Nel paese dei gatti

Lezione di ieri: Anche quando sembra che la vita continui a chiuderti la porta in faccia, c’è ancora spazio per ricominciare.

Mercoledì 17/11/2021 6:35 – Dragovilje (Bosnia e Erzegovina)

Gli uccellini si sono già svegliati e sono indaffarati nelle loro faccende da uccellini. Io ho dormito bene e nel frattempo riparto verso la strada, dove mi aspetta il confine di stato.
Non sto parlando della frontiera con il Montenegro, quella è ancora molto lontana. Come ho raccontato dopo il viaggio con Irma tra Bosanski Petrovac e Ključ, la Bosnia è spaccata a metà dal confine interno tra Bosnia-Erzegovina e Republika Srpska. Qui il nazionalismo della fazione serba ha demarcato il confine con un grande stendardo a righe verticali bianco-blu-rosso e un enorme cartello “Republika Srpska”. Le insegne nazionali sono poste accanto al rudere di un edificio, come se fosse il posto di blocco della dogana. Ora inizio a comprendere l’entità del problema.
Stanotte devo aver dormito esattamente sopra al confine.

9:20

Mentre aspetto c’è un pettirosso che canta appollaiato su un ramo di fronte a me, dall’altro lato della strada.
Le poche macchine iniziano ad aumentare di frequenza e ben presto accosta Mohamer, che è partito stamattina da Jajce alle cinque e mezza e sta andando fino a Trebinje per un incontro di lavoro. Lavora per la Carlsberg e solcare la Bosnia in macchina è il suo lavoro. Dice che inizialmente ha lavorato per anni nel reparto vendite, ma passare tutta la giornata al chiuso non gli piaceva per niente e appena ne ha avuto la possibilità ha chiesto il trasferimento. Non l’hanno presa bene, ma quando ha spiegato loro le sue ragioni, hanno acconsentito.
Curiosamente, un attimo prima di incontrarmi stava ascoltando una canzone italiana.
Mohamer ha moglie e due figli e viaggia abbastanza spesso, anche quando non lavora. I suoi parenti sono emigrati in Norvegia durante la guerra, quindi può andare in Scandinavia senza spendere una fortuna. C’è solo un piccolo problema, lui ama il freddo mentre sua moglie ha sempre freddo e vuole accendere il riscaldamento. Un classico.
Parlando di viaggi, mi racconta di un suo amico che vive in Bosnia e fa parte di un club dei motociclisti. Questo club ha organizzato un lunghissimo viaggio dalla Bosnia al Giappone a cui questo amico ha partecipato. Mohamer ricorda perfettamente questa foto incredibile del suo amico, praticamente a metà del viaggio. Sullo sfondo c’erano il cielo blu e la sterminata prateria della steppa tagliata da una strada rettilinea. In primo piano c’era il navigatore a indicare “Prosegui dritto per 1700km”. Una tale immensità che non è neanche immaginabile finché si rimane in Europa. Tuttavia, una volta arrivato a Vladivostok, il suo amico ha scoperto che sia la sua patente sia i documenti della moto non sono riconosciuti dal Giappone, quindi ha spedito a casa la moto via nave e ha visitato il Giappone a piedi.
Durante la lunga strada per Trebinje i versanti delle colline sassose mostrano i segni di incendi recenti che mantengono la vegetazione bassa e rada. Nella valle invece si susseguono i vigneti, infatti Trebinje è famosa per la produzione di un vino e un formaggio tipici.
Mentre ci avviciniamo alla meta Mohamer mi fa notare un’enorme villa bianca che sembra un castello, costruita su una collina artificiale e circondata da un muro di pietra e da un’ansa del fiume Trebišnijca. L’ha fatta costruire recentemente Rodoljub Drašković, il presidente di una grande azienda che vende generi alimentari. Secondo il committente si tratta di un’opera di bene verso i bosniaci che hanno lavorato alla costruzione del castello. Secondo Mohamer è un’espressione dell’ego di un uomo che non sa più come spendere i propri soldi.
Arrivati a Trebinje il mio autista mi invita al bar insieme ai due colleghi, così ho l’occasione di fare due chiacchiere con uno di loro e mi faccio indicare da Mohamer la strada migliore per Kotor, che non è quella che avevo in mente io.
Da ultimo chiedo loro di tradurre il messaggio che ho ricevuto ieri dalla Telecom bosniaca, che è scritto in bosniaco. Il messaggio mi informa che è scaduta la validità della SIM prepagata e per continuare a utilizzare il servizio devo effettuare una ricarica. Come faccio io a saperlo se non ho modo di tradurre il messaggio tramite internet? Adesso so anche perché ieri sera il telefono non prendeva.
Su consiglio di Mohamer faccio un giro nel centro storico di Trebinje, che si trova all’interno delle vecchie mura. Saluto tutti, mi sbarazzo del cartello di legno e cerco subito un rimpiazzo. Non è difficile perché nei pressi di un cantiere trovo un ampio pannello di polistirolo e decido che è giunta l’ora di cambiare materiale e sperimentare qualcosa di più leggero dei pannelli di truciolare.
All’interno delle mura tutti gli edifici sono in pietra, così come le strade, e ci sono anche una chiesa e una moschea. Sul lato Est le mura sono protette dalle acque del fiume Trebišnijca. Finita questa breve visita mi incammino per alcuni chilometri verso il bivio che porta verso Grab, l’ultimo paesino prima del confine con il Montenegro.
Lungo la Trebišnijca ci sono alcune anatre mute che si rassettano le penne, delle magnifiche penne vede scuro iridescenti. Perlustro la riva finché ne trovo una e scendo dall’argine per raccoglierla dall’acqua. È soffice e lucente, un’opera d’arte.
Lungo la strada trovo anche una vecchia locomotiva a carbone restaurata ed esposta lungo il marciapiede. Salgo nel posto del macchinista e penso subito al mitico Doc Brown quando lancia una locomotiva a vapore a 88 miglia orarie in “Ritorno al futuro 3”. Dopo pochi metri faccio una sosta e decido di liberarmi di questa bellissima penna che non so proprio come conservare. La lascio cadere all’interno del balcone di un appartamento al piano terra.
Le meraviglie non sono ancora finite e mi aspetta ancora l’opera d’arte più ingegnosa di tutta la Bosnia. Nella frazione di Aleksina Međa (đ si legge d-j come je in francese) c’è un meccanico per auto con un mezzo di trasporto decisamente singolare davanti all’officina. Si tratta di un transatlantico a vapore lungo tre metri con una ricchezza di dettagli impareggiabile. Da lontano sembra una riproduzione fedele, ma avvicinandosi si scopre che questo prodigio di creatività è composto da un tripudio di parti metalliche ricavate dagli oggetti più disparati.
Su un telaio di legno che sorregge la struttura ad un metro da terra è montato un lungo scafo di lamiera ricavata da chissà dove. Le ciminiere sono due piccoli barili leggermente inclinati, la ruota è fatta con una turbina e lo specchio di poppa è rinforzato da una sega da legno a due manici. Le sovrastrutture del ponte poggiano su delle vecchie casse di legno e il resto dei componenti è di metallo. Il gran pavese, cioè la cima piena di bandierine che decora le grandi navi, è fatto con una catena. Oltre a queste elementi principali, questa scultura è formata da un binocolo, una macchina da cucire tagliata a metà, una frizione, dei tubi del gas, un elmetto da guerra, una piastra per waffle, un giogo, una bilancia a due piatti, una turbina, un seghetto, una tanica del latte, una lampada a gas, dei morsetti, degli ingranaggi, una borraccia, alcuni fregi a fiori, dei cardini da porta, dei manometri, la puleggia di un argano con la relativa catena, un’elica da motoscafo, una padella, dei tubi di ventilazione e dei ritagli di ripiani da frigo a formare i corrimano del ponte di coperta. Sotto la prua ci sono altri pezzi che aspettano di trovare il proprio posto a bordo, segno che l’opera è ancora in evoluzione.
Con estrema soddisfazione, ho dedicato più tempo alla visita di questo capolavoro artistico che a tutta la città di Trebinje. Saluto il costruttore con una valanga di complimenti in italiano, tanto dalla mia faccia sono sicuro che si capisce perfettamente il concetto.
Arrivo al bivio per Grab e proseguo lungo la strada che sale dritta verso il confine. Finalmente trovo una piazzola e aspetto, aspetto, attorniato dal ronzio dei cavi dell’alta tensione che mi passano quasi sopra. Poche centinaia di metri più avanti vedo vorticare uno stormo di gabbiani, segnale inequivocabile della presenza di una discarica. Passano in pochi perché la strada è secondaria e non si ferma nessuno perché quasi tutti svoltano prima di Grab, addirittura molti imboccano la strada della discarica. Deve essere proprio interessante questa discarica.

14:10

A tratti pioviggina e ormai se ne sono andati anche tutti i gabbiani quando una macchina mi supera, frena e torna indietro a prendermi. Sì è fermato al momento giusto perché sta per iniziare a piovere sul serio.
Appena salgo in macchina, Rjist mi spiega che si è fermato all’ultimo perché si è ricordato di quando da più giovane anche lui faceva l’autostop. Neanche lui è diretto a Grab, ma è molto gentile e mi accompagna fino là, anche perché poco più avanti sta già piovendo e sarebbe un po’ brutto lasciarmi sotto l’acqua nel bel mezzo del niente. Rjist fa il cameriere ed è anche un sommelier, sebbene non abbia una certificazione ufficiale. Mi raccomanda di stare attento perché a Kotor ci sono due famiglie rivali della mafia locale e può essere pericoloso durante la notte.
La mia destinazione è vicina e ci arriviamo in un batter d’occhio. Per fortuna a Grab c’è un ristorante con dei tavoli al coperto, così mi posso rifugiare in uno dei tavoli aspettando che smetta di piovere.
Come appoggio lo zaino noto in rapida sequenza una macchina targata MNE, una famiglia che esce dal ristorante e le quattro frecce della macchina che lampeggiano. Con noncuranza sollevo il cartello “Grab-Herceg Novi” e lo appoggio sopra lo zaino in modo che si noti. Viene notato e mi fanno cenno di unirmi a loro!
Sono in macchina con Mjiro, Rada e il giovane Luka, una famiglia montenegrina che abita a Herceg Novi. Mjiro è un pompiere e oltre a intervenire negli incidenti stradali ha anche parecchio lavoro a causa degli incendi boschivi di questa zona. Rada invece è insegnante di inglese nella scuola in cui studia il figlio. Come mi racconta Luka in ottimo inglese, sua mamma in passato ha insegnato in due scuole che sono state chiuse per carenza di bambini, perché le zone rurali del Montenegro si stanno tuttora spopolando. Luka ha nove anni, ma precisa che saranno dieci tra tre mesi. Se avessi parlato un inglese come il suo a dieci anni adesso potrei fare l’annunciatore per la BBC.
Mi viene da ridere perché, come ogni volta che i bambini precisano il tempo che manca al prossimo compleanno, mi torna in mente una scena del cartone animato di Robin Hood. È una battuta che si capisce solo riguardando il film da ragazzi. Robin Hood, la volpe, incontra il coniglio Saetta che sta festeggiando il proprio compleanno. Gli chiede quanto hanni ha e la risposta geniale è: “Ho sette anni, ma vado per gli otto.”

16:20

Arriviamo alla frontiera bosniaca e ci controllano il passaporto. Non ci sono problemi, tranne che con me. Perché non c’è il timbro di ingresso sul mio passaporto? Perché sono entrato a Bihać presentando la carta di identità e nessuno mi ha chiesto il passaporto. L’ufficiale alla fine capisce e dopo un po’ di controlli posso andarmene dalla Bosnia. Avrebbero fatto meglio ad essere pignoli dieci giorni fa, adesso che sto togliendo il disturbo che mi lascino uscire. Vedendomi agitato, Luka mi tranquillizza.
Alla frontiera del Montenegro invece non ci sono problemi e non vogliono vedere neanche il green pass. Siamo dentro!
Chiedo qualche consiglio su che cosa visitare in questo paese perché non mi sono dato il tempo di cercare consigli online. Mi faccio spiegare anche la ragione del nome di questo paese, che in realtà è piuttosto evidente qui intorno. Le montagne lungo la costa appaiono scure e boscose, in contrapposizione alla Croazia che è più rocciosa e grigia.
C’è un’altra cosa che devo sapere, i montenegrini sono rinomati per la propria pigrizia. Per provare questo fatto, ogni anno viene organizzata una competizione, in cui vince chi rimane sdraiato più a lungo. Sembra facile, ma il record di 52 ore è qualcosa di impensabile.
Quest’anno hanno cambiato le regole e ai partecipanti è concesso andare in bagno una volta ogni otto ore, con la conseguenza che il record è esploso a 117 ore, cinque giorni. Sono allibito.
In Montenegro il tempo è buono, non piove più e si vede un po’ di cielo. Anzi, poco a poco il cielo inizia ad estendersi anche sotto l’orizzonte, come non faceva da quasi tre settimane. Finalmente rivedo il mare, talmente piatto che potrebbe benissimo essere un lago.
Da ultimo chiedo ai miei accompagnatori se è vero che devo stare attento alle due cosche rivali di Kotor, ma fortunatamente non siamo nel Far West, non è che si sparano per strada.

16:45

Scendo a Meljine in cerca di una scheda SIM, ma vedo solo promozioni da 500GB al mese che costano 15 euro. In verità prima di una SIM serve un bancomat per prelevare contante.
Inizio ad esplorare il paese in cerca di qualche altra tabaccheria che venda delle SIM più economiche, ma in inverno il lungolago è interamente chiuso per mancanza di turisti, quindi ritorno sulla strada principale, quando ormai è buio.
Mentre cammino lungo la via mi sento chiamare dal lato opposto della strada, dove ha accostato una grossa monovolume e l’autista mi chiede se mi serve un passaggio per Kotor. Rispondo di sì e lui fa inversione nel traffico per accostare di nuovo dal mio lato. Rimango un po’ perplesso e diffidente perché questo mi sembra un comportamento eccessivamente gentile. Va bene che a volte qualcuno vede il mio cartello e mi si ferma di fianco, ma tornare indietro in questo traffico e darsi tanta pena solo per darmi un passaggio mi sembra sospetto.
Mi sbaglio di grosso, quest’auto è equipaggiata di tutto punto per viaggiare e, dettaglio importante, l’autista fino a un secondo fa non aveva neanche preso in considerazione l’eventualità di avere ospiti perché il sedile del passeggero è ingombro di oggetti almeno quanto il resto della macchina.
Salgo a bordo e faccio la conoscenza di Jorgen, che è austriaco ed è in viaggio da aprile. “Benvenuto nella mia casa!” mi dice. I capelli biondi e lunghi legati dietro la testa sono il tratto più evidente dell’eccentricità di quest’uomo.
Jorgen ha 48 anni e una storia veramente singolare. Ha lavorato per una quindicina d’anni nell’edilizia e, non avendo praticamente giorni liberi, ha finito per accumulare gli stipendi. Nel 2005 ha mollato il lavoro e da allora si dedica prevalentemente a viaggiare, lavorando solo di tanto in tanto. “Quindi in pratica sei andato in pensione a 32 anni?” Ridendo risponde di sì, in effetti è abbastanza vero.
In questi mesi ha viaggiato con molta calma, ospitato gratis o ad un prezzo di favore da alcuni amici nella zona dei Balcani. L’estate ad esempio l’ha passata al mare in Croazia presso l’albergo di un amico. Questa macchina infatti contiene la sua casa, ma non è attrezzata per dormirci dentro come in un camper.
Ha già esperienza di questa zona perché c’è già stato tre anni fa, ma di notte è difficile riconoscere i luoghi. La baia è circondata da montagne nere alte e ripide, bordate sulla riva dalle luci della strada e dai centri abitati, che si specchiano nel mare calmo. Sembra il lago di Garda.
Jorgen è stato condotto qui da una monetina lanciata stamattina in Croazia e non è sicuro di rimanere in Montenegro, forse gli conviene tirare dritto fino in Albania prima che scada la validità del tampone che ha effettuato oggi. Peccato che nessuno di noi due possa controllare i requisiti di accesso in Albania, perché siamo senza internet.
La mia meta per oggi in realtà non è Kotor, ma Perast, perché Bonni mi ha spiegato che era un porto molto importante nei secoli passati perché fungeva da intermediario tra Kotor e il mare aperto. Jorgen si ferma a Perast per farmi scendere e chiedere informazioni, ma a quanto pare qui l’unica tabaccheria è chiusa, quindi a questo punto proseguo fino a Kotor. Non che ci sia granché da vedere qui, il paese è minuscolo.
Torniamo in macchina e inizio a sentire lo stesso buon odore di dieci giorni fa, segno inequivocabile che ho pestato una cacca nel fare il giro della macchina per tirare fuori lo zaino. D’altronde è noto fin dai tempi delle medie che uno dei miei gadget è il merdetector.

17:50

Dopo alcuni chilometri arriviamo a Kotor, una macchia luminosa che è incastrata in fondo alla baia e si inerpica nella valle retrostante che porta verso l’Adriatico. Qui è ancora tutto aperto e vitale, ringrazio di cuore Jorgen e gli auguro buona fortuna con il suo viaggio, che sarà ancora lungo nonostante le proteste della moglie che lo rivorrebbe a casa.
Scendo e vado al punto informazioni per chiedere se qui vicino c’è una fontana. Mancano cinque minuti alla chiusura e la donna allo sportello ha già spento il cervello o non capisce la mia richiesta e seguendo le sue indicazioni arrivo davanti alla vasca rotonda di una fontana spenta. Grazie, ma non intendevo questa fontana ed è anche spenta, nessuno la cercherebbe mai neanche sapendo che c’è.
Vista la scarsa collaborazione faccio da solo e vado a sciacquarmi una mano nell’acqua della banchina. Puzza ancora da quando, con i fazzoletti, ho cercato di pulire la sedia di legno di Jorgen su cui avevo appoggiato i piedi. Ma porta fortuna, giusto?
Il prossimo passo è prelevare contante, che è semplicissimo visto che nella piazza dentro le mura ci sono gli ATM di ben quattro banche. Ne provo due, ma non riesco a prelevare. Mi accorgo che dopo la serata con i tedeschi Mostar ho bloccato temporaneamente la carta dall’applicazione sul telefono e ora sono fregato. Senza internet niente contante, senza contante niente SIM, senza SIM niente internet.
Provo ad accendere la SIM italiana, ma i messaggi in arrivo bruciano all’istante otto euro di credito e torno offline. Ok, è stato un errore, chiedo di usare il wifi nel bar accanto e tutto fila liscio. Quasi.
Compro una SIM da cinque euro che mi dà 500GB per sette giorni, ma quando la inserisco, internet non funziona. Dopo parecchi tentativi di riavvio chiamo l’assistenza e mi dicono che devo configurare l’APN manualmente, che per me ormai è un gioco da ragazzi. Dicono che mi mandano anche un SMS con le informazioni di configurazione come promemoria, ma sospetto che un improvviso attacco di stanchezza gli abbia impedito l’invio.
Torno online, faccio sapere che sono vivo e vado a fare la spesa in un supermercato pieno di prodotti Conad. Cerco il riso, da mangiare insieme al maiale brasato di Moon, ma trovo solo un intero scaffale di pasta.
Con la mia ricca spesa torno nel centro storico in cui, per inciso, ci sono varie fontane. Mentre vagabondo per i vicoli pieni di ristoranti e birrerie mi si avvicina una coppia di francesi che dicono di avere un problema con il camper. Scherzo. Vengono dalla Normandia e hanno un figlio che ha circa la mia età, perciò vedendo me e il mio zaino si sono incuriositi. Vogliono solo sapere che strada ho fatto e scambiare due chiacchiere. Salutati i francesi, mi siedo sul muretto di un portico per cenare.

20:30

Kotor è piena di gatti, me lo aveva già anticipato Antun a Mostar.
La città è pattugliata dai gatti ed entro cinque minuti da quando mi siedo arriva la prima gatta a chiedermi di condividere un po’ del mio cibo con i suoi grandi occhi neri. Rispondo ai miagolii dicendo che anche io ho fame e probabilmente non mangio da più tempo di lei. Dopo un po’ capisce e se ne va, ma sopraggiunge un altro gatto, un altro e un altro ancora. Attaccato su più fronti, difendo attentamente il mio muretto.
Sono belli e quasi quasi i loro occhi felini mi muovono a pietà, ma se andassi da loro a piangere non credo che mi porterebbero da mangiare. Provo a proporgli di scambiare il tonno in scatola con un pesce crudo, ma non ne vogliono sapere, quindi l’affare va a monte. Sto parlando con i gatti, non credo che sia un buon segno.

22:00

Appena finito di mangiare, raccolgo armi e bagagli e vado a lavarmi le suole in una fontana, per poi uscire dalla cittadella e superare le acque limpide del fossato illuminato dai fari delle mura.
Niente ostello, ho già incontrato abbastanza persone oggi e ho un’idea magnifica per la notte. Di là dal fossato inizia una mulattiera che sale fino ad un punto panoramico situato 550 metri e trenta tornanti più su.
Mi incammino lentamente lungo la strada serpentiforme e, come un serpente, mi fermo di tanto in tanto per digerire. Non serve neanche la torcia perché Kotor illumina perfettamente la via. Ogni tanto un grosso rospo attraversa il sentiero.
Arrivo al primo punto panoramico e comincia a piovere, quindi salgo ancora fino a trovare un giaciglio d’erba libera dai sassi, per dormire. Lancio il telone impermeabile sopra gli arbusti spinosi e lo ancoro a terra con dei sassi perché la notte sta diventando ventosa.

1:40

Mi assicuro che la tenda sia stabile e che l’acqua, che scorre copiosamente sul telo, venga scaricata e drenata fuori dal metro quadro in cui sono sdraiato. Dopo qualche ritocco posso dormire sonni tranquilli, sdraiato in mezzo al sentiero.

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