Ritorno alla terra

Lezione di ieri: In certi paesi non è facile neanche trovare il cartone.
Mercoledì 29/12/2021 6:20 Istanbul (Turchia)
“Buongiorno Salsiña, oggi me ne vado.” Ieri sera stavo scrivendo e mi sono addormentato sul divano, come un vero couch-surfer. Sempre ieri, Salsiña ha passato la serata sulla mia giacca imbottita, che ha scelto come nido. Adesso la prima cosa da fare è togliere tutto il pelo che ha lasciato. In realtà non lo si può togliere tutto, sarebbe un lavoro infinito. È probabile che un po’ di lei attraversi l’Asia insieme a me, perché ci sono peli di gatto ovunque. Ma tu Salsiña sei davvero un gatto di strada, con quel mantello striato lì?
Prima di scrivere è meglio fare colazione e alleggerire un po’ il pacco di lenticchie. Ho anche otto uova e la farina da finire. Poi ci sono le arance che o comprato ieri, costavano cinque lire al chilo e di conseguenza non sanno di niente. È una colazione che finirà per pranzo e sarà sufficiente anche come cena, non credo che avrò molto tempo oggi che devo uscire da questa città sconfinata.
Sam è già sveglio naturalmente perché deve andare a scuola. Ieri è rimasto parecchio perplesso dalla mia scelta dell’asse di legno come supporto per l’autostop e mi ha detto che ha di meglio qui in casa. Di fianco alla lavatrice tiene dei pannelli pubblicitari presi da Starbucks. Sono grandi 140×50 cm, spessi pochi millimetri e staccando l’adesivo diventano completamente bianchi da entrambi i lati, un vero lusso. Direi che sono perfetti, ne prendo metà.
Quando Sam se ne va rimango solo con Salsiña e Pandemic. Ma facciamola questa partita, tanto è un gioco cooperativo, non devo fare anche la parte del mio avversario. Se gioco da solo la cooperazione è massima. Stavolta mescolo le carte come dice il regolamento e la partita diventa molto, molto difficile. Finisce malissimo, peggio della partita degli ultimi due anni.
Mentre preparo la colazione dei campioni le otto uova si rompono quasi tutte, si capisce perché costavano poco. Finito di mangiare sono quasi pronto a partire, ma non ho messo in carica il cellulare. Mentre aspetto che si ricarichi faccio un rammendo a una delle due magliette che uso tutti i giorni, che ha un piccolissimo buco che va chiuso prima che si allarghi. A casa, dove ho a disposizione la scatola del cucito, uso sempre l’uovo di legno fatto apposta per i rammendi, ma qui ovviamente non cuce nessuno, è già tanto che ci sia del filo di cotone di un colore simile alla maglietta. Ormai sono arrivato al punto che faccio cose buffe anche solo per scriverle qui, perciò la mia scelta è obbligata. Qui in casa c’è un cavatappi con un enorme manico di legno a forma di pene, che mi sembra proprio arrotondato come l’uovo che non ho. Molto bene, ho riso abbastanza e il buchino è stato stroncato sul nascere.
13:34
Saluto Asal, saluto Salsiña, faccio un bel respiro e varco la soglia. Non è doloroso tornare di nuovo sulla strada, altrimenti viaggerei diversamente, però dopo otto giorni in casa l’inerzia è forte. Basta poco per vincerla, dopo cinquanta metri è solo un ricordo. Non è come quando ho lasciato Sofia con la contrattura alla gamba e in testa la canzone “Solo voy con mi pena, sola va mi condena…”. Oggi il morale è altissimo, sto per lasciarmi alle spalle il primo continente.
So dove devo andare, niente traghetti a sorpresa oggi. Prendo quello che arriva a Kadıköy, in modo da stare in barca più a lungo e vedere da vicino il faro del Bosforo, Kız Kulesi. In questo momento il traffico marittimo si concentra qui, incrociamo un altro traghetto nella scia di una grossa nave da carico proveniente da Monrovia, in Liberia. In inverno il Bosforo è abbastanza vuoto, ci sono solo le navi mercantili e i traghetti e neanche una barca a vela. Io pensavo di scorgerne almeno una e ho contattato anche un velista qui a Istanbul, ma se anche avesse risposto sarebbe stato di sicuro un no.
Il sole è già oltre il sud quando passo davanti al faro, che si trova controluce ma grazie alle nuvole si riesce a fotografare comunque.
Istanbul è molto bella vista dal mare, ma mentre sono a prua a scrutare l’orizzonte mi riprendo dall’estasi per voltarmi indietro. Là c’è l’Europa, che non rivedrò più per molto tempo, se tutto andrà come dovrebbe. L’ho contemplata abbastanza, è ora di lasciarsela alle spalle ed entrare nel continente verde che dà 7 carri armati bonus ad ogni turno.
Scendo dal traghetto e vado rapidamente alla stazione del treno che porta a Sudest a Gebze, ai confini della città. È giunto il momento di infrangere il radicalismo da autostoppista dei Balcani, perché lasciare questa città in direzione Izmir non sarebbe fattibile in giornata, forse in tre giorni. A metà strada bisogna scendere dal treno Marmaray e pagare un nuovo biglietto con la Istanbulkart. Credito insufficiente. Ci vogliono altre cinque lire, ma io ho solo un biglietto da 20. Non mi sembra il momento di fare compere, facciamo che regalo un euro a Erdoğan e via.
16:20
Sessanta chilometri dopo aver lasciato il Bosforo, sono al capolinea del treno, con ancora quindici lire sulla carta e parecchia strada da fare per superare le ultime case. Facciamo che prendo un autobus. Maps mi aiuta poco, perché la fermata che mi interessa è in una strada chiusa per lavori, quindi vado ad intuito, che funziona abbastanza bene. Arrivo sulla strada principale e trovo una fermata, indicata da un minuscolo cartello e da un gruppo di persone che guardano le auto in arrivo. Gli autobus arrivano spesso, quindi provo a decifrare le destinazioni e ne trovo una che mi piace, va verso il deposito degli autobus a Sudest. Anche qui ci vuole una carta per salire, ma a occhio direi che è diversa perché la mia è rossa e la loro è azzurra. Non lo so, salgo lo stesso, tanto vale provare. Naturalmente la mia carta non va bene, l’autista se ne accorge subito perché il lettore magnetico non fa bip. Mi dice di riprovare, vede che non funziona, capisce e mi fa cenno di andarmi a sedere comunque.
C’è un posto vuoto, ma non sono sicuro di aver capito dove andiamo quindi vado in fondo vicino all’uscita, pronto a scendere.
Va proprio dove avevo immaginato, ha seguito la strada principale e ora svolta giù a destra verso il deposito. No, prende la tangenziale, filiamo a tutta birra verso Est. Scendo dopo un paio di fermate e vado a piedi. Giorni fa pensavo di seguire la costa, ma prima ho rivalutato l’idea di attraversare il ponte che va a Sud verso Bursa, una scorciatoia per risparmiare parecchi chilometri.
Poco dopo essere sceso vengo chiamato da uno che sembra gestire il traffico dei camion in partenza verso il resto della Turchia. Provo a dargli retta, ma purtroppo non ci sono camion in partenza verso la mia destinazione. Continuò fino al deposito degli autobus e mi sembra di riconoscere il mezzo su cui ero prima, forse il capolinea era davvero qui, chissà. Comunque sia, finalmente rivedo l’erba e gli alberi selvatici, non una decina, ma tanti tutti insieme.
18:10
Mentre cammino lungo la stradina che passa per Mualim, accosta una macchina con a bordo Vadat, che mi offre un breve passaggio per portarmi nel posto giusto per attraversare il ponte. Questo in realtà lo capisco dopo, per ora so che sta andando verso il ponte. Ci capiamo poco perché parla solo turco e io so solo quattro parole, ma dove la lingua non arriva ci spieghiamo a gesti. Chissà come si dice ponte in turco, è davvero importante?
Vadat è gentilissimo, mi ha portato in un posto sicuro in cui fare l’autostop lungo l’autostrada, dove c’è un centro commerciale raggiungibile grazie a uno svincolo, proprio dove volevo andare io. Inoltre mi ha dato da mangiare e da bere. “Li vuoi questi biscotti al cioccolato con la crema alla vaniglia e questi cracker con la crema al formaggio?” “Beh, veramente ho già mangiato in abbondanza…” “Sì sì, li vuoi, tieni, e prendi anche l’acqua, ne hai abbastanza?” “Di acqua ne ho a sufficienza, nessun problema” “Perfetto, prendila.” Ciao, grazie mille Vadat.
Così sono già in posizione, anche se ormai è un po’ tardi qui vicino c’è del verde e posso dormire tranquillo.
Prima però si può fare un tentativo di attraversare il ponte, mi farebbe piacere togliere di mezzo anche questo ostacolo che con posso percorrere a piedi. Perciò mi piazzo alla rotonda da cui le macchine raggiungono di nuovo l’autostrada, dove la luce dei lampioni mi pare sufficiente a illuminarmi la faccia. Resto lì a lungo, ma non funziona. Tra l’altro questo svincolo è fatto malissimo, perché non ci sono cartelli ad indicare la svolta verso il centro commerciale e una macchina su dieci tira dritto e torna direttamente in autostrada oppure deve fare retromarcia per tornare sulla rotonda.
19:25
Non sta funzionando, ma valeva la pena di provare. Tornerò qui domattina, ho già avvisato un buon posto per dormire. Qui, su una collina a poche centinaia di metri dal mare, c’è solo un albero e parecchi cespugli, quindi niente amaca stanotte, basta trovare un posto per la tenda. Inizio ad esplorare i dintorni, ma inizia a piovere, meglio sbrigarsi. Giro intorno ad un campo arato e trovo un lembo di erba che si è salvato dal vomere. Non devo infilare nessun palo nella tenda, pianto il bastone nella terra, perché qui fuori città c’è la terra, e ci butto sopra il telo blu. Fatto.
Sotto la tenda, all’asciutto, stendo il telo azzurro e dispongo il sacco a pelo in diagonale, per dormire. Cioè, l’idea non sarebbe quella, ma è stata una lunga giornata e si conclude poco dopo le 20.

1 commento su “Ritorno alla terra”

  1. Matteo Lasalvia

    “Ormai sono arrivato al punto che faccio cose buffe anche solo per scriverle qui, perciò la mia scelta è obbligata.”

    Avevo lo stesso pensiero sai? Felice di averne la conferma!

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