Lezione di ieri: Se pianificati con cura, i giorni di pioggia sono magnifici. Passando da -3 a 10°C non fa neanche freddo.
Martedì 23/11/2021 00:05 – Rijeka Crnojevića (Montenegro)
Già che ci sono preparo un tè con le bustine che mi hanno regalato gli iraniani di Sarajevo.
È da un bel pezzo che ho voglia di uova, che qui si chiamano jaja, ma il supermercato le vende sono dieci alla volta. Quindi ne ho comprate dieci da mangiare stasera con maionese, pane e tonno.
Quando si preparano le uova sode, prima di mangiarle la mia religione impone di praticare un rito preparatorio chiamato “scosetta”. Il nome è dialettale e ha alcune altre varianti in provincia di Reggio Emilia, e pochissimi lo conoscono al giorno d’oggi. È un gioco che richiede grande destrezza e spiccate doti di oomanzia, cioè capacità di interpretare le uova. Si procede nel modo seguente: a turno ciascun giocatore sceglie l’uovo che gli sembra più resistente, poi semplicemente si picchia un uovo sull’altro da uno dei due lati appuntiti. L’uovo che si rompe si può girare dall’altro lato per usarlo di nuovo. Quando un uovo ha il guscio rotto da entrambi i lati, è eliminato, e vince l’ultimo giocatore che rimane con l’uovo integro da almeno un lato. Se le uova sono di più dei giocatori, i primi eliminati possono prendere un altro uovo fino ad esaurimento scorte.
Mi guardo intorno, ma sono proprio da solo, quindi mi viene un’idea e tiro fuori il pennarello.
Guardo le uova ordinate nella scatola con i nomi dei miei amici e mi rendo conto che probabilmente avrei bisogno di compagnia. Non fa niente, la compagnia arriverà.
In questa prima manche partecipano Bonni, Flavio, Dario, Mors, le tre Elena, Dario Rossi, Manfre e Tara, i primi dieci in ordine alfabetico. La sfida è più che mai agguerrita e alla fine solo l’Ele Cantoni esce trionfante dal girone A.
Già che il fuoco è acceso, filtro e faccio bollire un paio di litri di acqua di fiume per riempire di nuovo le borracce. Il fuoco rimane acceso fino alle sei per finire di bruciare tutta la legna raccolta, sarebbe un peccato aver raccolto questi bei rametti per niente.
Finite le uova continuo a scrivere finché non inizia a fare chiaro, dopodiché faticosamente mi decido a ripartire, perché dopo un giorno e mezzo di immobilità l’inerzia si sente.
All’improvviso qualcosa passa di corsa attraverso le mie cose ammucchiate sotto l’amaca. Deve essere un topo mascalzone, non ci avevo pensato ieri sera prima di lasciare il pane lì a terra. Poco dopo una piccola rana rossa atterra su un sasso poco distante e poi salta via nella stessa direzione. Niente topi quello che ho visto con la coda dell’occhio era solo una rana.
Durante la notte ho tenuto d’occhio il livello del fiume e poco a poco l’ho visto crescere di circa 30cm.
11:17
Sgombero la tettoia e parto a piedi verso Pavlova Strana, l’ansa più bella del fiume Crnojevića, una riproduzione verde dell’ansa più famosa del Colorado. Dista poco più di quattro chilometri e ci si arriva in meno di un’ora. Effettivamente il paesaggio è spettacolare. Il corso d’acqua forma un tornante che circonda un monte verdeggiante e appuntito, eroso dal fiume stesso. Normalmente il flusso d’acqua è delimitato dalla vegetazione acquatica delle sponde, che restringe la parte navigabile e borda il fiume di verde. Oggi la piena ha sommerso le piante acquatiche e il fiume appare nelle sue dimensioni reali. Scorre lentamente, perciò il paesaggio si specchia nell’acqua. Ci sono parecchi trampolieri e anatre laggiù nell’acqua. A sinistra, in lontananza, si vede la zona umida attraversata dal fiume prima di immettersi nel lago di Skadar. Non è semplicemente una palude, ci sono grandi canneti qua e là nel labirinto d’acqua, dal quale sorgono due monti gemelli e altre piccole alture solitarie. Sarebbe spaziale portare laggiù la barchetta che c’è qui nell’albergo abbandonato, lo propongo anche ad un paio di turisti di passaggio che però si lasciano scoraggiare dai 150 metri di bosco ripido che ci sono in mezzo. Il mondo è pieno di zone molto più maestose di questa, ci saranno altre occasioni ed ora è meglio andare verso Podgorica.
Do un’ultima occhiata con il binocolo e trovo nel fiume una coppia di cigni e un uomo che vive su una casa galleggiante, con ormeggiata una barchetta a motore. Bisognerebbe andare laggiù con lui e abitarci una settimana.
13:39
Riparto verso Meterizi, che si trova in cima ad una serie di tornanti e comunica direttamente con la strada principale per Podgorica. Meterizi è un gruppo di case sparse ed è interessante perché ha dei campi coltivati. Non che il terreno sia meno roccioso che altrove, è il frutto di secoli di lavoro. Le pietre ci sono ancora, impilate a formare dei muri a secco o semplicemente ammucchiate qua e là. Come raccontava una storia che mi leggevano da bambino, da un prato pieno di pietre si possono ottenere in un colpo solo una casa e un campo coltivabile. Non c’è fretta ed è un bel posto, mi fermo a mangiare un melograno selvatico.
In fondo alla via c’è una chiesa ortodossa, circondata da un cimitero ingombro di tombe interrate. Contrariamente al solito razionalismo con cui si dispongono le tombe in Italia, qui le grandi lapidi non sono allineate, ma piuttosto incastrate tra loro senza uno schema preciso, fino a saturare lo spazio disponibile.
Ritaglio un pezzo del mio televisore da 55 pollici e ci scrivo Podgorica. In venti minuti sono in macchina con Žejko e Sanja, lui lavora in un casinò e lei è insegnante di biologia, probabilmente hanno quasi quarant’anni.
Dopo pochi chilometri finalmente vengo a capo del mistero dell’agricoltura Montenegrina. Di colpo il paesaggio roccioso si interrompe e appare una grande pianura alluvionale e una distesa di campi coltivati. Ecco che cosa mangia questa gente.
Non esageriamo con l’agricoltura però, una parte consistente di questa spianata è stato cementificato per costruire i grandi edifici della capitale, che ospita 150000 abitanti, una popolazione equivalente a quella di Reggio Emilia, cioè un quarto di tutto il Montenegro.
Tutti gli edifici, prevalentemente centri commerciali e uffici, sembrano essere estremamente nuovi. In effetti, mi spiega Žejko, la capitale è stata trasferita qui da appena settant’anni. È per questo che tutti i viaggiatori che ho incontrato mi hanno detto che non c’è quasi niente da visitare a Podgorica. Per questo motivo non pensavo di fermarmi qui, ma dopo otto giorni di campeggio l’ostello Q è un’ottima opportunità per lavare me e i vestiti.
Scendo e mi avvio verso il centro, facendo una sosta alla grande cattedrale ortodossa della Resurrezione di Cristo. L’edificio bianco è stato completato otto anni fa e all’interno è interamente affrescato e decorato con un mosaico centrale che rappresenta l’arca di Noè. Da una delle finestre dell’arca spunta un animale che è palesemente un unicorno, che perciò si deve essere salvato, ma non si sa che fine abbia fatto dopo il diluvio. Lo spazio all’interno della chiesa è occupato da un enorme lampadario del diametro di parecchi metri, ricoperto d’oro.
I montenegrini tendenzialmente indossano la mascherina in questo periodo, ma qui la prescrizione viene ignorata e i fedeli si profondono comunque nei baci rituali alle icone.
Finita la visita vado in centro, attraversando un ponte pedonale sul fiume Morača, spazzato da un forte vento. Cammino e cammino chiedendomi dove sia il centro storico, ma probabilmente non c’è, la città è sorta quasi dal nulla settant’anni fa. Supero le luminarie natalizie e tiro dritto verso l’ostello, che è a un paio di chilometri dal centro. Non è molto comodo, ma ho letto che ha un ampio giardino per stendere e questo vento è perfetto per i miei scopi.
La strada per l’ostello Q attraversa dei quartieri residenziali di case a due piani. Invece dei soliti negozi di alimentari, ristoranti e bar, lungo la via si susseguono ininterrottamente le sale scommesse. Certo, ci sono anche forni e fruttivendoli, ma la metà dei negozi sono sale scommesse, è impressionante.
Come si suole fare in questa parte dei Balcani, i marciapiedi sono ampi e vengono usati come parcheggio, con il risultato che ci sono più macchine sul marciapiede che in strada.
18:25
All’ostello mi accoglie Chloe, che viene dall’Azerbaijan e lavora qui come volontaria. In teoria una notte costerebbe 11€ per chi arriva senza prenotazione, ma il mio disappunto mi dà diritto allo sconto.
L’ostello è pazzesco, ci sono un sacco di stanze, decorazioni, soprammobili e disegni sulle pareti. Probabilmente ci vorrebbe più tempo a visitare l’ostello che a girare la città.
Mi chiudo in bagno per lavare tutto, e quando dico tutto intendo tutto, incluso il telo azzurro che è un po’ sporco. Si salva solo la giacca di piumino perché non sono sicuro che si asciughi entro domattina.
Finiti i lavaggi vado a stendere tutto in giardino, nel vento gelido. Le mollette non possono fare molto in queste condizioni di vento, quindi porto la corda da dieci metri e la faccio passare attraverso le maniche e le gambe dei pantaloni, una tonnellata di vestiti fradici che occupano tutta la lunghezza e svolazzano all’aria.
20:37
Oggi è un giorno particolare, è passato un mese dalla mia partenza e mi chiamano da casa per ascoltare le mie impressioni di questo primo mese. Da loro è volato e anche a me sembra di essere partito da una settimana. La differenza è che, presi singolarmente, a me i giorni sembrano settimane. Non sembra di essere lontano da casa, nonostante le moschee, le parole strane e le montagne così vicine. I luoghi sono estranei come quando si va a visitare una città sconosciuta in Italia. In fin dei conti una strada è pur sempre una strada.
Possono sorgere problemi in ogni momento, è vero, ma ho tutto il tempo per risolverli. Con il passare dei giorni sta diventando chiaro che il centro di questo viaggio non è visitare le città né i luoghi naturali, ma incontrare le persone. Basta poco per far passare tutto il resto in secondo piano, che è la ragione per cui evito gli ostelli, non riesco a scrivere un accidente quando sono in ostello.
Non avevo idea che viaggiare in autostop fosse così semplice e interessante, prima di partire credevo che avrei dovuto acquistare un biglietto dell’autobus prima o poi, ma fin qui i trasporti non hanno intaccato il budget nemmeno di un euro.
Per il resto non c’è ancora molto da dire oltre ai semplici fatti quotidiani. È incredibile come oltre ogni confine cambi radicalmente il paesaggio, oltre alla lingua e all’operatore telefonico.
Finita la telefonata crollo addormentato e la giornata finisce qui.
Nessun uovo è stato chiamaot Mercoledì quindi?
Non ci ho pensato, sarebbe stato geniale!