per me dura esattamente quindici minuti e si ripete finché non interviene uno spavento sufficientemente grande. Sì sono un pericolo pubblico, o forse lo ero. Sicuramente viaggiare fuori dall’Europa mi ha aiutato a pensare al Tempo con meno avidità. Spero di essere diventato più intelligente, ma a scanso di equivoci scrivo qui un mea culpa nero su bianco, così mi ricorderò di essere un asino. (Forse un potenziale criminale, gli asini non hanno colpa.)
All’alba ormai sono sveglio, rilevo accuratamente l’altezza di una mezza dozzina di astri e poi vado a buttare le ossa nel letto. Mi risveglio alle otto, in largo anticipo per il turno successivo. Passando accanto al tavolo del carteggio, noto una strana annotazione sul giornale di bordo. “Capitano!”
“Che cos’è questa storia degli sbuffi di cetacei? Che cosa hai sentito ieri notte?”
Durante il primo turno di notte, Charlotte ha sentito un rumore di sfiatatoi, nelle vicinanze di Valiant. Ovviamente non si è affatto degnata di avvertirmi, ma per fortuna non ha visto niente. Per fortuna.
Charlotte intanto non si è affatto accorta del mio disappunto, sale in pozzetto e ci informa di una strana sensazione che ha avuto stamattina presto. “This morning the air is very dense”, afferma. Il capitano mi dà le spalle mentre guardo Lord Asparagus, alla ruota. In piedi sulla scaletta del tambuccio mi metto a ballare, ridendo sotto i baffi. “The air is very dance”, ripeto ad alta voce. Il mio compare capisce al volo il mio becero gioco di parole e scoppia a ridere.
Battute come questa, penso io un attimo dopo, sono l’assoluta specialità di Franco. Ah come mi mancano le freddure di Franco! Ancora pochi mesi e saremo in Italia, sissignore.
Passo al timone, mentre sto ancora facendo i conti di quanti giorni mancano al mio rientro previsto per il 23 aprile. Centosessantaquattro giorni, ancora ventiquattro settimane e ci siamo! Ultimamente sto facendo questo calcolo sempre più spesso, qualcosa vorrà dire.
Sono sprofondato nei miei pensieri, quando mi accorgo che attorno a me, attorno a Valiant, l’oceano è quieto come non mai, così uniforme e sterminato da incutere soggezione. Anche il cielo è sereno e immobile, cosparso di poche nuvolette solitarie, come se tutto all’improvviso si fosse arrestato. La brezza scorre silenziosamente attraverso le vele, non fischia più come nelle settimane passate. In poche parole, regna una calma allucinante. Sicuramente è già calata da ore, ma me ne accorgo solo ora. Nella profonda quiete circostante, noi profanatori stiamo graffiando l’omogeneità blu di questo oceano intonso, lacerando il silenzio con il rumore dell’acqua che ribolle nella nostra scia. Ho come l’impressione che stiamo rovinando un’armonia perfetta, come quando la scia di un aereo taglia in due un cielo blu. A proposito, da quanto tempo è che non vediamo la scia di un aereo?
Non importa, resto ancora a lungo concentrato su questa sensazione di profondissima pace che emana da questa strana giornata.
La nostra scia svanisce nel nulla appena cento metri oltre la poppa, ma mi pare che stiamo sfregiando l’oceano come una locomotiva attraverso la prateria.

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