Lezione di ieri: negli arcipelaghi polinesiani, la copertura internet è talmente precaria che ci si può affidare al wifi.
Sabato 19/08/2023 Port Denarau (Fiji)
Per ragioni a me ignote, scrivere è diventato una faticaccia terribile. Una di quelle attività che uno sogna di vedere compiute e ha una voglia matta di iniziare perché danno molta soddisfazione. Però domani, non oggi. Non è per lamentarmi, è per spiegare questi mesi passati senza dare notizie, se non per telefono.
Ancora una volta, dopo aver scritto appena mezza pagina, sono già in partenza per una nuova missione. C’è una palma da cocco dall’altro lato della recinzione del cantiere, cresciuta accanto a un rigagnolo d’acqua. Il piano è andare sul pontile, saltare in acqua, attraversare il rigagnolo e arrampicarmi. Sembra facile, ma torno indietro a mani vuote, con le braccia grattugiate e una puntura di riccio di mare in un piede. È stato un grave errore cercare di scalare la palma coi piedi bagnati, riproverò tra qualche giorno. Nel frattempo Charlotte è tornata, sta socializzando con alcuni carpentieri e meccanici del cantiere, che hanno appena finito la giornata di lavoro. Uno si chiama Avisia e lavora nel piazzale. Ieri ha lavato lo scafo di Valiant con l’idropulitrice, per scrostare dalle alghe e dai balani che stavano già spuntando sulla vernice antivegetativa.Un altro è Ron, un omone con gli occhiali da sole e i capelli raccolti a coda di cavallo. Mi offre un bicchiere di birra e mi porta a visitare la piccola officina dove lavora. Lui e il capo effettuano riparazioni in vetroresina, stanno ricostruendo una pala di timone. Il timone appartiene a una barca che ha cercato di arrampicarsi sui coralli, distruggendo lo scheletro del timone, di acciaio inox. Con tutti questi banchi di coralli a pelo d’acqua, a Ron il lavoro non manca mai, anzi si accumula.
Resto in compagnia con qualche bicchiere di birra Fiji Gold, la marca nazionale. Alle cinque io e Charlotte dobbiamo salutare perché il gran consiglio si riunisce questa sera al ristorante del marina. Offre da bere il capitano, dobbiamo parlare delle prossime tappe del viaggio.
A servire al nostro tavolo c’è Melrose, la cameriera che si è offerta di ospitarci. O forse dovrei parlare al maschile, non lo so e anche Charlotte non sa cosa sia meglio. In inglese è facile evitare di usare un genere maschile o femminile. Comunque, Melrose, con un fiore di frangipani tra i capelli, ci porta i cocktail al tavolo. Decidiamo che andremo a farle visita in città domani mattina, per vedere la casa e pranzare insieme. I cocktail colorati non fanno per me, meglio un buon bicchiere di rum. C’è così tanto ghiaccio che ben presto il rum diventa grog.
C’è molto di cui parlare stasera, perché le Fiji contano innumerevoli isole e atolli, inoltre vorremmo cercare di definire ancora una volta la rotta da qui a Panama. Ora sappiamo che i passaggi lunghi causano mal di mare, perciò può essere saggio spezzare le tappe in passaggi più corti. Questa strategia si sposa bene con l’intenzione di Raph e Mag di visitare quante più isole si può. Dalle Fiji possiamo andare a Futuna, poi a Wallis, isole Tonga, Samoa, Niue, Palmerston, isole Cook, Bora Bora, Tahiti, isole Marchesi e Panama. Forse così diventa un po’ lunga, anche perché le isole Tonga e le Cook sono parecchio fuori strada e esattamente controvento. Vermandoci in ogni isola potremmo arrivare nel Nuovo Mondo tra un anno, e la stagione dei cicloni è alle porte. Ora che abbiamo tutte le possibilità sul tavolo, vedremo come muoverci in base al meteo del mese prossimo. Niue sarebbe bella, ma è un pilone di roccia in mezzo all’oceano, senza possibilità di ancorare al riparo dal vento e dal mare. Il problema è proprio che le pendici dell’isola precipitano negli abissi in verticale, senza barriera corallina né spiagge. Se non ci sono posti disponibili per attraccare nel piccolo porto, siamo fregati. Mentre viaggiamo con la fantasia, ordiniamo una pizza margherita da dividere. È piccola e costa dodici euro, meglio dividerla.
Il piano nei prossimi giorni è rimettere Valiant in acqua già domani e restare ormeggiati a Port Denarau per un paio di giorni. Se non entra acqua, faremo un’uscita di rodaggio. Sembra un buon piano, se il meteo è dalla nostra parte.
Mancano solo una mezza dozzina di riparazioni e saremo di nuovo pronti a prendere il mare.
La cena si conclude con un secondo giro di birre offerto dalla direzione del marina. È impressionante pensare che in questa serata abbiamo speso 230 dollari (90 euro), cioè un terzo del salario di un operaio figiano.
Tornati in barca, ognuno è intento alle proprie attività, perché abbiamo blog da scrivere e amici da chiamare. Lord Asparagus invece non si è ancora deciso a telefonare a casa, per raccontare la nostra odissea.
È giunta l’ora di completare il punto nave fatto quasi una settimana fa. Ormai ho letto tutto il libro tre volte e ho trovato il piccolo errore che cercavo. Tutte le linee si spostano di cinque miglia e si incrociano proprio sulla nostra posizione GPS al momento delle osservazioni. Tombola! Direi che ho la strada spianata per un progettino che mi è venuto in mente lunedì notte, in un lampo di genio. Se lo completo, tra tre mesi avrò messo da parte un bel po’ di esperienza nell’uso del sestante, ma c’è di più. Mi servono quaderni a righe, matita e magari un paio di colori. Per fare il punto nave infatti serve una mappa piuttosto ingrandita della zona di mare in cui si pensa di essere, altrimenti tutte le linee da disegnare si accavallano e non ci si capisce niente. Inoltre il reticolato geografico non è uguale a tutte le latitudini, serve almeno un foglio diverso per ogni grado di latitudine attraversato. Solo per questa ragione mi servono già quaranta fogli. Ora, se disegno un nuovo foglio reticolato ogni volta che usciamo dal foglio precedente, alla fine posso accostare tutti i fogli e creare una mappa lunghissima, in scala 1:400.000. Sono circa duecento fogli, secondo le mie stime. Sarebbe più semplice completare il progetto con l’aiuto di qualcuno, ma la proposta non ha incontrato molto entusiasmo a bordo.
A dirla tutta, l’idea non è tutta farina del mio sacco. I miei maestri e ispiratori sono Bonni Forack e Franco, i creatori della blasonata Linea del Tempo. Alla fine delle superiori Forack si ritrovò con un enorme plico di fogli da raccoglitore a quadretti, utilizzati solo da un lato e pieni di vecchi esercizi di algebra. Così nacque l’idea di tagliare i fogli per il lungo rappresentare con dei aungji blocchi colorati la vita dei un personaggi storici. Ogni quadretto equivale a un anno, per esempio Alessandro Magno è rappresentato da un blocco di trenta quadretti. La Linea del Tempo si estende dalla fondazione dell’impero romano, 753 a.C., fino ai giorni nostri, e richiese il sacrificio di innumerevoli ore di lezione. Il progetto vide la luce nella primavera del 2015, quando la Linea del Tempo venne appesa alle pareti della classe, facendo tutto il giro. L’ultimo giorno di scuola venne srotolata giù dalla finestra del quarto piano e toccava quasi terra. Tutt’oggi è custodita negli archivi di casa Bonini, a Reggio Emilia.
Nel corso dei giorni di navigazione il progetto ha preso forma, invece di limitarsi a controllare l’accuratezza dei punti nave, sarebbe interessante ricostruire interamente la rotta transpacifica, senza utilizzare la strumentazione di bordo. Basta stimare ogni ora la velocità della barca, annotare la direzione di bussola ad ogni virata e correggere la posizione ad ogni punto nave. Poi posso tracciare sulla mappa la rotta effettiva e confrontarla con quella stimata. La navigazione nelle Fiji è perfetta per iniziare, perché avremo sempre dei punti di riferimento intorno a noi e il mare calmo facilita le osservazioni con il sestante.
Questa sera in barca proiettiamo un film, bisogna che Ernest recuperi “Alla ricerca di Nemo”, perché non l’ha mai visto. Dopo il film, mi tuffo a capofitto nella nuova grammatica di lingua figiana, per colmare la mia ignoranza. Va a finire che mi addormento alle cinque, con enorme soddisfazione.
L’indomani mattina, alle nove, abbiamo appuntamento con Melrose per andare in città e pranzare insieme. Non vedendoci arrivare, Melrose si stava già preoccupando. Mi sembra il caso di spiegare che in Europa funziona così, siamo tutti così indaffarati che arrivare in largo anticipo è un lusso che si permettono in pochi.
Prendiamo l’autobus, che ci consegna direttamente nel centro della città di Nadi (Nandi). Melrose ci spiega che il tempio indù a Nordest della città è il più grande di tutto l’emisfero australe. Ieri abbiamo notato che tutte quante le insegne dei negozi sono rosse con un enorme logo della Coca-cola. Il motivo è che la Coca-cola fornisce gratuitamente i pannelli stampati a tutti gli esercenti che lo richiedano. Un pezzo di plastica in cambio di spazio pubblicitario a vita sembra uno cambio vantaggioso, in effetti. Di sicuro funziona, a giudicare dalla quantità di bottiglie di bibite nelle borse della spesa dei passanti. Andiamo a fare compere nel mercato ortofrutticolo, salutati letteralmente da tutti. Una volta radunato il necessario per il pranzo, resta solo da acquistare un sulu per Magali. Il sulu è un indumento femminile tradizionale, che nella sua versione più semplice è un rettangolo di stoffa avvolto sui fianchi come una gonna. Servirà domani quando andremo nel paesino di Natova, e in generale per visitare le zone rurali delle Fiji. Fatto anche questo, usciamo dalla città e raggiungiamo a piedi l’appartamento affittato da Melrose, dove ci accoglie la sua coinquilina Mila, che è anche una sua cugina. La casa è semplicemente arredata, c’è una mensola un mobile con i piatti e le pentole, il lavandino e un fornello a petrolio. Ci accomodiamo sulla stuoia della sala, mentre Melrose prepara il kava per il sevu sevu. A detta di Melrose e Mila, nei villaggi non si beve kava in continuazione, è più che altro una cerimonia per gli ospiti. Iniziamo subito a preparare la verdura, spennando dei germogli di ota, una specie di felce. A guardare bene, ha proprio un aspetto familiare. Anche se l’aspetto non è identico, l’ota non è altro che il kiokio neozelandese sotto mentite spoglie.
L’odore pungente del fornello a cherosene acceso con uno stecchino di cocco mi riporta immediatamente a Kotaraja, quando ero nello studentato con Janis e Sena. Per preparare il pranzo, per prima cosa bisogna bollire la cassava sbucciata e fatta a cubetti. Poi si cuociono le foglie di ota insieme al soffritto di cipolla e aglio, mentre Mila grattugia un grosso cocco per estrarre il latte di cocco. Ieri sera al ristorante, alcuni di noi sono rimasti scottati dal potente peperoncino a pezzetti. Meglio che Melrose ne aggiunga poco al latte di cocco.
Il pranzo è servito, basta prendere un pezzo di cassava morbida e asciutta, da intingere nella zuppa di ota e latte di cocco.
Parlando di Melrose, il suo nome deriva da una cittadina scozzese, che diede i natali alla specialità del rugby a sette. In onore della città, il vincitore dei campionati mondiali di rugby a sette riceve la prestigiosa coppa Melrose. Quando nacque Melrose nel 1997, le Fiji avevano appena vinto per la prima volta i mondiali, così il nome fu deciso. Continuando a chiacchierare, veniamo a sapere che suo padre è il capo, o turaga (si legge tùranga) di tre villaggi. La carica ovviamente è molto importante, e viene trasmessa per via ereditaria. Non c’è dubbio che Melrose abbia la stoffa del capo, perché l’anno scorso ha partecipato alle elezioni del parlamento nazionale. Non ha avuto accesso in parlamento per un soffio, ma riproverà tra due anni. Non ci sono da rivendicare solo i diritti della comunità LGBT, ma anche delle donne. Inoltre, dopo l’indipendenza dalla dominazione inglese nel 1970, il paese fatica ancora a trovare un equilibrio tra i gruppi etnici presenti nell’isola. Un esempio è la scuola, dove tutt’oggi è vietato parlare figiano e si insegna solamente l’inglese. In nome della convivenza tra i gruppi etnici, si stanno calpestando le culture di tutti.