Sundeep colpisce ancora

Lezione di ieri: Prima di andare in India, armarsi di santa pazienza verso i collezionisti di foto.
Venerdì 09/06/2022 9:30 Delhi (India)
Oggi lascio l’asilo perché Sundeep riprende a lavorare, così faccio un’ultima doccia, preparo lo zaino e scrivo qualche riga mentre anche il mio ospite si prepara. Da dove sono seduto vedo d’infilata il balcone tra la cucina e il bagno. Lì c’è lo specchio e Sundeep si riavvolge il turbante. Prima naturalmente si deve strigliare i lunghissimi capelli, che a detta sua una volta erano molto più lunghi. Adesso gli arrivano solo alla cintura, secondo lui è per colpa dell’aria malsana di questa città. Su Couchsurfing Sundeep si è autodefinito un minimalista, e non gli si può dare torto se non vedendo le decine di turbanti multicolori che ha nell’armadio. Oggi però indossa il turbante nero corto che usa per fare sport, che è lungo la metà dei soliti turbanti di sette metri. Arrotola i capelli in una stretta coda, incentrata poco oltre la fronte, poi li arrotola a formare uno chignon. (Un cucco, in termini reggiani.) Io che sono ignorante capisco solo ora quale sortilegio mantenga il turbante al proprio posto, è ancorato ai capelli! Con il turbante che penzola dal balcone, inizia ad avvolgerlo intorno alla testa partendo da sopra un orecchio e ribaltando la atriscia quando passa sulla fronte, così da ricoprire tutta la testa. Per ultimo nasconde l’estremità appuntita del turbante sotto una spira precedente e il turbante è fatto.
Usciamo di nuovo, lui va in palestra e io vado alla ventura, cercando di decidere il da farsi. Sundeep mi ha consigliato di prendere un biglietto gionaliero degli autobus che costa solo cinquanta rupie. Gli autobus rossi e quelli blu hanno l’aria condizionata, mentre quelli aranconi e quelli verdi hanno l’aria incondizionata e costano meno. Ci penso, intanto cammino verso la fermata. Prima mi serve un wifi per contattare qualche ospite su Couchsurfing, perché tra gli altri impegni me ne sono dimenticato. Inizio a chiedere un po’ di internet ai negozianti e venti minuti dopo vedo in lontananza il mio caro punto vendita della airtel. Sono passate ventiquattr’ore dalla visita di ieri e la mia sim è da ricaricare.
Entro e chiedo una ricarica. “Su quale numero?” chiede il commesso.
“Non so so immagino che sia lo stesso della sim precedente, ma in realtà non ne ho idea. Non so neanche se la mia sim è attiva, bisogna controllare anche questo.”
Capisce l’inglese ma è confuso, gli spiego di nuovo che cosa deve fare. Controlla su un computer è dice che è tutto a posto. “Quindi tu mi stai autorizzando a fare una ricarica su questo numero?”
Odio queste domande studiate per liberarsi di ogni responsabilità, ma cosa dovrei rispondere. Facciamo la ricarica e il telefono ancora non si connette, perciò vado ad uno sportello e mi informano che la mia richiesta di sostituzione non è ancora stata elaborata e ci vorrà ancora mezz’ora. Mi connetto al wifi e intanto faccio i miei comodi, almeno.
Due ore dopo mi informano che la richiesta è stata rifiutata. Il motivo è che la foto di riferimento che mi hanno fatto nel punto vendita in Kerala non è abbastanza simile a quella di ieri. È ovvio, là a Kochi c’era la penombra di una lampadina e qui invece sembra di essere in un solarium. “Cosa si può fare?” I soldi della ricarica non sono rimborsabili, quindi hanno la facciatosta di consigliarmi di comprare una nuova sim per altre cinquecento rupie. Non credo proprio che lo farò, piuttosto mi facci restituire quello che ho pagato per questo pezzettino di plastica che non è stato attivato. L’alternativa è inviare di nuovo la richiesta, perché è possibile che la seconda volta venga accettata. Completiamo la procedura e resto nel negozio a scrivere e aspettare le risposte ai miei messaggi. Mi scrive Sundeep per sapere come sta andando la giornata, sono già le cinque. Quando scopre come ho trascorso le ultime sei ore mi invita a tornare da lui, così non ci penso un istante e faccio rotta verso il porto sicuro di casa sua.
Lungo la via bisogna che compri quaalcosa da mangiare per tutti e due, ma non so cosa prendere perché lui segue una dieta particolare, dato che va in palestra. Compro sei samosa che hanno un bell’aspetto, ma lui probabilmente non mangerà, così acquisto anche un chilo di litchi da un ambulante. Ritorno al nido prendendo una stradina sbagliata, dove la strada è sterrata, parzialmente bloccata e con qualche vacca in giro, forse attratta dai rifiuti sparsi sulla destra. Scatto un paio di foto, mi piace fotografare gli angoli delle città in cui capito casualmente. Torno a casa fiero del bottino e felice di rivedere un buon amico per un giorno in più. Qui non scrivo un accidente perché passiamo il tempo in chiacchiere.
Do l’assalto alle samosa, nonostante l’avvertimento che così tante possono causare acidità di stomaco. Ho una fame lupina e lo stomaco ci deve solo provare a lamentarsi, oltre al fatto che sono davvero buone.
Mentre Sundeep lavora al computer, iniziamo a mangiare anche i litchi, che hanno la buccia rossiccia e rugosa con dentro un acino bianco traslucido che circonda un grosso seme. Sanno di uva, ma con un retrogusto di litchi. È la prima volta che li assaggio e sono davvero buoni!
Peccato che un’ora dopo emerga il vero difetto di questi frutti: l’unico modo per smettere di mangiarli è finirli tutti.
“L’acqua!” Sundeep si è dimenticato di ricaricare la cisterna sul tetto, perché l’acqua pubblica è disponibile solo per poche ore al giorno. Sua madre gli aveva detto di accendere la pompa alle sette e mezza, ora sono le nove e dopo pochi minuti l’acqua è già finita. “Possiamo andare sul tetto a vedere la cisterna?” No, non possiamo, non ha la chiave. “Come sarebbe a dire, non è casa tua?” Non è così semplice, sul tetto piatto abita un’altra famiglia. Il tetto costa meno e chi se lo può permettere vive lì invece che per strada, anche se in questi mesi si bolle.
All’ora di cena tornano a casa i genitoridi Sundeep, provati per la lunga visita a una parente molto malata. Non mancano però di riservarmi un sorriso nel vedermi di nuovo lì.
Anche questa sera mangiamo insieme sul letto e poi io e il mio socio restiamo svegli per rispettare il fuso orario dei clienti americani. Mi faccio raccontare di nuovo la storia del suo breve viaggio in Russia di qualche anno fa, quando ha rischiato di essere trattenuto là a causa di un incidente avvenuto dopo pochi giorni dal suo arrivo a Mosca. Un velivolo pakistano deve avere sconfinato in territorio russo, scatenando un’allerta tale che Sundeep è dovuto rientrare in patria a gambe levate per non restare in Russia in stato di fermo. O qualcosa del genere, è una storia così assurda che fatico ancora a capire la dinamica. Alla fine è riuscito a rientrare passando per Astana, in Kazakistan.
Da giorni ho un dubbio riguardante il monsone, perché non mi aspettavo di trovare delle abitazioni al pianterreno, solo negozi. “E quelli al piano terra cosa fanno quando hanno l’acqua in casa?” “Niente, se la tengono.” Dice che in questa zona della città non c’è male, di solito ci sono solo trenta centimetri d’acqua. Il vero problema sono i rubinetti di chi abita al pianterreno, perché se la fogna si riempie può tisalire le tubature.

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