Perché questo viaggio?

Ho sempre pensato di avere una ragione per compiere questo viaggio, ma solo adesso che ho deciso di metterla per iscritto mi rendo conto che non è così semplice come sembra. Certo, posso elencare molti motivi per cui vale la pena viaggiare, ma non riesco ancora a mettere a fuoco la ragione precisa che guida questo gesto un po’ pazzo di partire per un anno o forse due. C’è chi parte per fuggire da qualcosa, c’è chi parte per cercare fortuna, per cercare sé stesso, per trovare la verità, per uscire dalla zona di comfort. Io non sento un vuoto da riempire, né mi sento fuori posto, ma ho solo curiosità da vendere (faccio un buon prezzo) e una grande passione per la diversità. “Diversità” va inteso in ogni sua forma: naturale, antropologica, culturale, spirituale. Come faccio a nascere, vivere e morire nello stesso pezzettino di mondo, avendo visto solo una microscopica parte del resto? Sarebbe come nascere su una panchina panoramica e passare tutta la vita a fissare la panchina. Adesso che sto per voltarmi dall’altra parte, provo un certo senso di vertigine, ma è da così tanto che aspetto di farlo che ormai so inconsciamente di essere pronto. Così, dopo aver riflettuto a lungo, la conclusione è che il viaggio è fine a se stesso, intendo compierlo per la bellezza di viaggiare e per ciò che può scaturire dall’esperienza di un viaggio. Tutto qui, qualsiasi cosa accada, mi sembra che valga la pena di farlo e per questo lo faccio. Ne vale la pena perché:
  •  Si imparano lezioni istruttive
  •  Si abbattono i pregiudizi, abbattendoli a colpi di fatti
  •  Si impara a cavarsela in ogni situazione
  •  Si conoscono altri punti di vista
  •  Si tralasciano le cose superflue
  •  Si dorme sotto un tetto di stelle (Kant ne sarebbe fiero)
  •  Si affinano i sensi
  •  Si impara a distinguere l’essenziale dal superfluo
Come un ingegnere si iscrive alla laurea magistrale per diventare un ingegnere più competente, io mi iscrivo a un corso intensivo di vita per uscirne più formato come uomo. Ma perché ora, perché non aspettare altri sei mesi, un anno? Il giro del mondo è una sorta di appendice del manuale d’uso della vita. Ha più senso leggerlo per intero prima dell’uso, mi sembra. Mi è piuttosto chiaro che cosa fare nella vita, ma è opportuno esplorare un po’ di mondo per capire come farlo con più consapevolezza. Comunque, anche io non sono molto soddisfatto di una motivazione così generica per questo viaggio, così già che ci sono mi preparo una lista di domande da porre al signor Mondo, così quando lo incontro non faccio scena muta.
  • Che cosa succede quando si viaggia per più di 14 giorni consecutivi?
  • Che effetto fa attraversare un oceano via nave?
  • Come cambia l’approccio alla vita e la scala dei valori tra le varie culture?
  • C’è vita senza bidet?
  • Qual è l’impatto umano e ambientale della produzione industriale?
  • È vero che nell’altro emisfero il sole a mezzogiorno è a Nord?
  • Dove andrò a lavorare dopo il viaggio?
  • Perché esiste il mal d’Africa e non il mal d’America o il mal d’Asia?
  • Che cosa si dicono le stelle? (A quanto pare dicono qualcosa, leggete “Il cuore del cacciatore” di L. Van der Post)
  • Quanto è diffuso il lambrusco? (In particolare quello delle Cantine Riunite)
  • Quanto è grande il mondo? (Deve poterlo capire anche un bambino, 40.000 km non vale come risposta.)
Basta, sono solo esempi, le altre mi verranno in mente strada facendo.
“Cristo, ma le vedevi le strade? Anche solo le strade. Ce n’erano a migliaia, come fate laggiù voi a sceglierne una? A scegliere una donna, una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di morire…
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla?
A viverla?”
 
Novecento (o La leggenda del pianista sull’oceano, di Alessandro Baricco)