Sercan

Lezione di ieri: con il bagno alla turca ci si tiene in forma.
Sabato 22/01/2022 9:54 Iğdır (Turchia)
Oggi Emrah va a trovare i suoi a Bazit e tornerà stasera o domattina. Sembra l’occasione che aspettavo per tornare indietro e visitare il castello di Bazit, corro a vestirmi.
No, meglio di no, resto qui a scrivere perché tanto ho già capito che in questa parte di mondo ci devo tornare per rivedere Ibrahim, Nazgül e fare un giro sull’Ararat. Tanto vale tenere da parte anche il palazzo di Bazit.
Ho già capito la fregatura, con il primo giro del mondo ci si incastra in un meccanismo per cui bisogna fare un secondo giro per rivedere le persone incontrate. Se gli interessati nel frattempo non si saranno attrezzati con un portale per il teletrasporto, andrà a finire che incontrerò qualche centinaio di persone in più, reiterando il problema. Comunque, niente Bazit, tanto non sarò solo perché più tardi arriverà Sercan, quello di ieri sera, per fare qualcosa insieme.
11:20
Sto abbastanza bene ormai perché il raffreddore sta calando e stamattina la crema sembra fare effetto sugli angoli della bocca, che hanno iniziato a spaccarsi da quando ero a Kaklık. Non si vede perché negli angoli ci sono i baffi a coprire tutto. Il burrocacao nulla ha potuto contro il freddo e i tagli, in più di notte tutto si riappiccica e mi passa la voglia di controllare che siano ancora uguali al giorno prima. Comunque oggi sono ancora lì, leggermente più pallide di prima.
15:47
Suonano al campanello, sono venuti a prendermi Sercan e Osman, come promesso. Andiamo tutti insieme a casa di Sercan, dove il suo coinquilino Eyüp ci sta aspettando, preparando la cena.
L’ascensore dell’edificio è decisamente pratico perché la porta non si chiude ogni due secondi come gli ascensori normali. La porta della cabina dava dei problemi e rallentava di molto l’ascensore, perciò Sercan l’ha tagliata con il flessibile. Ora non si inceppa più e durante la corsa è possibile accarezzare il muro e anche contare le porte esterne dei vari piani.
L’appartamento è un bilocale di proprietà di Sercan, che ha ventinove anni. Mi racconta che ha lavorato in banca a Istanbul e che con i soldi messi da parte ha comprato un ufficio qui a Iğdır. Ha in progetto di venderlo per comprare un secondo appartamento, facendo profitti nel mercato immobiliare. Eyüp invece ha ventitre anni e lavora in un negozio di alimentari, uno di quelli che vendono frutta secca. Ha preparato una cena di dimensioni notevoli, ma fortunatamente sono in buona compagnia e la tavola imbandita ha vita breve. C’è anche un piatto di pasta per alleviare la mia astinenza. Rispetto a quando ho parlato con Kaam sulla via per Denizli, ho imparato che la pasta propriamente detta qui in Turchia si chiama “makarna”, una ridicola storpiatura di makaroni.
Solo Sercan conosce l’inglese e ha una gran voglia di chiacchierare, raccontando della Turchia e chiedendomi com’è l’Italia. È molto preoccupato di non essere capito perché in effetti parla inglese come un libro strappato. È un fatto oggettivo, ma le lingue sono uno strumento, non c’è neanche bisogno che siano decenti per veicolare un messaggio. Basta riuscire a mettere insieme dei suoni intellegibili, spesso una parola e qualche gesto possono spiegare un’intera frase.
Noi però non siamo a questi livelli, potremmo dire che le parole di inglese che Sercan non conosce sono tante quanto il turco che ho imparato finora. Nonostante questo provvedo a rassicurarlo di tanto in tanto, quando è preoccupato che io non stia capendo.
Mi mostra qualche foto della propria famiglia e in particolare i propri nonni, che sono profondamente diversi tra loro. Uno di questi aveva accolto la modernizzazione della Turchia e nella foto veste in giacca e cravatta, ha un paio di baffoni ma è sbarbato e porta un cappello alla occidentale. L’altro invece sotto a quello che sarebbe il mento ha una spanna di barba grigia, divisa in due ampie falde. Anche i vestiti che porta sono tradizionali, un camicione bianco con sopra un gilet aperto davanti. Non vado oltre perché già adesso non sono sicuro di che fosse proprio così. Avrei descritto i nonni con più esattezza, ma devo andare a memoria perché Sercan non me le può inviare e mi ha appena detto proprio di dimenticarmi di averle viste. Quello che importa è che prima di partire per questo viaggio mi hanno proposto in parecchi di non tagliare mai la barba. Io rispondevo che l’avrei tagliata sicuramente perché in due anni diventa davvero molto scomoda, ma avrei aspettato di arrivare in medio oriente per decidere quando farlo.
Il nonno barbuto probabilmente assomiglia a come immaginavamo gli uomini in questa parte di Turchia, musulmani e con la barba lunga. Di tanto in tanto mi guardo intorno e quello con la barba più lunga normalmente sono io. Qui la barba non va proprio di moda, sono ben pochi quelli che la portano. Forse ci siamo fatti questa idea vedendo in televisione i guerriglieri curdi dell’YPG, che per ovvie ragioni hanno la schiuma da barba razionata. La realtà qui è molto più simile all’Italia di quanto si possa immaginare, specialmente perché ci troviamo in una città abbastanza grande. Chiaramente le campagne turche sono ben diverse da quello a cui sono abituato, ma in città non è così diversa da un punto di vista architettonico, è sorta dal nulla ed è stata costruita secondo canoni occidentali. Nei negozi non ci sono le stesse firme che si trovano in Italia, ovviamente, ma la gente veste allo stesso modo. D’accordo, ci sono un po’ di hijab a coprire i capelli delle donne, ma ormai sono frequenti anche in Italia.
Tornando a Sercan, mi mostra la propria scarna biblioteca, con un ripiano riservato al Corano e al Vangelo. Così arriviamo a parlare della scostumatezza degli abitanti di Pompei city, che ha fatto la fine di Sodoma e Gomorra, ma in tempi più recenti. Nel frattempo Eyüp finisce di preparare la cena e porta in tavola una marea di cibo. Tra le varie pietanze c’è anche un piatto di spaghetti in bianco, che servono per integrare il pane. Non solo, naturalmente servono anche a soddisfare il mio bisogno fisiologico di pasta. Da bere invece abbiamo coca-cola e şalgam (scialgam), la bevanda salata di carote viola fermentate. Dopo mangiato ci trasferiamo nella stanza accanto, sui letti che fanno anche da divani. Mentre Eyüp suona qualche accordo sulla chitarra Sercan mi domanda che cosa penso dei musulmani, ma la risposta è complicata da spiegare e richiede di usare il traduttore. Già che ci sono la scrivo sulle note in modo da averla pronta all’uso la prossima volta che qualcuno me lo chiederà. Poi vuole sapere come sono le ragazze in Italia e cosa penso di quelle turche. Quando verrà in Italia dovrò trovargli io una bella ragazza. Tento di spiegargli con qualche foto che dalle mie parti trovare delle belle ragazze non è affatto un problema, ma si è intestardito su questo punto e non c’è niente da fare.
A un tratto Sercan inizia a fare un ragionamento strano, mi propone di accompagnarmi a casa di Emrah così posso dormire un po’ e dopo ci incontreremo di nuovo. Non è una brutta idea, anche se mi sembra un po’ strano andare a letto proprio adesso che è ora di cena. Provo a spiegarlo a Sercan, ma lui non capisce. Per rendere il concetto più chiaro gli mostro l’orologio e così mi rendo conto dell’equivoco, è mezzanotte. In effetti iniziavo a percepire un lieve senso di stanchezza, ma credevo che fossero ancora le otto di sera. Direi che è stata una bella serata, ora si può andare a dormire, tanto ci rivedremo domani.
A casa di Emrah ci so tornare, ma per timore che mi perda Osman e Sercan mi accompagnano fin là, così facciamo anche due chiacchiere in più. Mamma Sercan st male quando mi vede tirare le mani fuori dalle tasche per cercare la traduzione di qualche parola nei -10°C di stanotte.
00:53
A casa non c’è nessuno, sono il nuovo proprietario o piuttosto il nuovo inquilino.
Ancora niente febbre, mi è rimasto solo il raffreddore, che sta già un po’ migliorando.

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