Lezione di ieri: quando la temperatura scende a zero, ci si può scottare liberamente.
Domenica 5/12/2021 8:30 Gostivar (Macedonia del Nord)
Non c’è stato vento e la notte è trascorsa bene. A un certo punto ho sentito anche degli ululati. Ora il problema è rifare lo zaino alla mattina con questo freddo, perché prendere in mano tutto l’equipaggiamento gelato è impegnativo, senz’altro non è fattibile in un colpo solo, bisogna rimettere le mani in caldo ogni due minuti. Il cielo è ancora coperto e c’è parecchia foschia nell’aria.
Cerco di appendere il termometro alla corda per poterlo leggere meglio, ma si rompe il gancio di plastica e quindi mi accontento di metterlo in equilibrio su uno spallaccio dello zaino.
Appena lo zaino è fatto, torno sulla strada e sono già nel posto giusto per ripartire.
10:12
In pochi minuti si ferma un uomo che mi chiede qualcosa in macedone, mi pare che abbia menzionato la propria destinazione. Io sto ancora dormendo e gli rispondo “Donde?”, poi dopo alcune lingue arrivo a “Where?”. Lui nel frattempo non ha capito niente e mi chiede di dove sono. “Ah ma sei italiano, ‘mortacci tua, vieni dentro!
Lui non è italiano, ma lavorando tra Italia e Macedonia parla perfettamente anche l’italiano e lo chiamano Michele la Trappola. Fa il capocantiere e ormai è prossimo alla pensione, ma perché in vita sua ha lavorato parecchio. Inizialmente lo chiamavano Michele il leccaculo perché guadagnava di più degli altri, ma chi è che lavorava anche al sabato quando gli altri si tiravano indietro?
Oggi non lavora e sta facendo un giro verso Kichevo, ma non può andare in città perché ci sono i parenti di sua moglie, che si offendono se non va con loro al bar. Per questo sta andando al lago di Mavrovo. Ci sarebbe andato volentieri con suo figlio, ma quello sta ancora dormendo. Aggiunge anche di essere un cacciatore, vedendo le auto dei cacciatori parcheggiate a bordo strada.
Mi lascia alla svolta per Mavrovo, ma a me il posto non piace e quindi proseguo oltre, per andare al sole. Mi sposto uno o due chilometri più avanti e lungo la via incrocio un fuoristrada con un cinghiale sul cofano e due sul tetto.
11:20
Mi apposto vicino a un produttore di miele che abita qui accanto e in venti minuti accosta una macchina rossa con a bordo Zlatsko, che ha trentasei anni, fa il chiropratico e ha una moglie e un figlio piccolo. Avrebbe i capelli, ma sono rasati a zero. Abita a Skopje, ma è in procinto di trasferirsi dalle parti del lago Prespa, a Sudest di Ohrid, per crescere i suoi figli in un ambiente più salubre. Parla al plurale perché al primo figlio ne dovrebbero seguire altri due. Non posso dargli torto, l’aria di Skopje in questi giorni è irrespirabile. Lui continuerebbe a praticare il proprio mestiere da casa mentre la moglie lavora già da casa producendo oggetti di artigianato e quindi non ci saranno grossi problemi per loro. Il suo sogno è di coltivare un orto e allevare qualche animale, in modo da dare ai figli non solo aria pulita, ma anche un cibo sano. Non posso fare a meno di parlargli di Luca e la Fede, che hanno comprato la casa con un intento simile, dando la precedenza all’orto rispetto all’edificio in cui abitare. Siccome la Feffe è maestra d’asilo, invece che mandare il figlio all’asilo, ha portato l’asilo a casa propria.
Zlatsko mi porta fin oltre Kičevo, a Drugovo, ma quando mi guardo intorno mi rendo conto che sarebbe stato meglio scendere prima. Pazienza, basta cercare una piazzola.
Dopo un po’ di attesa si fermano Branko e Oreana, che purtroppo parlano solo macedone e quindi so solo che vanno verso la propria seconda casa a Ohrid e hanno due figli.
13:23
Ecco la meta, Ohrid, la città sul lago con una chiesa per ogni giorno dell’anno. Prima di lanciarmi nei vicoli, faccio un giretto sul molo, per vedere la città dal lago. Ci sono diversi campanili che spuntano sopra i tetti ma non tanti come ci si aspetterebbe.
Il centro è un intrico di vicoli ed è costruito sui versanti di una collina, perciò mi lancio a casaccio in una via, tanto ci sono chiese ovunque. Non è proprio così, le chiede sono ubiquitarie, ma sono tutte chiuse, nonostante sia domenica. Scendo fino al lago e seguo la passeggiata che porta fino alla chiesa di San Giovanni il Teologo, così almeno vedo le chiede più importanti.
Il cielo è coperto e sicuramente domani pioverà, ma se mi sposto abbastanza in fretta riesco a stare davanti a evitare le nuvole. Già solo arrivando a Bitola riesco a guadagnare tre ore di asciutto.
Questa chiesa a quanto pare è costruita in stile armeno, un preludio a quello che vedrò più avanti nel viaggio. Sulla porta c’è scritto che bisogna pagare un biglietto per entrare, ma la chiesa all’interno è così piccola che basta fare un passo oltre la soglia per vederla. Me ne sto lì un po’, poi esco in retromarcia e salgo attraverso il bosco di cipressi.
La prossima fermata è il castello, costruito e raso al suolo innumerevoli volte. Le mura sono state riprodotte in base al loro aspetto prima dell’ultima demolizione e permettono di avere un’idea del perché ogni sovrano ha voluto ricostruire una fortezza arroccata su questa collina scoscesa. All’interno non c’è praticamente nulla, ma il biglietto d’ingresso viene ripagato dalla vista che si gode da sopra le mura. A quest’ora il sole basso filtra attraverso le nuvole, illuminando una piccola area lontana decine di chilometri, ai piedi delle cime macedoni innevate. La sponda albanese invece manda già verso Nordest le nuvole scure che domani riverseranno la pioggia su tutta la Macedonia. È un gioco di luci che rende bellissima anche una giornata grigia come questa.
Uscendo inizia già a piovviginare, poi smette dopo dieci minuti, come per mandare un avviso. Io mi fido delle previsioni e rimango convinto di avere tempo fino a domattina alle dieci per andarmene da qui, anche se forse sarebbe meglio uscire da Ohrid e arrivare a Kosel, dove sicuramente è più facile fare l’autostop e allontanarsi rapidamente.
Ho ancora tempo di visitare qualche chiesa. La prima in cui vado è in ristrutturazione e apparentemente non si paga per entrare, comunque io entro e non mi dicono niente. La seconda è ancora più bella: all’ingresso c’è scritto “pagare il biglietto per favore”, ma non la biglietteria è chiusa e il sito archeologico è aperto, così faccio il mio giro esplorativo in mezzo alle rovine di varie chiese e intorno all’unica rimasta in piedi, quella dei santi Clemente e Pantaleone. Le altre chiese sono chiuse, perché di domenica non ci si può disturbare troppo, alla fine è inverno per tutti. È impressionante vedere dappertutto degli edifici grandi come una rimessa per gli attrezzi sormontati da una croce e destinati a luogo di culto. Ecco dove sono le trecento chiese che mancavano all’appello.
15:47
È stata una visita breve, ma intensa, ora bisogna decidere in fretta il da farsi. Vale la pena tornare in piazza, fare la spesa e poi cercare di raggiungere Kosel stasera stessa, con l’ultimo quarto d’ora di luce, magari funziona.
Fuori dal supermercato, tra i cartoni da buttare c’è un espositore bianco della Ferrero, con dei bellissimi ripiani bianchi plastificati. Fanno risaltare bene il nero, sono bianchi su entrambi i lati e sono relativamente resistenti alla pioggia, ne prendo quattro e vediamo fin dove mi portano.
Vado difilato alla rotonda da cui si prende la strada per Kosel e provo per una mezz’ora a far fermare qualcuno, ma probabilmente è troppo tardi. Alla fine mi decido e parto a piedi, sono solo sei chilometri alla fine. Ne approfitto per telefonare a Alexander, lo scrittore di Skopje, che mi ha richiamato già due volte dopo che ci siamo incontrati. Ogni volta ero impegnato a fare qualcos’altro e ho risposto un po’ scocciato.
Mi spiega che sta chiedendo in giro perché sta scrivendo il quarto capitolo riguardo al perché viviamo. Come mi ha spiegato due giorni fa, lui ha trascorso vari periodi della propria vita all’estero, conoscendo culture differenti e convertendosi diverse volte a religioni diverse. Mi aspetterei che avesse una risposta, almeno per sé, invece no, non ne ha idea. Mi racconta anche di un russo che si era messo a calcolare quanto tempo della nostra vita viene trascorso a dormire, mangiare, lavorare eccetera, ottenendo per sottrazione il tempo libero che ci rimane. Vedendo il risultato alla fine si è suicidato.
A prescindere dai calcoli, uno può avere la risposta per sé, ma è complesso trovare una spiegazione per gli altri. Perché l’umanità vive, perché anche chi conduce una vita intollerabile non la fa finita e basta?
Mentre conversiamo finisco il credito nella SIM. Già è vero che con la T-mobile i minuti sono a pagamento. Mi richiama lui e continuiamo a parlare per un’altra mezz’ora, quando mette giù sono a un paio di chilometri dalla destinazione.
C’è un forte odore di uova marce, che accidenti hanno sversato nel torrente qui di fianco. Va bene che spargete rifiuti ovunque, ma contenetevi un pochino. C’è una donna che è uscita di casa con la torcia in mano per controllare qualcosa giu nel torrente, chissà cosa.
A Kosel svolto a destra verso la chiesa di San Nicola e tiro dritto su per la collina, inoltrandomi un po’ nel bosco. Per qualche motivo il terreno è misto a ghiaia e fangoso, non so che tipo di bosco sia questo, ma non mi piace. Almeno non ci sarà vento, il sottobosco è abbastanza fitto.
Trovo un posto adatto tra due robinie, quindi per prima cosa mi dedico a staccare tutte le spine dai tronchi perché altrimenti è sicuro che entro domattina me le pianto in una mano.
Amaca, telone blu in caso di pioggia e poi mi siedo su un tronco a cenare in abbondanza.
20:40
Finito di mangiare, via dentro al bozzolo, ma sono troppo stanco per scrivere.
Ancora non piove, speriamo bene.