Mamma Nikolozi

Lezione di ieri: non pretendere la perfezione nei viventi, non la troverai mai. Cerca piuttosto buone qualità e trova una funzione ai difetti.
Mercoledì 17/02/2022 9:20 Korbouli (Georgia)
Mi sembra tardi, ma per fortuna i preparativi sono ancora in alto mare, le ragazze devono ancora andare a scuola. Siamo in Georgia in fondo, la scuola inizia alle dieci. Mentre facciamo colazione, sul fuoco c’è una pentola piena di uova, che sono solo una piccola parte del pranzo al pacco di oggi. Sono state preparate anche due bottiglie di liquido blu, una di vodka colorata e l’altra di liquido lavavetri, che hanno esattamente lo stesso colore. Dalle presentazioni di ieri mi ricordo solo due nomi, sono troppo tutti insieme.
10:10
Raccogliamo armi e bagagli e partiamo, passiamo a raccogliere LuKa e un suo amico poi andiamo a Sachkhere a fare un pochino di spesa. Abbiamo bisogno di paaane, di un blocco di mortadella georgiana, di salsa alla senape, salsa di pomodoro e così via. Servono energie per stare seduti in macchina, non possiamo permetterci di rischiare la fame.
Si parte verso Nord, lungo una strada insolitamente ben tenuta che risale la valle scavalca a tornanti diverse creste di colline. Qui in Georgia non hanno i bazar, ma hanno compensato costruendo una quantità smisurata di tazar, cioè piccole chiese sparse su tutto il territorio, preferibilmente in luoghi scomodi e con una bella vista. Per questo Nikolozi non manca mai di indicarceli, visto che li conosce a menadito.
Passiamo accanto alla collina del monastero di Jruchis e ci fermiamo per una visita. È stato distrutto molti anni fa da un terremoto e al momento è in ricostruzione, proprio come nei cantieri del libro “I pilastri della terra”. Essendo un monastero georgiano, la via di accesso è una ripidissima strada a tornanti, a tratti asfaltata con il cemento per dare aderenza ai mezzi che portano in cima i materiali da costruzione. Metà dei costi di costruzione sono dati dalla benzina necessaria per affrontare questo chilometro di strada, immagino. Niente che possa spaventare Mr Nikolozi-Anderson, che con quegli occhiali da sole e la veste tutta nera sembra appena uscito da “Matrix”. Fa un’ultima manovra su una cuspide della strada, per parcheggiare dall’altra parte, e andiamo a visitare il cantiere. Ci sono blocchi di roccia bianca in lavorazione, con fregi e forme particolari. La vista è magnifica e il monastero è caratterizzato da due cipressi vetusti, pluricentenari. Mentre sono ancora intento a studiare l’ambiente ritorniamo alla macchina, i lavori procedono bene.
Proseguiamo sulla stessa strada di prima, avvicinandoci alle possenti montagne acuminate e bianche del Caucaso, contro le quali il sole di oggi non può nulla. Nei pressi di Oni svoltiamo a sinistra verso il lago artificiale di RaCHa, passando per un piccolo paese in cui si produce carne di maiale biologica, famosa in Georgia. La nostra destinazione in realtà è la chiesa di Barakoni, costruita in una comoda pianura piena di fiori. Più che l’esterno finemente decorato, mi colpisce lo stile delle immagini dipinte sull’iconostasi, che sono per qualche ragione diverse dallo stile canonico che ho visto altrove. Le facce solitamente hanno ombreggiature spigolose e i nasi allungati come le dipingeva Cimabue, invece queste hanno tratti insolitamente morbidi e meno ieratici del solito.
Dopo un momento di preghiera ripartiamo, facendo i nostri omaggi al custode e ai suoi due enormi cani pacifici. Bisogna arrivare assolutamente a destinazione, perché iniziano a sorgere le prime lamentele e rischiamo seriamente di essere colti da un pericoloso senso di fame.
Parcheggiamo proprio a un estremità della diga di RaCHa, con davanti un grande lago ghiacciato ricoperto di neve e circondato dai boschi. In estate è un’altra cosa, ma adesso non c’è molto da camminare , l’avevo immaginato stamattina vedendo che genere di scarpe si sono messi i miei colleghi. Vado a fare qualche foto, mentre già mi chiamano in tre per andare a pranzare. Smettetela di pensare solo a mangiare e lasciatemi ammirare il paesaggio, uffa!
Mi unisco al picnic in piedi, allestito su un banco di neve che è ricoperto di cibo. Per assicurarsi che non cincischi, Nikolozi mi consegna un cospicuo blocco di mortadella, da tagliare a fette spesse e mangiare con pane, pomodoro o senape. Per accompagnare il pranzo stappiamo la vodka blu, per la quale abbiamo portato da casa i bicchierini di vetro, al diavolo la plastica! “Gagvimarjos!”
Finito il mio dovere, unisco l’utile al dilettevole e vado in bagno giù per la scarpata che porta al lago, in mezza gamba di neve. Passano due minuti e mentre faccio un video al lago mi sento chiamare da sopra, sono tutti impazziti e mi urlano di tornare indietro. Dall’alto forse non si capisce che sono ancora sulla sponda, provo a dimostrare con un pestone che il terreno è solido, ma è tutto inutile, torno su. Ci sono altre impronte dall’altra parte del lago, che arrivano parecchio più avanti ma senza terminare in un buco nel ghiaccio. Forse il ghiaccio è solido, no?
Sparecchiamo e torniamo indietro per un’altra strada, facendo un anello. Lungo la vie mi chiedono qualcosa in georgiano, che riesco a decodificare in “Perché hai cercato di ucciderti?”
Non mi sembra proprio, se ci sono stati casi di tentato suicidio, oggi non è tra questi. D’altra parte nessuno di loro ha mai messo piede su un lago ghiacciato, il ché spiega la loro reazione, ma mi rende impossibile spiegare il mio punto di vista. Se il ghiaccio è vitreo ne bastano tre dita per camminarci sopra, ci si può anche sdraiare e arrivare sul bordo. Naturalmente gli esperimenti vanno fatti a stomaco vuoto e in laghi poco profondi, che sono anche più belli perché si vede il fondale come in un acquario.
Facciamo un’ultima sosta su un altro lago pieno di isolette, sulla strada per Gogni, poi tagliamo tra le colline fino a Katskhi. La chiesa di Katskhi è chiusa, ma cogliamo l’occasione per fare un video che riassuma la giornata. Per scherzo io devo dire che la parte migliore di oggi è stata senz’altro Sachkhere, per via delle sue bellissime strade polverose e del magnifico traffico.
Passiamo per Chiatura e controlliamo il cantiere di un’altra chiesa, decisamente più grande del tazar di stamattina. Nikolozi entra e inizia a cantare per provare l’acustica, riempiendo la chiesa con la propria voce. Corro per raggiungere gli altri, che stanno andando a fare un giro nella funivia pubblica che serve agli abitanti per spostarsi tra la parte alta e la parte bassa della città. Alcuni di loro non sono mai stati in funivia e le facce che fanno sono impagabili. Ora che abbiamo visto il tramonto dalla funivia è ora di rientrare definitivamente per un’altra strada alternativa, che passa accanto ai tunnel attivi delle miniere di manganese, con mezzi e operai che escono da dentro la montagna.
Anche se ormai è buio, le sorprese non sono finite. Ci fermiamo in campagna, nei pressi di una stazione illuminata a giorno, con alcune cisterne cilindriche. Il gasdotto che passa proprio per di qui e prosegue verso Batumi trasporta il metano azero fino in Italia, dove la conduttura viene chiamata TAP (Trans-Adriatic Pipeline). Dopo quest’ultima curiosità, torniamo a casa.
A tavola, Nikolozi mi spiega il motivo di tutti questi lavori di ricostruzione delle chiese e dei tazar, che sono possibili solo ora che la Georgia è indipendente. Per settant’anni, sotto il dominio dell’URSS, i preti ortodossi si sono dati alla macchia, pena l’esecuzione. Sostentati dal resto popolo georgiano si spostavano da un tazar all’altro, decine di chilometri di cammino durante il quale era pericoloso fermarsi. Negli ultimi trent’anni la fede ortodossa è nuovamente esplosa, ma non ci sono abbastanza sacerdoti per tutte le piccole chiese disseminate sul territorio. Per questo i suoi figli più grandi Luka, Teodore e Avrò mi hanno detto che probabilmente diventeranno preti a loro volta.
Poiché i georgiani sono fatti a rovescio e dicono “mama da deda” indicando rispettivamente “papà e mamma”, padre Nikolozi viene chiamato mama Nikolozi, che per me risulta molto buffo.
Finito di cenare, anche questa sera torno nella stalla per guardare Nikolozi all’opera, dopodiché per me c’è una tazza di latte e una di yogurt bianco, denso ma senza cucchiaio, lo si beve.In generale in Georgia si beve tutto meno che l’acqua, perlomeno a pasto. Infatti le cose georgiane sono piene di grossi vasi di frutta sciroppata, ma con poco zucchero in modo da poterla bere a pasto come se fosse una panta (Fanta). I frutti più usati sono le ciliegie, i lamponi e la feijoa, che rimangono sul fondo del bicchiere e si mangiano per ultimi.
Mama Nikolozi inizia a preparare la stessa torta che ha confezionato Lali la settimana scorsa, delle stesse dimensioni, ma per fortuna riesco a procrastinare il dessert a domattina, perché la zuppa di fagioli e la gallina in brodo erano molto buoni, ma nel mio stomaco non ci sta più un bel niente. Sopo (che sarebbe l’equivalente di Sofia senza la effe) è la moglie di Nikolozi e si prende cura di mille mansioni, tra le quali la cucina. Forse sono solo fortunato, ma qui ho trovato un’altra cuoca di alto livello.
Ci salutiamo prima di andare a letto e mama Nikolozi mi dispensa un altro dei propri grandi e calorosi abbracci. Un tratto evidente di questa famiglia è la quantità di amore dispensata a tutti quanti, che permette a nove persone di vivere sotto lo stesso tetto in un’armonia surreale.

1 commento su “Mamma Nikolozi”

  1. Bellissimo il racconto della gita di oggi e devo dire davvero fortunato tu a trovare questa bella famiglia!!! Durante i tuoi racconti penso sempre a quanto è diversa l’ospitalità nei paesi che stai visitando rispetto all’Italia. Noi siamo diffidenti verso ospiti stranieri e credo che quasi nessuno si porterebbe a casa un pellegrino, e invece almeno nella parte del mondo che stai visitando è tutta un’altra cosa a quanto pare….oppure sei semplicemente un ragazzo fortunato e con un ottimo intuito positivo!!! Continua così!!!

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