Lezione di ieri: Mai giudicare i passeggeri dal mezzo di trasporto.
Mercoledì 29/06/2022 Butwal (Nepal)
Sono già le otto e mezza! Phoolkumar è già uscito, perciò faccio colazione e resto a guardare Punita che prepara il pranzo, mentre facciamo lezione di hindi e inglese, simultaneamente. Mi mostra qualche video che ha caricato su TikTok mentre si annoiava a vendere frutta, poi vuole fare un video a me mentre canto una canzone nepalese. Non so il testo, non so la musica, che razza di video dovremmo fare? Niente, lei gira lo stesso il video mentre io non ho ancora capito cosa sta succedendo. Nel frattempo i due figli di 8 e dieci anni ci guardano da dietro la zanzariera, suggerendo di tanto in tanto qualche parola in inglese. Mezz’ora dopo trovano il coraggio di uscire di là, così posso vederli in faccia. Non posso aiutare in cucina perché sarebbe un sacrilegio scomodarmi, perciò osservo la preparazione del pranzo, mentre tutto intorno a noi il monsone non molla e diluvia senza sosta. Sarei partito dopo la colazione, ma Punita mi ha mostrato le condizioni della strada allagata e ho ceduto all’evidenza dei fatti.
Il mio piatto è il primo ad essere servito, così mi trasferisco a mangiare sul tappeto della camera con i tre letti, che contiene anche un armadio, un paio di comodini e un tablet che fa anche da televisore. In un angolo c’è il piccolo altare domestico, decorato di statuine dorate.
Nel frattempo rientra Phoolkumar, così posso salutarlo prima di partire. Come faccio a dimenticare queste dodici ore, in cui sono stato raccolto dalla strada e ospitato dagli ultimi della via, che mi hanno accolto come se sotto a quel balcone ci fosse stato Shiva in persona.
La piovvigine ormai è molto scarsa ed è già l’una, raggiungo la strada principale bucherellata di pozzanghere e per fermare una macchina mi bastano pochi minuti. Le notizie che porta però non sono buone.
I due passeggeri sono diretti a Kathmandu, ma l’autista mi spiega che oggi è impossibile raggiungere la capitale perché è crollato un ponte a Dumkibas. Che cosa posso fare? Niente, qui nel Signore degli anelli, se Gandalf dice “Tu non puoi passare!” e fa crollare il ponte, non resta che rassegnarsi.
Tuttavia sono fortunato -qualcuno dubita ancora della mia fortuna?- infatti lui è il fondatore di un tempio in cui i pellegrini e i viaggiatori possono alloggiare gratuitamente. Mancano alcune comodità come l’aria condizionata, ma se mi va bene la porta è aperta. Se vado con loro, domattina potremo ripartire perché il ponte sarà stato riparato. Accetto, che cosa posso chiedere di meglio?
Il tempio si trova a pochi chilometri, si tratta di un progetto finanziato prevalentemente dalle donazioni dei privati, che offre asilo e cure alle vacche vittime di incidenti stradali. È un miraggio, non pensavo esistessero davvero perché in India non ho mai visto niente del genere. In India non c’è spazio per queste iniziative e neanche risorse.
Entriamo in casa sull’asciutto e mi trovo davanti un’intera scolaresca intenta a pranzare, mentre guarda la televisione in hindi. Mi siedo sulla moquette e subito mi portano il pranzo, un bel piatto di riso, patate, verdure e legumi, da mischiare a mano come al solito. Ormai mi viene bene ed è anche divertente. Essendo in ritardo, rispetto agli altri, poco dopo arriva anche a me un piattino di riso con le mandorle, per merenda. Davanti a me questi giovani studenti hanno tutti i capelli tagliati cortissimi perché sono studenti della scuola del tempio. Non studiano solo le materie scolastiche, ma anche teologia. Dopo il riso passa Shumraj (si pronuncia S-h-umrag) a distribuire un mango a testa. Io ne ho già mangiati quattro ieri, due stamattina e uno adesso, il Nepal è partito benissimo. Vado nella stanza accanto a chiedere a Shumraj se posso aiutare, così mi dà in mano tre manghi maturi dicendo: “Puoi aiutarci a finirli.” Mi siedo insieme a lui e ai due viaggiatori di prima per svolgere il mio duro compito. Con i denti si strappa la pelle poco a poco e si gusta la polpa, nessun bisogno di coltelli, solo acqua per lavare la buccia. Qui si pratica yoga, mi chiedono se ne so qualcosa, ma la mia risposta è sostanzialmente no. Da come mi descrivono le varie modalità di praticare questo stile di vita, concludo che la profonda attenzione che pongo in ogni momento di questo viaggio è anch’essa yoga, decisamente. Tuttavia una delle regole da osservare mi pare già inaccettabile. Per mantenere la concentrazione su tutto ciò che accade, mangiare praticando yoga significa mangiare in silenzio, meglio se da soli. Non vale per forza sempre, ma per come la vedo io non dovrebbe valere mai.
Dopo pranzo mi aspetta una visita guidata alla stalla che, data la temperatura, non ha pareti. A erudirmi c’è Ashangam, che è qui con la famiglia e lavora qua. Mi racconta che pochi anni fa avevano un centinaio di vacche, ma con il tempo sono diventate quattrocento e comunque chi vive qui non è autosufficiente per quanto riguarda il latte. D’altronde, nonostante alcune vacche stiano allattando, per la maggior parte sono state abbandonate proprio perché non producevano più latte. Finora ho mancato di riportarlo su questo giornale di viaggio, ma un’ulteriore difficoltà della guida in Nepal è lo slalom tra i paletti mobili con le corna. La densità abitativa è inferiore all’India, ma le vacche abbandonate sono nettamente di più. Il governo contribuisce solo in minima parte a finanziare questa iniziativa, che si sostiene non solo con le donazioni, ma anche con l’autoproduzione di medicinali derivanti dal letame e dall’urina. Raggiungiamo una casetta all’ingresso della fattoria, dove c’è uno scaffale pieno di buste e bottigliette, contenenti alcune erbe triturate, ma per la maggior parte si tratta appunto di prodotti di origine animale. L’urina raccolta dalla stalla viene messa a bollire e il distillato viene imbottigliato, probabilmente è quasi privo di odore. Io, nella mia ingenuità borghese penso che si utilizzi come unguento, invece Ashangam mi spiega che va preso per bocca, un cucchiaino alla volta, come una qualsiasi medicina. Certo, ci sono anche dei prodotti derivati dal letame, perché no? Una volta sterilizzato e trattato adeguatamente non rappresenta più un pericolo, anzi. Suppongo che se qualcuno è disposto a pagare per quella roba, evidentemente non deve avere un sapore così tremendo. Anche perché non è semplice superare quello schifo orripilante di antibiotico che prendevo da piccolo. In realtà la parte interessante dello scaffale è un’altra, c’è un grosso geco proprio lungo lo spigolo. Lo indico al mio cicerone, che non capisce e lo fa scappare. Si chiamano tutte lucertole qui, notturne o diurne che siano, avrei dovuto chiamarlo lucertola.
Entriamo anche a visitare il tempio di Shiva (che ricordo si pronuncia quasi Siva da queste parti, la sc non esiste), che contiene una struttura centrale. Ora capisco che forma stava realizzando la nonna a Dunagiri, quando si è messa a lavorare la creta. Al centro della stanza c’è una scultura di pietra molto scura realizzata in due pezzi. In cima c’è un grande uovo, appoggiato al centro di una forma a goccia, con una scanalatura lungo tutto il perimetro che converge verso la punta. Sono abbastanza palesemente una forma maschile e una femminile, rispettivamente. In cima all’uovo sono stati collocati molti fiori decorativi. Ashangam mi offre una brocca piena d’acqua, da versare tra i fiori in cima all’uovo come forma di preghiera. L’acqua scende nella scanalatura e viene raccolta in un secchio. Sono delicato, ma durante l’operazione cade un fiore. “Che cosa faccio con questo, lo rimetto a posto?” “No, quello è per te, è un dono di Shiva.”
Ci fermiamo ancora un po’ perché ho qualche domanda sulle immagini sacre appese in giro. Perché Shiva, che ha sembianze umane, è rappresentato con la pelle blu? In parole semplici, il colore blu rappresenta l’infinità, la natura divina e incommensurabile di Shiva. Inoltre c’è una storia che spiega questa particolarità, infatti Shiva inghiottì un veleno che stava per distruggere l’universo. Venne salvato dalla moglie Parvati, che evitò che il veleno gli scendesse oltre la gola, ma la sua pelle rimase permanentemente tinta di blu. Non solo, c’è un altro fatto inusuale. Perché Shiva ha per collana un cobra, anche se i serpenti solitamente sono associati al male? Nella tradizione indù questo serpente intorno al collo è simbolo di coraggio e di potere, inoltre questo serpente, chiamato Vasuki, non è niente meno che il re dei cobra. Ci sono molte storie che raccontano come è finito attorno al collo di Shiva, ma non siamo in grado di approfondire perché l’inglese è già finito da un po’ e la simbologia del re dei cobra l’ho docuta cercare su internet.
Torniamo a riposare nella casa principale, dove gli yogin, i maestri di yoga, hanno appena acceso una pila di dischetti di letame secco, che bruciano nella sala come incenso. Dicono che serve a purificare l’aria, e suppongo che allontani anche le zanzare.
Io non riposo perché scrivo, finché ritorna Shumraj ad accompagnarmi nella mia stanza di stanotte, equipaggiata con lucchetto, letto, materasso, zanzariera e ventilatore. Un lusso impareggiabile, altro che carenza di comodità. Troppo lusso, mi addormento fino all’ora di cena.
La cena viene servita in convivialità, niente yoga, seduti per terra nella grande cucina appena lavata. No, niente posate, grazie. Il menù è simile a quello del pranzo, ma le verdure sono cambiate. Finito il primo piatto passa un secondo vassoio per servire un secondo giro di riso agli affamati, tra i quali ovviamente il sottoscritto.
Dopo cena ritorno nella sala con il televisore, dove ci sono due miei coetanei e Sheila (Sila, niente sc) una ragazza che vive qui. Uno di loro è bravo a leggere il volto e con l’astrologia, perciò lo mettiamo alla prova. Non basta a convincermi della validità delle predizioni astrologiche, ma solleva una questione interessante. A quanto pare le stelle dicono che da piccolo ho sofferto di una grave malattia. In realtà non mi pare che sia successo niente di terribile. Ho avuto la polmonite una volta, a tredici anni, ma per il resto ho avuto solo cento tonsilliti e un po’ di influenze. Guardo le facce sconvolte intorno a me e adesso quello che legge le facce sono io. “Che c’è, non vi ammalavate voi da piccoli?” “No.” Che ragioni hanno di mentire? Per provare la superiorità della dieta vegetariana? Non mi sembra che stiano mentendo, ma non posso certo chiedergli perché non si siano ammalati. Sicuramente non andare all’asilo aiuta, loro sostengono che da queste parti sia normale non ammalarsi. Quello che ho appena descritto deve essere una tremenda sciagura da queste parti. Non lo so, è un mistero irrisolto.
Passiamo così ore ed ore a chiacchierare dell’Italia e del Nepal, di progetti di vita e così via. Forse è ora di andare a letto, domani si svegliano tutti alle quattro per fare la doccia e ricevere la benedizione di Shiva. Facciamo così, mi sveglio alle quattro anch’io.
Lungo la strada verso l’edificio con le camere da letto per i viaggiatori faccio una deviazione verso i bagni. Forse sono state quelle robe fritte mangiate ieri o chissà che, ma ho già fatto diversi giri in bagno oggi. Non mi dispiace, nonostante l’odore di ammoniaca che permea l’aria, perché i bagni comuni sono popolati da coleotteri e ragni gialli e neri, cavallette e tanti begli artropodi nepalesi. Almeno non mi annoio.
Ancora una volta, i miei progetti di scrittura falliscono.