Ci ho fatto caso solo ora, ma ieri sera sono passato per le coordinate 38° 21′ N 38° 21′ E, ci ho anche dormito.
Lezione di ieri: Fuori dall’Europa il mondo è davvero meno denso.
Sabato 15/01/2022 2:30 Malatya (Turchia)
D’accordo che il terreno era gelato in superficie, ma fa ancora un freddo micidiale. Per curiosità, che temperatura c’è fuori? Il termometro è appeso ad un rametto piantato per terra, proprio davanti alla tenda.
È un -10°C quello lì? Carramba, te lo credo che c’è un freddo polare. Almeno ho camminato fino a tardi, così ora mancano solo sei ore all’alba.
4:26
Wwof! Wof-wof-wof! wof, Wof! Baubaubaubaubau Wwof! Wof-wof-wof! wof, Wof! Baubaubaubaubau Wwof! Wof-wof-wof! wof, Wof!
Mi hanno trovato, mi pare di riconoscere la voce grossa di uno dei tre cani di prima e del suo socio con la voce da cane di media taglia. Sono in un posto inutile a più di cinquecento metri da dove vi ho incontrato prima, qual è il vostro problema. Ma poi non avete freddo dannazione? Con meno dieci non avete trovato niente di più intelligente da fare che venire ad abbaiare contro a una tenda blu?
Si stanno avvicinando, ma non ho nessuna intenzione di spostarmi da qui, che si sgolino pure per tutta la notte se gli va. Con questo freddo ci sono ben poche ragioni che potrebbero farmi uscire dal sacco a pelo e tantomeno dalla tenda. I cani spacconi di sicuro non sono nella lista. Se volete che mi sposti posso farlo domattina, mi sembra anche una richiesta ragionevole. Wwof! Wof-wof-wof! wof, Wof! Baubaubaubaubau Wwof! Wof-wof-wof! wof, Wof! __Baubaubaubaubau
4:34
Se ne sono andati, devono aver capito che i latrati non bastano a soffiare via la tenda, che è saldamente picchettata a terra.
6:12
Wwof! Wof-wof-wof! wof, Wof! – Wwof! Wof-wof-wof! wof, Wof! – Wwof! Wof-wof-wof! wof, Wof! – Wwof! Wof-wof-wof! wof, Wof!
Stavo quasi per addormentarmi, porco cane! Che poi, i maiali sono animali molto intelligenti, poveretti. Sta ripetendo la stessa frase di prima, qualsiasi cosa voglia dire. Stavolta è tornato da solo, si vede che non ha ancora afferrato il concetto. Prova da un angolo, prova dall’altro, poi si avvicina, lo sento che abbaia a mezzo metro dalla mia faccia, a una spanna oltre la tenda. Di tanto in tanto si ferma e annusa, vicinissimo. Wwof! Wof-wof-wof! wof, Wof! – Wwof! Wof-wof-wof! wof, Wof! – Wwof! Wof-wof-wof! wof, Wof!
Il telo è delicato, tu prova solo a sfiorarlo e caccio un urlo che neanche un drago. Ho il respiro affannoso per la tensione, lui sicuramente ora mi sente così come io sento lui, e continua ad abbaiare senza sosta.
No che non mi muovo, non esco neanche dalla tenda e se hai qualche problema va’ pure all’inferno, dove ci sono tutti i dannati che vuoi da importunare.
6:22
Non so se ha percepito la macchia nera d’odio e pensieri assassini all’interno della tenda o se ha deciso spontaneamente di andarsene, ma ha smesso ed è andato via.
8:32
Buongiorno, è stata una notte bella lunga, buona da raccontare senz’altro, ma di certo ho dormito molto poco e non me ne sono reso conto.
Fuori il termometro segna meno otto. Che me lo sia sognato quel -10? Mi sono anche alzato per una pisciatina, non ero così intontito da aver letto male. Probabilmente la temperatura è aumentata perché il cielo si è parzialmente annuvolato durante la notte.
Mentre spunta il sole è meglio fare quattro passi avanti e indietro, così mi riscaldo un pochino e poi smonto tutto.
C’è del ghiaccio nella tanica da cinque litri, che è piena. Venti ore fa sono partito dall’ostello con l’acqua a quasi venti gradi, poi sono stato sei ore in macchina al caldo e sei ore all’aria aperta. Durante la notte la temperatura dentro la tenda doveva essere parecchio sotto zero per portare tutta quest’acqua a zero gradi e sottrarre abbastanza calore da creare una crosta di ghiaccio sulle pareti. Niente male, avrei dovuto tenere la tanica nel sacco a pelo come riserva di calore. Avrebbe assorbito il calore iniziale di quando ero ancora caldo per la camminata, per poi cederlo lentamente durante la notte.
Ora che fa meno freddo e la temperatura è tornata sopra lo zero le zolle di terra si staccano dai sassi, cadono per gravità. Riprendo lo zaino in spalla e con cinque litri di granita in mano scendo verso la strada che porta a Batman.
10:30
Alla luce del sole il freddo di stanotte è solo un ricordo distante. Mi fermo su una panchina al sole per preparare il cartello per Batman, voglio iniziare a usarlo anche se mancano ancora 330 chilometri. Non è una scritta come al solito, farò l’autostop con il simbolo di Batman grande una spanna per due.
Preparo con cura il disegno a biro e lo ripasso lentamente con il pennarello cinese. Almeno qualcosa di buono lo farà nella sua breve vita, bisogna dare un’opportunità a tutti. Per ora faccio solo il contorno, non si può chiedere di più.
Mentre sto scrivendo sul cellulare, esce il custode della sede del ministero dell’energia e del nonsocosa, che mi chiede se mi va un tè. Torna dentro a scaldare l’acqua, ma ritorna subito per chiedermi se ho fame. Beh, sì, in effetti ho un certo languorino, grazie mille.
Torna poco dopo con un piatto con una ciambella al sesamo, un dolcetto e due muffin al cioccolato più un altro piatto con olive nere e fette di formaggio, con un pizzico di peperoncino. Rientra per andare a prendere il tè per me e per sé.
Sono senza parole.
Immaginati la scena, sei seduto davanti alla prefettura ed esce un tizio a chiederti se hai fame, poi ritorna con un caffè una brioche e un panino.
Credo che si chiamasse Chalabi (Gialabi) e non era neanche curioso di farmi mille domande, mi ha portato la colazione, mi ha chiesto un paio di cose e poi si è messo a sorseggiare il proprio tè. So solo che ha due figli e che Malatya è famosa per le albicocche, tanto da averle come stemma cittadino. Peccato aver sbagliato stagione.
Dopo il secondo giro di tè sono a posto, ringrazio molto e vado a cercare un passaggio verso la mia meta.
Salgo in macchina con Sinan e Bayram, che stanno andando direttamente a Elazığ (si legge solo Elàzh), la prossima città prima di Diyarbakır. Non ho molto da dire e non so parlare al plurale, finisce che loro parlano in turco l’uno con l’altro e io guardo fuori, mentre attraversiamo un’altra distesa di spazio libero.
Mi faccio lasciare prima di Elazığ, in modo da non dover uscire a piedi dal centro e aggirarlo da Sud. Non sono in un bel posto, le macchine che passano per di qua sono veramente poche e per essere visibile devo stare a metà di un rettilineo, non proprio il punto migliore per convincere qualcuno a fermarsi. Dato che ho tempo, abbellisco il cartello iniziando a colorare anche l’interno di Batman, ma una linea alla volta per non affaticare il pennarello. Piano piano i contorni diventano più spessi e adesso la sagoma si distingue anche da molto lontano.
Finalmente accostano Asan e Alpanslan, che stanno andando in centro a Elazığ ma mi possono portare un po’ più avanti. Mentre gli racconto qualcosa sul mio viaggio superiamo la svolta che avrebbero dovuto prendere e capisco che mi stanno dando uno strappo un po’ più in là.
16:15
Ora sono abbastanza vicino all’uscita della città da poter arrivare a piedi fino alla strada per Diyarbakır. Qui ci sono solo campi, case e strade, non sarà facile trovare un posto dove dormire. Spero di trovare almeno qualcuno che va almeno fino al lago Hazar, dove c’è qualche macchia di alberi, altrimenti ci sarà da camminare un bel po’ stasera.
Proprio quando inizio a disperare si ferma Ahmed, che sta andando dieci chilometri più a Sud, a metà strada tra qui e il lago. Va benissimo, basta andare in una zona più rurale. Dieci minuti dopo sono lungo la strada dritta che porta a Sud, forse non è stata un’idea geniale spostarmi qua, posso solo contare sul mio segnale strambo e sul fatto che tra venti minuti farà buio.
Non so se Süleyman abbia fatto in tempo a capire che sto andando a Batman, ma in ogni caso ferma il suo camion e mi fa salire. Süleyman ha ventotto anni, è curdo e guida il camion dell’UPS, cioè trasporta i pacchi dei resi.
In un batter d’occhio siamo al lago, ma la fortuna come al solito mi assiste e il mio autista sta andando fino a Diyarbakır. Da qui in poi sono ufficialmente il Mesopotamia, l’emissario del lago Haraz è nientemeno che il fiume Tigri.
Süleyman arriva da Malatya e stasera dormirà a Diyarbakır, magari andrà a finire che mi offre di dormire a casa propria. Nel frattempo continuiamo a parlare, mi chiede se mi piace la Turchia, se le strade in Italia sono belle come qui e anch’io non trattengo le domande. Süleyman mi aiuta a capire, a volte scrive una parola che non riesco ad afferrare e riusciamo a capirci molto bene. A Diyarbakır i curdi costituiscono la metà della popolazione e nel Kurdistan c’è pieno di posti di blocco in cui l’esercito controlla i documenti e mantiene la pressione sugli abitanti. Arrivati al posto di blocco mi chiedono il passaporto e iniziano a sfogliarlo, ma il timbro di ingresso non c’è, non me l’hanno fatto quando sono entrato. Il militare mi guarda perplesso chiedendo “Parole-varie-in-turco ilegal altre-parole-turche?” Certo che no, non sono entrato illegalmente! Nel frattempo continua a sfogliare e trova il timbro, possiamo andare. Controllo anche io il passaporto, ed effettivamente un timbro c’è, ma a pagina 42, perché quello che l’ha fatto si sentiva creativo e gli sembrava banale usare la pagina 2 di 48 come fanno le persone normali.
Dopo un po’ di chiacchiere finiamo a parlare anche di economia. Süleyman percepisce il salario minimo di 4200 lire, equivalente a un po’ meno di 300 euro al mese. Io in Italia, come operaio senza esperienza, prendevo il quadruplo e qui la maggior parte dei prezzi sono la metà di quelli in Italia. Fatto insolito, ci fermiamo a bere ad una sorgente lungo la strada.
Poco più avanti facciamo un’altra sosta per fare rifornimento di carburante e il buon Süleyman scende a comprare un paio di merendine al cioccolato per entrambi.
Si riparte verso Diyarbakır, che come Malatya è molto più grande di quanto mi aspettassi. Passiamo l’ultima mezz’ora a interrogarci su dove posso campeggiare stasera, ma non c’è un posto migliore degli altri qui, bisognerà inventare.
Siamo arrivati ed è il momento di scendere, ma mi faccio accompagnare un pochino più avanti davanti ad un supermercato. Süleyman non mi può portare con sé nel deposito dei camion, lo farebbe se potesse. Lentamente inizio a capire. “Ma quindi tu stanotte dormi qui sopra giusto?” “Sì.” “Non hai una casa a Diyarbakır, dico bene?” “Questa è la mia casa.” Che dire, grazie di avermi ospitato in casa tua Süleyman. Ci auguriamo la buonanotte in curdo e scarico le mie cose. Dov’è l’altro guanto da neve che mi serve in questa notte fredda e ventosa? Mi era caduto prima quando ci hanno fermato i militari, ma mi sembra di averlo raccolto.
Fiiuf, c’è, era caduto nella portiera. “Evar baş Süleyman!”
20:12
Ora serve del pane e un po’ di viveri, tra cui il mio mezzo chilo di yogurt quotidiano. Cerco un posto abbastanza bucolico da poterci campeggiare e mi dirigo di là, guardandomi attorno in cerca di un riparo.
Dopo un po’ che cammino passo accanto ad alcune case recintate, con il muro perimetrale sormontato dal filo spinato. Ce ne sono sei, tutte quante così. È vero che sono case piuttosto belle rispetto alla media, ma è la prima volta da quando sono partito che vedo del filo spinato intorno alle case. Chi c’è qui fuori che non deve entrare? Inoltre qui c’è vento e non ci sono ostacoli dietro cui ripararsi, mentre quei giardini coperti dal muro offrono dei comfort termici notevoli. È ora di ricorrere al piano C e bussare a una porta.
In Italia siamo abituati ad avere un doppio campanello accanto alla porta e fuori dal cancello, ma qui il campanello esterno non c’è. Picchio l’impugnatura del bastone sulla porta di metallo, ma non succede niente. Riprovo al ritmo di “Ammazza la vecchia col Flit”, ma niente. Forse qui non c’è nessuno.
Cambio casa, qui le luci sono accese e c’è una macchina parcheggiata. Provo, riprovo, ancora e ancora, più forte, ma niente. Vado anche alla casa accanto, ma non mi sente nessuno. Può darsi che il mio picchiare si confonda con i colpi del vento sulla serranda del passo carrabile, che sbatacchia ad ogni raffica. La porta non è chiusa a chiave come pensavo, basta girare la maniglia.
Entro, salgo le scale e suono il campanello. C’è una reazione, sento una voce, ma una luce si spegne e gli inquilini si allontanano.
Suono di nuovo e faccio qualche passo indietro giù per la scala. Stavolta si accende la luce dell’ingresso e compare un bambino sui quattro anni, poi una bambina più o meno della stessa età e a seguire i due fratelli più grandi, lui di quindici anni e la sorella di tredici.
Li saluto, dico che vengo dall’Italia e poi non mi ricordo più un accidente di come si dice giardino e dormire, prendo fuori il telefono e leggo quello che c’è scritto. Loro sono interdetti perché i genitori non sono in casa. “Posso aspettare fuori, non c’è problema.” Possono fare di meglio, gli telefonano.
I genitori non sono lontani, un attimo dopo escono dalla porta della casa accanto e dicendomi di andare là. Rispiego tutto con maggiore scioltezza e Ibrahim mi fa notare che fuori c’è freddo. Lo so, ma a me basta anche il giardino.
Non se ne parla di dormire in giardino. Farmi dormire dentro casa sarebbe imprudente, ma come minimo devo entrare in garage, se non è un problema dormire per terra. Problema? Ma che problema, certo che va bene!
Mi lasciano lì a disfare lo zaino, mentre vanno a prendere un materasso, un cuscino e una coperta pesante. Insieme a Ibrahim, che è un papà piuttosto giovane, c’è anche nonno Sadat.
Controllano che mi sistemi per bene e mi fanno qualche domanda tecnica su dove vado e come mai sono capitato proprio qui. “Hai fame?” “Beh, non c’è problema, di cibo ne ho in quantità.” “Ti porto giù la cena.”
Risalgono entrambi e ritorna solo Ibrahim con un grande vassoio con pesce fritto, olive verdi, pane fatto in casa e ben condito, marmellata di fichi, acqua, una grande teiera e un bicchierino da tè. Ci mettiamo d’accordo sull’orario della colazione di domattina, perché tanto Ibrahim si sveglia un’ora prima dell’alba per la prima preghiera, quindi non ha problemi di orario. Ci rivediamo domani alle sei, buonanotte.
22:19
Secondo me sono su un altro pianeta, quando sono sceso dal camion tutto mi sarei aspettato meno che di ritrovarmi a dormire a caldo su un materasso con un vassoio imbandito di cibo e con la colazione in camera la mattina dopo. Mi prendo un momento per fare un video perché non riesco ancora a capacitarmi. Succederebbe lo stesso in Italia. Provo a pensare ai miei amici che vivono in una casa simile e mi dico che sì, probabilmente lo farebbero anche loro. Vale lo stesso in generale, bussando ad una porta qualsiasi? Non saprei, l’unico modo è provare.
I cibi salati richiedono un sacco di tè, ma la cena è ottima. Mangio anche un po’ del pane che ho appena comprato prima che tutto il tè avanzato si raffreddi, ma un pensiero mi assale. Non ho chiesto a Ibrahim dov’è il bagno. Ora sicuramente sta già dormendo.
Come faccio a uscire dal garage? No qui l’unica porta è quella che porta al piano di sopra, sarà un bel problema arrivare a domattina, bisogna che mi faccia venire in mente qualcosa. Magari c’è un bagno tra la porta interna del garage e la casa, spero. Apro con cautela la maniglia e mi arriva una piacevole ventata fredda dall’esterno, sono in cortile. Perfetto, se ho bisogno posso fare un giro nel campo qui di fronte.
Tento di scrivere qualcosa, ma mi addormento subito.