Mercoledì 29/03/2023 Cambridge (Nuova Zelanda
La pioggia è stata leggera e il telo è già asciutto. Come d’abitudine, mi sveglio quando spunta il primo raggio di sole, da sopra gli alberi. Esco sul prato a scaldarmi e un uomo mi viene incontro dalla strada. Dice che la polizia sta cercando un filippino, dato per disperso ieri notte. Rientro all’ombra a ripiegare il sacco a pelo, esco a scaldarmi, rientro ad avvolgere l’amaca, esco a scaldarmi. Mentre sto smontando il campo un pezzo per volta, si scuotono i rami accanto a me e spunta un grosso cane, seguito da due uomini in divisa. È la polizia, chiaramente. “Sì, ero io quel tizio che telefonava a bordo strada ieri notte. No, non ho visto né sentito anima viva.” Proseguono oltre, mentre io finisco di riempire lo zaino e faccio colazione con un’altra lattina dei fagioli Macro comprati ad Auckland. Sull’etichetta c’è scritto “Packed in Italy”, è buffo che ci siamo incontrati di nuovo dall’altra parte del globo. Anche stamattina ripasso qualche kata di karate, prima di andare verso il centro di Cambridge.
Passo da un supermercato a recuperare un litro di latte, perché non bevo latte da un secolo e ho in cambusa sei etti di cereali al cioccolato. Saranno ottimi per reintegrare le vitamine B.
Trovo una bella panchina al sole, proprio davanti ad una banca con un potente wifi. Mentre sono seduto a sgranocchiare latte cereali e carote fresche, telefono a Matte. Matte è un grande appassionato di Tolkien e dei suoi scritti. Appena sente che sono già al secondo pasto del giorno si complimenta con me: fare la seconda colazione è una tradizionale abitudine degli hobbit.
Il sacchetto conteneva dodici porzioni, in teoria, ma è bene che lasci le ultime cinque per stasera. Vado in biblioteca.
In biblioteca non c’è vento, ho le mani calde e le articolazioni ben lubrificate. Tengo comunque la giacca pesante perché il caldo va gustato. Entro sera pubblico tre lunghi articoli, spianando la strada per il quarto, che è questo. Non è successo molto quel giorno, si fa presto a descriverlo.
La biblioteca al mercoledì chiude alle otto, quindi me la prendo comoda e mi fermo sulla panchina sotto il portico a cenare. Fagioli, latte e il resto dei cereali. Torno davanti alla banca e tento dieci telefonate, in quattro diversi fusi orari. Sul momento non risponde nessuno, poi via via vengo richiamato e finisce che all’una di notte sono ancora al telefono davanti alla banca. Da molte ore non c’è anima viva. È impressionante come le strade si svuotino improvvisamente al calare del sole, qui come anche in Australia. Forse è il caso di andare a dormire.
Ho già usato il campo da golf, quindi questa sera vado in un’altra zona verde, un piccolo bosco nei pressi del cimitero. Mi incammino con le ali ai piedi, stupito che lo zaino non dimostri i propri ventitre chili. Ultimamente mi capita spesso.
Non incontro nessuno e arrivo al limitare della città svoltando verso il cimitero. Maledizione, è recintato! No, aspetta, il cancello è spalancato. Entro, guidato solo dal riverbero del cielo.
Accendo la torcia del telefono giusto per cercare un passaggio nello steccato sul retro. Imbocco un sentiero attrezzato con un corrimano di legno, che scende attraverso un bosco fitto e buio.
Il terreno è ripidissimo, ma la mia amaca è sempre in piano. Basta inoltrarsi dieci metri nel folto per sparire completamente dalla vista. Con qualche scivolone sull’erba, preparo il giaciglio e mi dedico al riposo.