L’ultimo lampionaio

Lezione di ieri: il sarcasmo a bordo è disapprovato e misinterpretato.
Domenica 22/12/2023 Oceano Pacifico (Samoa Americane)
Abbiamo veramente delle condizioni di mare eccezionali oggi, ottime per valutare con calma una soluzione per sostenere l’albero verso poppa. La legatura di fortuna è solida, ma non è sufficiente a tendere il paterazzo. Serve ben altro per sopportare gli strattoni dell’albero. La soluzione migliore è passare le sartie volanti nei bozzelli di poppa, per testarle grazie ai winch, che solitamente sono quasi tutti impegnati. Da ora in poi le virate saranno molto più laboriose, perché bisogna gestire non solo tre scotte e il timone, ma anche le due sartie volanti. Per eseguire la manovra efficientemente dovremmo essere almeno cinque, ma siamo solo in tre. Per ora proseguiamo verso Sud, non dovremmo virare almeno fino a domani. Inoltre il capitano dice che non dovremo ridurre la velatura questa sera, l’oceano sembra calmo.
Dopo giorni e giorni di cielo coperto, l’assenza di nuvole significa che questa sera posso fare finalmente il punto nave come si deve. Aspetto che tramonti il sole, apro la scatola del sestante e…. “Cambio di programma, riduciamo le vele per la notte!” Lo so che me lo devo aspettare, va sempre a finire così, ma dall’altro lato penso anche che anticipare o ritardare di venti minuti le manovre di routine non farebbe male a nessuno. Mentre riduciamo la randa, il buio cala sull’oceano. Pazienza, non è niente, spero almeno che domattina il cielo sia ancora sereno. Mentre passo al timone, guardo le stelle accendersi e anche Ernests si accorge che appaiono all’improvviso, una per una. Pensavamo entrambi che fosse un modo di dire, non ci si dà mai il tempo di fissare il cielo della sera aspettando di vedere le stelle. Invece è proprio così: un attimo prima c’è solo il cielo opaco, ti distrai due secondi ed ecco che nell’azzurro pallido luccica una stella brillante. Che ci sia un lampionaio che fa il giro ad accendere le stelle principali? Le altre sono luminarie natalizie, si accendono tutte in un colpo.
Ci sono anche cattive notizie, durante il mio turno dobbiamo accendere il motore e ricaricare le batterie e il frigo pieno di verdure. Per fortuna è solo per un’ora, presto tornerà la quiete.
Il vento cala e anche le onde, finché lo spostamento d’aria non basta più a spingerci in avanti. Il motore è ancora acceso per ricaricare le batterie, così basta inserire la marcia e dare un po’ di gas. Dopo venti ore di quiete e di riposo, Charlotte si sente già meglio e copre un turno al timone. Questo per me significa che il mio turno slitta avanti di tre ore, durante l’alba.
Poi timonerà Ernests e io di nuovo, perdendomi l’osservazione del sole al culmine della sua traiettoria quotidiana. Il momento in cui il sole raggiunge l’altezza massima ai chiama mezzogiorno vero e raramente coincide con le 12:00. Nel nostro caso, è ben prima delle dodici, e i patti con il capitano sono chiari: posso fare pratica quanto voglio con la navigazione celeste, a patto che non interferisca con i turni di guardia. Così si è detto a Port Denarau e non ho certo intenzione di perdere i miei privilegi astronomici. In occasioni sfortunate come le ultime ventiquattr’ore, mi consolo ripassando la geografia celeste, che va imparata a menadito.
Siamo senza vento e non possiamo certo navigare a motore fino a Raiatea. Anche stamattina discuto sottovoce con Lord Asparagus il bollettino dell’avvicinamento alla meta. Considerando la distanza che ancora ci separa da Raiatea e il tempo trascorso dalla partenza, mancano ancora sei settimane all’arrivo, sei! Stiamo migliorando, due giorni fa erano otto settimane. Ridiamo piano, Charlotte ha perso il buonumore molti giorni fa e la bonaccia non è mai di aiuto.
Da stamattina all’alba, il vento è quasi assente e lo strappo nel grande genoa è quasi raddoppiato. È il momento di sostituire la vela danneggiato, prima che sia troppo tardi. La luna sporge la testa dall’orizzonte, sorridendo mentre osserva le nostre mosse.
Rovistando nella pila di vele stivate nella dinette, troviamo un altro genoa adatto, che è già stato issato una volta in Nuova Zelanda. Quando siamo tutti in posizione, riduco lentamente la tensione sulla drizza, per iniziare l’ammainata. Il genoa non scende, il carrello che regge la penna si deve essere incastrato sullo strallo. Charlotte l’ha capito al volo, ma c’è ben poco che possiamo fare da quaggiù. Ci appendiamo di peso all’angolo di mura, tutti e tre insieme, ma la drizza non cede. Bisogna salire in testa d’albero, non c’è altra soluzione. Come al solito, il capitano mi propone una scalata fino in cima, una volta finito il cambio vela. Rispondo con meno entusiasmo ogni volta che ricevo la stessa vana proposta, tanto ormai ho capito che non c’è speranza. Ho ricevuto la stessa offerta in Nuova Zelanda, all’arrivo a Port Denarau, a Vuda Marina, a Volivoli, a Savusavu e ad Apia. Non sono salito da nessuna parte, ho lasciato perdere le speranze e aspetto una sorpresa, ma sono sempre parole al vento.
Charlotte si stringe sui fianchi l’imbragatura, si aggancia a due drizze e si arrampica sui pioli dell’albero. Negli ultimi dieci metri dobbiamo tirarla su di peso, perché non ci sono appigli. Purtroppo, arrivata in cima, la diagnosi non è delle migliori. L’olio lubrificante non basta, le serve un martello.
Leghiamo il martello a un’altra drizza, ci avvolgiamo intorno una borsa di tessuto e issiamo. Il leggero dondolio di Valiant fa volare il martello in cerchio, così si incastra tra due sartie e non va più né su né giù. Mastro Ernests l’aveva detto che era meglio legare un’altra cima al martello, per guidarlo da quaggiù. L’estremità dell’albero, intanto, oscilla di diversi metri ad ogni onda. Lassù Charlotte grida parole incomprensibili, che per fortuna il vento porta via. È strizzata nell’imbragatura, avvinghiata con le gambe all’albero per non essere sbalzata via, mentre con una mano tiene stretta una sartia e con l’altra martella come un fabbro il carrello del genoa. Lord Asparagus intanto ha l’ottima idea di dare un po’ di gas al motore, per fendere meglio le onde e alleviare le torture del capitano.
Con il genoa libero, caliamo prima il martello e poi il capitano. Ondeggia di qua, ondeggia di là, il martello inizia a dondolare fuori controllo, percuotendo l’albero e rimbalzando via. Contemporaneamente, Charlotte grida parolacce al ritmo del martello. Mastro Ernests l’aveva detto che era meglio legarlo.
Ora che abbiamo recuperato il martello e anche il capitano, il prossimo passo è ammainare il genoa e ripiegarlo con cura. Piegare il genoa in cinque era facile, ma in tre è tutt’altra cosa, specialmente sotto il sole di mezzogiorno. Siamo disidratati, stanchi, doloranti e un cotti dal sole, ma pian piano imballiamo il genoa nel proprio sacco, pronti per una nuova vela.
Srotoliamo il nuovo genoa sul ponte e agganciamo la penna al carrello, usando lo stesso grillo dell’altro gen… “Dov’è finito il grillo?” Era appoggiato sul ponte a prua e il perno deve essere rotolato in acqua, passando attraverso i buchi della falchetta. Andiamo sottocoperta a cercare un altro grillo, non abbiamo un ricambio per quello perduto.
Agganciata la penna siamo pronti ad issare: “Pronti? Issa! No, ferma, non passa.” La ralinga del fiocco, rinforzata con una cimetta, non si infila nella scanalatura dello strallo. Charlotte è sicura di aver issato questa vela, ma tutti i nostri sforzi sono vani, dobbiamo trovare un altro genoa. Per fortuna non abbiamo scombinato troppo le pieghe, dobbiamo ripiegare solo un terzo della vela. Mentre riponiamo nel sacco il secondo genoa, ormai è già mezzogiorno. Da stamattina presto il capitano ha acceso lo stereo a tutto volume, ma stiamo ancora riascoltando il secondo CD, ormai sarà la quarta volta che gira o forse la ventesima, non lo sappiamo più. Lord Asparagus e io ci concentriamo sul lato comico della nostra situazione disperata. In un istante di silenzio tra due brani, mi blocco in ascolto, incredulo. Questa è bella, devo assolutamente parlarne a mastro Ernests. “Non solo queste canzoni non mi sono ancora entrate in testa, ma nella mia testa non c’è traccia delle canzoni. Non saprei canticchiare la melodia di nessun brano, anzi se mi concentro ad ascoltarli mi sembrano del tutto nuovi. Okay, questo so di averlo già sentito da qualche parte, forse si Valiant, ma almeno metà degli altri mi sono scivolati attraverso le orecchie senza lasciare traccia. È meraviglioso!” Forse sto diventando immune all’intossicazione da musica passiva, che a volte è peggio del fumo passivo. Ora non ho più niente da temere.
Mi piacerebbe scrivere che musica abbiamo ascoltato, ma non ho idea di quale sia il CD, a bordo ne abbiamo decine e decine. So solo che era musica che Charlotte ascoltava da adolescente, non ricordo altro.

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