Lezione di domenica: Riordinare le foto e vedere riuniti i lettori del diario non può che costringere alla scrittura. Mi chiedevo da dieci mesi quando sarebbe arrivato questo momento.
18/12/2024 Reggio Emilia (Italia)
Una parte di me, che non ha mai osato confessarlo, sognava un ritorno trionfale ancor più grande della serata di addio organizzata da mia sorella Sofia, tre anni fa. Da quando ho avuto l’idea di usare il trucco di Phileas Fogg e arrivare di sorpresa, non c’è stato più niente da fare, la decisione era presa. Ne “Il giro del mondo in ottanta giorni”, Mr Fogg scommette di completare il proprio viaggio entro ottanta giorni esatti, non un minuto di più. Con suo estremo rammarico, il suo ritorno a Londra viene ritardato di poche preziose ore, che bastano a mandare in fumo la sua grande impresa. Soltanto il giorno seguente scopre di aver commesso un errore assai grossolano e si precipita trionfante al club dei miliardari: chi viaggia verso Est guadagna un giorno!
Così ho ricontato quante volte ho visto sorgere e tramontare il sole e ho deciso che il millesimo giorno sarebbe stato perfetto come data simbolica per concludere il viaggio. Per me questo giorno sarebbe stato il 18 luglio 2024, ma a casa mi avrebbero aspettato per il 19 luglio. Così è stato, e il ritorno a sorpresa ha avuto l’effetto sperato. Sono seguite due settimane di festeggiamenti e degli abbracci più calorosi di sempre. Credo che neanche l’imperatore Augusto abbia mai festeggiato così.
Ho rivisto i gruppi di amici uno alla volta, piano piano anche i parenti, persino la nonna Teresa, lo zio Marzio e la zia Rossana, che adesso sono sepolti al cimitero. La mamma mi ripete da anni che ci sono decine e decine di lettori che hanno letto questo diario fintanto che l’ho scritto, ma non potevo immaginare esattamente quanti. Sulla base di questo cercava di invogliarmi a riprendere a scrivere, prima che i ricordi sbiadiscano troppo. Anche io cercavo di spronarmi a scrivere, perché ripensando a quanto non ho ancora raccontato ho un tuffo al cuore. Non solo, è necessario che finisca di scrivere per rendere giustizia alla povera Charlotte, che a causa delle sue costole rotte e della mia negligenza sta facendo proprio una figura meschina, quando la realtà è proprio l’opposto. Ho sentito il bisogno di scrivere della traversata tra le Samoa e Raiatea perché è stata senza dubbio la tappa più intensa del viaggio per mare. Tuttavia l’immagine che se ne ricava è talmente parziale che adesso mi è difficile convincere del contrario chi ha letto quelle pagine. Per adesso credetemi sulla parola se vi dico che la sua è una delle amicizie più preziose di tutto il viaggio.
Domenica sera ha fatto scattare qualcosa, che spero abbia creato abbastanza slancio per ricostruire almeno un paio di mesi di viaggio, oppure tutti i diciannove mesi che ancora mancano all’appello, chissà. Per come si è svolta la serata sarebbe stato molto difficile mostrare delle fotografie pertinenti agli argomenti trattati, estraendole sul momento da un archivio di circa ventimila foto e video. Dal momento che mi sono dimenticato che dietro di me c’era un proiettore, non ho mostrato quasi niente. La prossima volta mi farò trovare più preparato, ho un paio di idee in mente. Se mi trovo qui di a scrivere è solo grazie al regalo che mi è stato fatto, di vedere riuniti tanti amici e amici-di-amici da riempire oltre centoventi posti a sedere. Vedere dal vivo e per la prima volta quanto grande è l’interessamento cresciuto in questi anni deve aver fatto breccia nelle mie ultime ritrosie alla scrittura. Era ora! Non ne potevo più neanche io di questa inerzia. Chi ha scritto una tesi conosce bene i meccanismi perversi che affliggono gli scrittori.
Alcune delle domande emerse durante la serata erano curiosità tecniche o di cronaca, a cui avrei potuto rispondere anche il giorno che sono tornato a casa. Raccontare i fatti avvenuti richiede solo abbastanza memoria per richiamarli alla mente. Le altre domande sono quelle più ostiche, quelle analitiche. Dovrò impastare molte pizze e lavare molti piatti prima di avere le idee abbastanza chiare. Ci sono domande che non mi sono mai posto e che mi costringono ad afferrare dei pensieri sfuggenti o a riassumere delle riflessioni ancora incomplete. Per finire, c’è la grande domanda che affligge quasi tutti: adesso che ho visto le meraviglie del mondo, come farò a tornare a vivere alla vita snervante di questa grigia pianura emiliana? Il 17 luglio, sulla via del ritorno, la signora Annamaria della casa gialla di Santo Stefano di Magra mi aveva ammonito che presto sarei ripartito. Invece sono ancora qua. La mamma mi racconta da anni che chiunque senta parlare di me in viaggio non faccia che domandarle: “Ah! Ma come farà adesso a vivere in un posto come Reggio, dove non c’è niente? “ A quanto pare se lo chiedono tutti con tanta insistenza da preoccupare perfino me, che da un paio d’anni a questa parte non mi sarei neanche più posto il problema.
Mi vengono in mente tre fattori che potrebbero condizionare questa impressione generale che chi fa un lungo viaggio difficilmente ritorna per lungo tempo nello stesso luogo da dove è partito. Nel migliore dei casi finisce come per le tartarughe di mare, che ritornano sempre nelle acque dove sono nate, ma solo per qualche giorno. Poi depongono le uova e via, ripartono. Spesso si viaggia per evadere dalla propria quotidianità o alla ricerca di uno scopo, di un contesto più accogliente. Chi trova questo scopo e ha successo spesso diventa famoso e la sua storia ha molta eco. La seconda ragione che immagino è legata all’esperienza personale di ciascuno. Quando si va in vacanza lontano da casa, specialmente in luoghi esotici e affascinanti, è sempre un dispiacere tornare indietro così presto. Ci si accorge in fretta che difficilmente si potrebbe restare abbastanza a lungo da non potersi fermare più a lungo. Quei pochi fortunati che si possono permettere di fare una vita così certamente non si trattengono. Da ultima c’è la questione della libertà. Prendere le decisioni da soli, trovandosi liberi dai vincoli e dal giudizio altrui è molto allettante, quasi un sogno. “Nessuna regola, nessuna responsabilità!”, come dicevano Timon e Pumba. Difficilissimo riabituarsi alle sbarre della vita quotidiana, dopo aver provato l’emozione del volo.
Così, chi non è mai partito è indotto a pensare che solo i viaggiatori più sfortunati possano ritornare a casa e pensare “Ecco, di tutte le terre che ho attraversato, non ho trovato proprio niente di meritevole, avrei fatto meglio a non partire affatto.” Io stesso, prima della partenza, ho cercato per anni di fare una predizione di quale sarebbe stato il mio futuro dopo il ritorno. Conscio del fatto che durante un periodo tanto lungo si cambia in modo imprevedibile, ho accantonato molto presto ogni tentativo di indovinare quali sarebbero stati questi cambiamenti. Tutto quello che sapevo per certo sono la mia passione per la biodiversità e l’urgenza di preservare il patrimonio naturalistico dei paesi in via di sviluppo, prima che si riducano come la vecchia Europa, interamente dissodata, cementificata e addomesticata, dai boschi di montagna fino alle acque del mare. L’Europa sviluppata ormai sta imboccando la buona strada, non essendoci quasi più niente da distruggere la Natura si sta lentamente ricostruendo. Così raccontavo a tutti che durante il viaggio avrei visitato diverse riserve e parchi naturali, in cerca di un luogo in cui tornare e mettere a frutto le mie capacità. Considerando che in Italia gli ecologi non sembrano avere molte opportunità lavorative, mi sembrava l’unica soluzione plausibile. L’alternativa, in quanto biologo, sarebbe stata quella che prospettava la Riccò, la prof di matematica e fisica, che ci rimase male per la mia scelta universitaria. “Biologia? E dopo cosa andrai a fare, gli esami del sangue?” Anni dopo l’ho incontrata di nuovo e ormai si era abituata all’idea che non tutti i suoi studenti bravi in matematica si sarebbero laureati in matematica. Tuttavia non ho dimenticato quelle parole e ambisco ancora al lavoro meraviglioso del mio settore, un po’ anche per ripicca.
Strada facendo ho visitato alcune riserve naturali, numerosi parchi e ho partecipato ad un progetto di riforestazione, ma mi perseguitava un dilemma. Se venissi a lavorare qui, a seicento o mille euro di distanza dall’Italia, come potrei fare a ritornare abbastanza spesso a casa? Tanto è il costo dei biglietti aerei e risulta decisamente proibitivo. Si aggiunga a questo che sulla strada per Mostar ero stato ammonito chiaramente: le amicizie fanno di me un uomo molto ricco. Lo sanno tutti, intuitivamente, ma privarsene aiuta a quantificarne l’importanza. Così attraversavo luoghi meravigliosi e altri deturpati, con questa domanda sempre lì, in sospeso. In ben tre occasioni mi è stato offerto un pezzo di terra, oppure una casa in cui restare per sempre, così ho preso nota.
È iniziata una leggera nostalgia di casa la mattina di giovedì 25 febbraio 2022, in una nebbiosa mattina georgiana. In seguito è cresciuta lentamente, emergendo di nuovo solo nei rari periodi che ho trascorso da solo.
In giugno 2023, lavorando in nuova Zelanda, cercavo di non pensarci troppo spesso, ma qualche volta è emersa con prepotenza. Non è stata forte al punto di considerare di prendere un aereo e ritornare subito, come suggeriva la mamma, ma mi ha dato un segnale importante. Dopotutto non ho sempre viaggiato, all’estero ho anche vissuto e lavorato, per qualche mese. Grazie alle restrizioni della pandemia, sono stato costretto a viaggiare verso Est invece che verso Ovest. Così la traversata del Pacifico non si è svolta dopo qualche mese di esplorazione in Sudamerica, ma alla conclusione di un anno e nove mesi di viaggio via terra. Chissà come sarebbe andata se il Brasile fosse già stato aperto al turismo, nel 2021. Per mia grande fortuna, la vita a bordo di Valiant mi ha dato tutto il tempo necessario a riflettere, nelle ore lunghe e bellissime trascorse al timone.
A quel punto era chiaro ormai quanto, immaginando di andare a vivere all’estero, avessi sottovalutato l’importanza degli affetti. Molti altri viaggiatori che ho incontrato non soffrivano di questa malinconia. Avevo amici anche in altre parti del mondo, a dozzine in ogni paese, ma la più alta concentrazione si trova proprio a Reggio.
Tuttavia c’era anche un’altra ragione per fare ritorno, una ragione ben più sottile. Spostarmi continuamente mi ha portato ad ammirare tanti panorami e a frequentare molti boschi e case e amicizie, sempre differenti. Immancabilmente ho creato dei legami, anche molto saldi, ma si tratta comunque di legami superficiali, è inevitabile. Sono ancora in contatto con una larga parte degli amici che ho trovato intorno al mondo, ma abbiamo trascorso insieme poche ore o pochi giorni. Qualche volta abbiamo condiviso delle settimane, raramente più di un mese. È così che va, per chi viaggia: si accumula tanta conoscenza superficiale di molti luoghi , tutti diversi. La maggior parte di quelli che ho incontrato non hanno mai avuto la possibilità o il desiderio di viaggiare lontano. Per questo conoscono i dintorni di casa palmo a palmo, conoscono la propria terra come Robin Hood conosceva la foresta di Sherwood. Conoscono il territorio e anche i vicini di casa e i compaesani, insomma sono parte di una comunità. Non tutti, per chi vive in città di solito è diverso. È nelle zone un po’ rurali che ho incontrato più apertura, più generosità, più onestà. Durante i mesi in barca ho concluso che è questo ad avermi affascinato tanto da accantonare il presentimento che il mio futuro lavorativo sarebbe stato all’estero. Ora immagino che sarà l’opposto, e mi domando se esista un modo di rendermi utile in quei paesi che ne hanno più bisogno, senza per questo andarci a vivere. Per adesso lavoro alla Coop e intanto ci penso.
L’incontro con tanti popoli diversi mi ha presentato tante tradizioni diverse, già strette nella morsa dell’occidentalizzazione, che tutto appiattisce e cancella. Ho indagato queste culture con la curiosità di un antropologo, cercando di imitare le usanze più strane fino a comprenderle. Anche la mia cultura è minacciata dall’oblio, o forse sta solo evolvendo in qualcos’altro. Quando ero ospite di Meihana e Brandon, a Gisborne in Nuova Zelanda, ho imparato quanto sia importante per il popolo māori conoscere le proprie origini. La soluzione ai più gravi problemi sociali dei māori è proprio insegnare ai giovani le tradizioni perdute del loro popolo. Fino all’inizio degli anni ‘90, agli studenti neozelandesi era proibito parlare māori, pena le punizioni corporali. Da oltre un secolo la dominazione inglese stava cercando di spezzare l’identità linguistica e culturale dei nativi. Ora le nuove generazioni imparano a scuola i pilastri portanti della propria identità: ciascuno appartiene ad una delle tribù, conosce il nome della barca con cui i suoi antenati giunsero in Nuova Zelanda e il fiume presso il quale si insediarono. Nel parlare di sé, un māori non manca mai di sottolineare questi tre aspetti e si aspetta che anche tu ti presenti così, se vuoi. Anzi, in molte occasioni mi è stato chiesto quale lingua si parla nella mia regione e il nome della mia tribù, non soltanto in terra neozelandese.
La ragione sottile e sfuggente per fare ritorno è quindi qualcosa che avevo già, ma di cui ho compreso il valore osservandola negli altri. Grazie al contributo del pubblico di domenica scorsa, adesso si può riassumere in una parola sola: radici.
Le mie radici sono cresciute in una terra paludosa, con un clima aspro e pieno di zanzare per almeno metà dell’anno, giorno e notte. In autunno il sole può scomparire per settimane, lasciandoci al freddo e all’umidità. C’è traffico, frenesia e stress, c’è la mafia, l’immobilismo del governo e tanta, tantissima burocrazia. Anche la qualità dell’aria che si respira non è un granché. È una terra un po’ vecchia e acciaccata, ma a ben vedere è speciale e le si vuole bene, come ai nonni.
Mi scappa da ridere ogni volta che penso a quanto sono dovuto andare lontano per scoprire che il posto migliore sulla mappa è quello da cui sono partito. Non è semplicissimo riabituarsi alla frenesia della vita di qui, che tende a saturarsi di impegni, ma in questi primi cinque mesi non ho rilevato alcun impulso a fuggire di qui. Non vedo neanche perché dovrei, a questo punto.
Pochi hanno letto l’opera teatrale Novecento di Alessandro Baricco, di cui esiste anche un film e una striscia di Topolino. Novecento, il protagonista, che è nato in mare e ha passato tutta la vita lavorando come pianista a bordo del transatlantico Virginian, la stessa nave su cui è nato. Una volta stava quasi per scendere, ma ha dovuto desistere e ne spiega le ragioni all’amico e collega Tim Tooney.
Tutta quella città…non se ne vedeva la fine…..
La fine, per cortesia, si potrebbe vedere la fine?
E il rumore
Su quella maledettissima scaletta…era molto bello, tutto…e io ero grande con quel cappotto, facevo il mio figurone, e non avevo dubbi, era garantito che sarei sceso, non c’era problema
Col mio cappello blu
Primo gradino, secondo gradino, terzo gradino ……
Non è quel che vidi che mi fermò
E’ quel che non vidi
Puoi capirlo, fratello?, è quel che non vidi….lo cercai ma non c’era, in tutta quella sterminata città c’era tutto tranne
C’era tutto
Ma non c’era una fine. Quel che vidi è dove finiva tutto quello. La fine del mondo.
Ora tu pensa: un pianoforte. I tasti iniziano. I tasti finiscono. Tu sai che sono ottantotto, su questo nessuno può fregarti. Non sono infiniti, loro. Tu, sei infinito, e dentro quei tasti, infinita è la musica che puoi fare. Loro sono 88. Tu sei infinito. Questo a me piace. Questo lo si può vivere. Ma se tu
Ma se io salgo su quella scaletta, e davanti a me si srotola una tastiera di milioni e miliardi
Milioni e miliardi di tasti, che non finiscono mai e questa è la vera verità, che non finiscono mai e quella tastiera è infinita
Se quella tastiera è infinita non c’è musica che puoi suonare. Ti sei seduto su un seggiolino sbagliato: quello è il pianoforte su cui suona Dio
Cristo, ma le vedevi le strade?
Anche solo le strade, ce n’era a migliaia, come fate voi laggiù a sceglierne una
A scegliere una donna
Una casa, una terra che sia la vostra, un paesaggio da guardare, un modo di
morire
Tutto quel mondo
Quel mondo addosso che nemmeno sai dove finisce
E quanto ce n’è
Non avete mai paura, voi, di finire in mille pezzi solo a pensarla, quell’enormità, solo a pensarla? A viverla…
Credo di aver trovato la mia risposta a questo dilemma, almeno in parte.