Lezione di ieri: non tutte le stazioni sono zone pericolose.
Giovedì 16/12/2021 7:45 Plovdiv (Bulgaria)
L’alba è rosa questa mattina, e mi dispiace per le api che sicuramente hanno avuto freddo stanotte, per via del vento e della temperatura sotto zero. Infatti ce ne sono parecchie morte sulla soglia delle arnie. Dove sono io il vento non arriva grazie al canneto e agli arbusti, oltre al fatto che vicino al suolo il vento è meno intenso. In teoria qui doveva esserci più caldo che a Sofia, ma la temperatura è comunque -2°C.
Ieri Nikolai mi ha elencato i paesi più grandi che scandiscono la strada per Smolyan, quindi oggi è molto più semplice trovarli. Spesso la scelta del toponimo da scrivere sul cartello non è per niente ovvia. Le tappe di oggi sono Asenovgrad, Bačkovo, Narečen, Pavelsko, Čepelare, Pamporovo e Smolyan. Ho tutto il cartone che serve e ieri l’altro ho comprato anche un nuovo pennarello indelebile, per sicurezza.
Qui l’autostop sembra funzionare male, ed è una fortuna perché se avessi trovato un passaggio al volo avrei dimenticato il bastone là dove mi sono fermato a scrivere il cartello. Una volta o l’altra lo perderò, è inevitabile, per questo non cerco di abbellirlo, sarebbe fatica sprecata.
Probabilmente l’orario non aiuta, siccome la strada punta dritto a SSE gli automobilisti hanno il sole negli occhi. Mi incammino verso Asenovgrad cercando un altro posto più adatto, oltre questo lungo rettilineo. Dopo venti minuti incontro una delle macchine che sono passate poco fa. Ivan mi riconosce e mi offre un passaggio per Asenovgrad. Ottimo, si parte!
Ivan effettua consegne di farmaci, ha pochi anni più di me e assomiglia parecchio al mio omonimo Riccardo Buriani, Bubu, compagno di mille pedalate in mountain bike. Ivan però non è un ciclista e ama lo snowboard, che è lo sport perfetto per questa stagione. In un attimo siamo ad Asenovgrad e mi indica la strada giusta per Bačkovo. Non è così facile lasciare Asenovgrad, mentre mi allontano dal centro lavo le mele comprate a Sofia e visito una chiesa. Se la sorte non fa fermare nessuno, tanto vale assecondarla. Superato il centro accostano Ivan e Prolezveta, marito e moglie, che sono diretti alla propria seconda casa a Bačkovo. Non parlano molto l’inglese, ma mi spiegano che Prolezveta significa “fiori di primavera”.
A Bačkovo c’è già la neve, circa cinque centimetri, che non sono niente rispetto al mezzo metro di neve che c’è a Smolyan, come mi ha anticipato ieri Nikolai.
Da qui in poi sarà semplice, c’è poco traffico e un ampio spiazzo a bordo strada. Infatti in cinque minuti si ferma Eivas, che sta andando direttamente a Smolyan. Parla bulgaro e tedesco, ma questo non gli impedisce affatto di farmi da guida turistica con l’aiuto dei gesti e di sua moglie, che fa da interprete al telefono.
Ormai è ora di pranzo, perciò Eivas decide di fermarci a mangiare in una trattoria di Narechenski Bani, così assaggio qualcosa di tipico e facciamo due chiacchiere senza il volante in mano. Sempre al telefono con Radislava, sua moglie, ricevo una traduzione del menù e la mia scelta definitiva è una zuppa di fagioli tipica della regione di Smolyan. Non è solo acqua e fagioli, infatti la parte più nutriente è il brodo. Da bere ci portano un bicchiere di yogurt allungato con un po’ d’acqua, al quale solitamente si aggiunge un pizzico di sale.
Nel frattempo io sto ancora elaborando la risposta a “Che cosa ne pensi dell’ecologia in Bulgaria?” Eivas e Radi infatti sono proprietari di un’azienda che produce pellet e incredibilmente conoscono la parola ecologia. Non solo, sono proprio attenti all’impatto del proprio lavoro e sono preoccupati per la cattiva gestione del patrimonio naturale nel proprio paese. È sconcertante, devo incontrarli tutti e due.
Ripartiamo lungo la strada parallela al fiume Chepelare e superiamo il paese omonimo serpeggiando lungo la valle, senza trovare tratti allagati o sporchi di fango. Mentre saliamo Eivas usa il traduttore vocale per spiegarmi alcune curiosità sui posti in cui passiamo. Per esempio nei pressi della strada c’è una fonte d’acqua che è stata utilizzata per rifornire di acqua potabile i sottomarini, perché è priva di contaminazioni e non va a male anche se la si conserva per molti mesi. La ragione della piena e delle frane che ci sono state è naturalmente il disboscamento. Non c’è una regolamentazione adeguata e si può tagliare senza criterio, anche perché non esiste alcun parco nazionale dei monti Rodopi, solo alcune piccole riserve sparse, che preservano gli ambienti carsici o alcune specie animali. Mentre parliamo, la strada sale e la neve aumenta, fa così freddo che non si è ancora staccata dai rami degli abeti.
A Pamporovo, 1600m di quota, il termometro dell’auto segna -3,5 in pieno giorno e gli abeti altissimi sono stracarichi di neve, che piega i rami in giu e rende gli alberi ancora più appuntiti. Anche se non l’ho mai sentita nominare, a quanto pare Pamporovo è una famosa località sciistica, la cui notorietà è testimoniata dalla parete di cartelli gialli che indicano la direzione degli alberghi costruiti quassù. Ce ne sono così tanti che mentre mi riprendo dal flash giallo non riesco a leggere neanche un nome. Non so perché, ma il nome Pampórovo mi piace tantissimo, forse per la musicalità del pam-pó iniziale, che dà enfasi alla parola. Eivas mi racconta che circa otto anni fa a Smolyan hanno avuto -29°C per tre giorni di fila, una temperatura che impedisce di avviare i motori, l’unico modo per spostarsi è lasciare la macchina sempre accesa.
Dopo Pamporovo si scende a Smolyan, a 1000 metri, e la temperatura risale appena sopra a zero. La città è interessante e potenzialmente mi potrei fermare qui per andare a vedere grotte, gole, piccoli paesi e musei, ma mi sembra meglio proseguire, anche perché la città è lunga, molto lunga e la ditta di pellet si trova proprio vicino all’estremità Est. Quando dico che è molto lunga, intendo dire che è sviluppata su quattordici chilometri di strada ed è meglio approfittare del passaggio.
L’azienda si chiama Gardenia e mentre prendo un caffè Radislava mi spiega come funziona la produzione del pellet, che per me è ancora un mistero. In una parte del capannone ci sono i sacchi di segatura, perché loro utilizzano solo i prodotti di scarto delle segherie locali, che ne producono a tonnellate. Nella stanza accanto c’è un grande tubo coibentato, inclinato verso l’alto e largo almeno un metro, insieme ad una piccola macchina con una tramoggia. Il grosso tubo è semplicemente una grossa asciugatrice che porta l’umidità dei trucioli fino all’8%, equivalente a quella del legno stagionato. Avviarla con questo freddo avrebbe dei costi improponibili, quindi la usano prevalentemente durante la bella stagione. I trucioli asciutti precipitano in un filtro ciclonico e sono raccolti dentro a un sacco a parallelepipedo del volume di quasi cinque metri cubi. L’altra macchina forma i pellet, e qui arriva la fase divertente. La tramoggia va alimentata a mano, rovesciando i trucioli sul pavimento e caricandoli una badilata alla volta. La macchina riscalda il legno a cento gradi, in modo da sciogliere la lignina, che diventa appiccicosa e permette di spremere i trucioli attraverso un rullo che ruota sopra una trafila. Sembra una macina per le olive che produce passatelli, esercitando una leggera pressione di 30 atmosfere. (I passatelli sono un tipo di pasta simile a dei lunghissimi pellet) Sembra facile, ma incollare il legno senza colla è molto difficile e prima di ogni produzione la macchina va calibrata.
Il pellet qui si vende a circa 100€ alla tonnellata, e le prime cento tonnellate vendute ripagano i soli costi di esercizio dell’impianto durante l’anno. Eivas e Radi spalano più o meno 300 tonnellate di trucioli ogni anno, in modo da non riposarsi troppo. Il capannone si trova esattamente sulla riva di un torrente, che rischia di allagare tutto in caso di esondazione. Ironicamente, più lavoro hanno più aumenta il rischio di una piena improvvisa, come tre giorni fa. Le precipitazioni defluiscono molto più lentamente quando la copertura forestale è integra, perché le chiome possono intercettare una porzione considerevole della pioggia che cade.
Immaginavo che Eivas e Radi facessero parte di qualche associazione, invece sono semplicemente attenti alla salvaguardia dell’ambiente in cui vivono, anche se sarebbe molto più semplice acquistare del legno già asciutto e triturarlo. Fanno persino la raccolta differenziata, anche se poi alla fine del processo di raccolta ogni rifiuto finisce in un inceneritore.
Al momento hanno dei clienti che stanno acquistando un generatore per far fronte all’ammanco di corrente che non è ancora stato ripristinato del tutto. Mi faccio dare un po’ di cartone in più e riparto verso Est, per scendere da qui e raggiungere Madàn o magari Zlatograd, dove troverò qualche grado in più stanotte.
Nel frattempo il sole sta per tramontare e colora di rosa alcuni brandelli di nuvole. Dalle tettoie dei capannoni pendono cortine di neve scivolata e ricongelata, spesso con lunghi candelotti di ghiaccio, che qui resistono anche durante il giorno.
16:12
Arrivato in fondo a Smolyan, trovo un passaggio in macchina con Ivayl, che ha circa la mia età e sta studiando medicina. Dice che probabilmente andrà in Germania a lavorare, non solo per i salari migliori, ma anche per la qualità delle strutture ospedaliere. Al momento sta anche lavorando in ospedale e ha a che fare continuamente con gli esaurimenti nervosi dei colleghi. Come Eivas, anche lui non è un camminatore e non mi sa indicare alcun posto in cui trovare in sentiero carino. Non ho intenzione di fare una lunga escursione nella neve con le mie scarpe basse, ma non sarebbe male passare la notte in un posto carino.
Mentre chiacchieriamo, menziona Sofìa. Non Sòfia, ma Sofìa, vogliamo deciderci una buona volta? Niente, sostiene che si dica Sòfia perché Sofìa è un nome proprio, ma questo riporta il sondaggio in parità e quindi dovrò chiederlo di nuovo domani a qualcun altro. Dopo avermi scombinato le certezze, Ivayl rallenta perché dietro una curva c’è la polizia appostata a rilevare gli eccessi di velocità, dandogli lo spunto per fare una battuta che si racconta qui in Bulgaria. “La maestra entra in classe e chiede ai propri alunni: È arrivato l’autunno e le foglie cadono dagli alberi, chi è che rimane senza nascondiglio? I poliziotti signora maestra.” A quanto pare fare multe a tradimento è un tratto distintivo della polizia bulgara.
Mentre raggiungiamo Madàn, Ivayl mi spiega che è famosa per le attività minerarie e in centro c’è anche un museo mineralogico, anche se probabilmente è chiuso. Qui si estraggono sin dall’antichità piombo, zinco e argento e le miniere sono ancora attive.
Arrivato a Madan provo a proseguire fino a Zlatograd approfittando della strada illuminata a giorno, ma è decisamente troppo tardi per fare l’autostop, meglio passare la notte qui. Il centro di Madan è molto carino, mi aspettavo un paesino di minatori invece ci sono diversi alberghi, una grande moschea, la piazza ampia e piena di luminarie natalizie. Niente male, continuo a meravigliarsi perché i Rodopi sono molto più abitati di quanto mi aspettassi.
Mi siedo al coperto a mangiare il mio filone di pane farcito e dopo pochi minuti esce un uomo dalla sala scommesse di fronte a me. Parla in bulgaro, ma capisco abbastanza. Mi chiede da dove vengo e se c’è lavoro in Italia, dove sicuramente la situazione è migliore che qua. Vorrebbe dieci leva, ma dopo Mostar posso offrire solo beni materiali, niente denaro, quindi gli offro metà del pane. Dice che è poco perché ha anche un figlio piccolo, non ci fanno niente con così poco pane. O così o niente, se vuoi ci sono anche queste mele. Non è convinto, prende giusto una mela e se ne va.
È così che funziona qui, chi ha lavoro viene pagato poco e insieme chi non lavora finanzia il gioco d’azzardo, che raggiunge i propri clienti con una capillarità superiore ai negozi di alimentari.
Prima di decidere dove accamparmi è meglio accertarsi se il museo mineralogico è aperto o chiuso. Mentre vado verso il bar un’anziana signora mi chiede qualcosa di incomprensibile, ma ripetendo la domanda varie volte emerge “televisia” e capisco che ha visto in televisione uno che mi assomiglia. A meno di essere già un ricercato, non credo di essere io quella persona. “Mi dispiace, non sono io” e scuoto la testa. No, bisogna annuire quando si dice di no, altrimenti la gente va in confusione.
Al bar dicono che il museo aprirà domattina verso le nove, perfetto, quindi posso proseguire lungo questa strada, che non porta a Zlatograd, così domattina mi fermo al museo e poi proseguirò verso Est. Nel frattempo ha iniziato a nevicare, meglio muoversi. Quando supero le ultime case inizio a guardarmi intorno in cerca di un bel paesaggio da guardare domattina. Lo trovo dopo dieci minuti, si tratta solo di arrivare in cima alla scarpata dalla quale è stata ricavata la strada e poi il gioco è fatto. La neve non è molto profonda, a tratti arriva a venti centimetri, ma sotto gli alberi è meno della metà. Non speravo di trovare delle condizioni ambientali così favorevoli in questa stagione e la neve ha un fascino notevole. Cinquanta metri più in alto mi sembra abbastanza isolato da non vedere più la strada, ma solo gli abeti innevati, un altro pendio di fronte e il fondovalle giù a destra.
La neve al suolo non è ancora completamente ricongelata e il cartone che porto con me è perfetto per tenere lo zaino all’asciutto. L’aria è assolutamente immobile, incantata ad ammirare la neve che cade. Forse per questo e forse per la scalata nella neve, non sento assolutamente freddo nonostante ci sia già meno due.
Ne approfitto per telefonare ad alcuni amici, poi a una telefonata ne segue un’altra e un’altra ancora, fino all’ora di dormire nel fuso orario italiano.
Ormai vado a letto anch’io, visto che si è fatto tardi.