L’osservatorio di 4000 anni fa

Lezione di ieri: Parlare con le persone del posto è fondamentale per scoprire dei posti davvero speciali come Kokino.
Mercoledì 08/12/2021 7:50 Kokino (Macedonia del Nord)
Sta per sorgere il sole ad alleviare il freddo delle ultime ore. Teoricamente dovrebbe esserci -3°C, ma il vento ha peggiorato le cose e accentuato il raffreddamento. In amaca non c’è così freddo, il problema è che tra le 17 e le 8 sono uscito tre volte per fare la pipì, infilandomi le scarpe freddissime.
Resto in amaca ancora un po’, aspettando che il sole superi le nuvole e splenda sulla neve, in modo da iniziare a scongelare le scarpe, che sono dure come la roccia.
9:30
Il sole va e viene, ma la temperatura è leggermente migliorata, è ora di uscire altrimenti non arriverò mai a Kumanovo entro sera. Ieri infatti mi ha risposto un macedone che ho contattato su Couchsurfing e dovremmo incontrarci stasera. Fa lo stesso per le scarpe, me le infilo e in un attimo si ammorbidiscono.
Fuori dall’amaca la neve è cambiata rispetto a ieri sera, quando era piatta e uniforme. Nella notte il vento forte ha soffiato via la neve superficiale, lasciando una lunga cresta dietro ogni sasso, come una piccola duna. Che carine, sono proprio allineate con l’apertura del mio telo teoricamente anti-vento. Con il sole ancora basso, il manto nevoso luccica debolmente.
Raccolgo tutto e nel frattempo mi accorgo di un dettaglio che ieri sera al buio non avevo notato. La quercia a cui mi sono appeso è parzialmente carbonizzata alla base, come se qualcuno avesse acceso un fuoco proprio ai piedi del tronco. Provo a scavare, ma non trovo resti di carbone. Non so che cosa sia stato, ma in generale non è bene accendere fuochi in prossimità degli alberi, non tanto perché richiamo di prendere fuoco, ma perché anche le radici sottoterra cuociono con il calore delle braci. Non è tanto carino, soprattutto se la vittima è una quercia che crescendo quassù deve già patire le pene dell’inferno per via del freddo, del vento e della siccità. Ringrazio la quercia per il sostegno prestato alla mia piccola impresa e vado a disseppellire i miei cartoni, semisommersi dalla neve. Ne manca uno, ma qui intorno proprio non si vede. È grave, non esiste che un biologo sparga in giro dei rifiuti, neanche per sbaglio. Solo che il cartone proprio non si trova, quindi mi devo rassegnare e partire senza di lui.
Immedesimandomi in un cartone volante, risalgo a casaccio verso la piattaforma C e dopo cinquanta passi chi trovo nella neve? Proprio lui, incredibile.
Salvata la mia reputazione, posso studiare le istruzioni per la fruizione dell’osservatorio, spiegate dettagliatamente sui cartelli. Tanto per cominciare, questo sito archeologico è stato utilizzato dal 2000 al 1500 a.C. da una civiltà che abitava nelle valli qui intorno.
Nella cresta posta a Nordest dei sedili di pietra che ho visto ieri sera è stata ricavata una feritoia attraverso la quale il sole proietta la propria luce sul secondo scranno da sinistra. Questo fenomeno avviene solamente all’alba del solstizio d’estate e si ritiene che in tale occasione la comunità locale si riunisse quassù per svolgere un rituale di conferma dell’autorità del capo. Il sole, sorgendo, illuminava per prima proprio la persona posta sul secondo sedile.
L’osservatorio non è solo una fenditura nella roccia, ma ci sono molti altri punti di riferimento nella cresta frastagliata, che indicano esattamente il punto in cui sorge il sole negli equinozi e nel solstizio d’inverno.
Andando alla piazzola A invece, si trovano anche i punti di riferimento per veder sorgere la luna, e il fascino di questo posto cresce a dismisura. La luna non sorge sempre nello stesso punto, ma come il sole la sua declinazione massima è variabile. La declinazione sarebbe l’altezza di un astro sull’orizzonte, espressa in gradi.
Mentre la declinazione del sole segue un ciclo annuale ed è massima in estate e minima in inverno, la luna piena segue un ciclo di 19 anni. Dalla piazzola B si possono osservare quattro riferimenti, che marcano i quattro punti in cui sorge la luna piena con la declinazione massima e minima, in estate e in inverno. Da questa scoperta si suppone che questa civiltà fosse dotata di un calendario basato su cicli di 19 anni.
Sono abbastanza sconvolto. Tutto questo significa che quattromila anni fa qui c’era qualcuno che non aveva di altro da fare che salire quassù a mille metri e osservare il sorgere della luna giorno dopo giorno, fino a determinare il punto più a Nord e il punto più a Sud raggiunto dalla luna piena. L’utilizzo di questi punti di riferimento gli ha permesso di accorgersi che questo fenomeno ha una ciclicità di diciannove anni, cioè si ripete due, tre o al massimo quattro volte durante la vita di un uomo. Con il sole è un po’ più semplice, ma diciannove anni sono un’infinità di tempo.
Faccio per andarmene, è meglio incamminarmi anche se non ho ancora visto la piazzola D, per non tardare troppo. No, un momento, che cosa sto facendo? Che senso ha non finire la visita per risparmiare dieci minuti? Nessuno, appunto, torniamo indietro.
L’ultima piazzola ha meno riferimenti, ma aggiunge ulteriore complessità al quadro. Da qui si guardava sorgere la luna e la stella Betelgeuse, l’occhio rosso della costellazione del Toro. A causa del moto di precessione dell’asse terrestre, il punto in cui sorge questa stella è cambiato durante i cinquecento anni di utilizzo di questo osservatorio, perciò l’immagine sul cartello riporta i punti in cui è sorta la stella tra il 2000 e il 1500 a.C. (Per la cronaca, c’è anche la piazzola B, ma non reca alcun cartello esplicativo.)
Soddisfatto, scendo di gram carriera verso la strada asfaltata, non senza aver fatto qualche foto alle rocce. Il vento ha lasciato la neve solamente nelle crepe di questi macigni, come se fosse una malta bianca che tiene insieme un muro di sassi.
La strada non è ghiacciata e inizio a scendere rapidamente, finendo di gustare il mio cochino a Kòkino. In certi punti gli arbusti sono addobbati con tanti piccoli candelotti di ghiaccio, fitti come palline di Natale. Dopo la notte fredda, camminare sotto il sole è magnifico.
Dopo una mezz’ora di cammino, passa la prima macchina. Se avessi avuto il tempo di riflettere probabilmente avrei continuato a camminare ancora un po’, ma il riflesso condizionato da autostoppista mi fa voltare automaticamente, con il cartello Mlado Nagorichane in mano e la macchina si ferma.
A bordo ci sono Nagor e Alexandar, due amici di circa trentacinque anni che parlano solo macedone e stanno andando a Kumanovo. “Perfetto, vengo con voi fino là.” Ripercorriamo la strada fatta ieri con Mladen e Stefan, e proprio un minuto prima di svoltare per Kumanovo, mi contatta Goran, il mio contatto di Couchsurfing, per avvisarmi che ha avuto un’emergenza e non è più disponibile. Cerco di spiegare la cosa a Nagor e mi faccio portare a Mlado Nagorichane, per poi dirigermi direttamente a Sofia.
11:40
Sono al centro del paese, Nagor mi ha preso un po’ troppo alla lettera e mi ha portato fino in piazza, che si trova ad un chilometro dalla strada per Sofia.
Già che sono capitato qui, tanto vale approfittarne. Sono tre giorni che non svuoto lo zaino per intero e inizia ad esserci parecchia confusione all’interno, inoltre ho alcune cose umide.
Tendo la corda tra due pali e stendo i teli ad asciugare al sole, mentre accumulo i miei averi sopra ai pannelli di cartone. Con calma riempio di nuovo lo zaino, tra gli sguardi perplessi dei pochi abitanti, che dubito abbiano mai visto un turista in questo paese. L’unico che si avvicina è un ragazzo che abita nella casa di fronte e mi offre aiuto, in inglese. Quando ho finito di fare spettacolo, vado al market a spendere quello che resta dei miei denari, perché questa potrebbe essere l’ultima fermata in terra macedone. Compro un litro di yogurt, un filone di pane e tante arance quanti sono i soldi che avanzano. Non è semplice spiegarlo alla commessa, perciò ricorriamo alla mediazione telefonica di una sua amica che parla inglese. Con i soldi avanzati dal pane e dallo yogurt mi dà sei arance e tre caramelle. Mangio il pane farcito seduto sul bordo del pozzo, chiuso, in compagnia di un cane e un gatto che aspettano solo che mi cada qualcosa.
13:16
La strada per Sofia è dritta e senza piazzole di sosta, perciò cammino verso Kumanovo fino ad un posto adeguato. Da qui immagino che prima di sera passerà un’auto diretta a Sofia. Dopo una ventina di minuti si ferma Maria, che ha poco più di trent’anni e lavora per una marca di vestiti sportivi per attività all’aperto. Ultimamente è in Macedonia a causa della pandemia, ma solitamente lavora tra qui e New York, perciò parla perfettamente inglese. Mi dice di mettere lo zaino sui sedili posteriori, e mi trovo ad adagiarlo su un comodo sedile di pane. Non c’è problema, è pane vecchio destinato ai cani randagi. Maria mi racconta che ha adottato cinque cani e che ne sfama altrettanti lungo la via di casa. Infatti dopo pochi chilometri incontriamo il primo, che la aspetta a bordo strada. È timido, ma affamato, si scansa ad ogni fetta di pane lanciata, ma poi le divora avidamente. Ci credo, questo freddo richiede una quantità di calorie immane anche a chi indossa sempre la pelliccia.
La scena si ripete altre due volte e nel frattempo Maria mi racconta che qui la gente non ha la minima nozione di ecologia e si aspetta che qualcuno arrivi a risolvere i problemi dei rifiuti e del randagismo canino. Non c’entra la guerra, l’abbandono dei cani avviene anche ora proprio come in Italia. In Italia probabilmente è diminuito, ma qui è ancora all’apice. Le racconto delle pubblicità progresso che sentivo continuamente in televisione fino a una decina di anni fa per contrastare l’abbandono dei cani, specialmente durante l’estate.
Mi confida che sono stati il mio cartello e lo zaino a salvarmi, di solito non si ferma per dare un passaggio ai vecchi che fanno l’autostop per tornare a casa gratis e annoiarla con le proprie chiacchiere.
C’è parecchia polizia da queste parti, ed è meglio che mi metta la mascherina perché è vietato viaggiare senza se non si è parenti stretti.
15:05
Siamo arrivati, lei svolta prima di Kriva Palanka, la località intermedia tra Kumanovo e il confine. Qui a Rankovce (si dice Rankovze, siamo nei Balcani) conosce quasi tutti, inclusa la proprietaria di un market lungo la strada, alla quale lascia l’incarico di darmi una mano.
Mi preparo a bordo strada con un lungo cartello, aspettando le poche macchine che passano di qui, con la polizia dall’altra parte della strada che fa dei controlli a campione.
16:30
Non si è fermato proprio nessuno, e sospetto che la presenza della polizia non abbia aiutato affatto, perché questa ritrosia degli automobilisti è decisamente anomala. Magari sono stato solo sfortunato. Ad ogni modo, stando fermo qui ho freddo e le mani gelate, sono senza denari e con il buio non c’è più speranza di trovare un passaggio. Ho comunque quindici euro in contanti, ma farei volentieri a meno di pagare anche le commissioni di conversione sul prezzo di una camera. Tuttavia per stanotte è previsto -7°C, non vedo molte altre alternative, quindi chiedo alla commessa del market se ci sono delle camere qui in paese. La risposta è no, ma c’è un motel qui a tre chilometri. Due minuti dopo esce un uomo che mi può dare un passaggio addirittura fino a Kriva Palanka, perfetto.
Salgo a bordo e Janis mi fa notare che la sua macchina è un taxi, mi può portare gratis fino al motel Kratovo oppure fino a Kriva Palanka per cinque euro. Al motel le camere costano trenta euro, mentre a Kriva Palanka costano quindici, è un affare.
No, non ci casco, deve ancora arrivare il primo che mi farà pagare per un trasporto. Inoltre trenta euro mi sembrano un pochino esagerati per un motel.
Scendo al motel Kratovo e chiedo il prezzo delle camere, per curiosità. Diciassette euro, come immaginavo, tre euro in più che a Kriva Palanka. Bel tentativo Janis, apprezzo lo sforzo.
Ora che si fa? Mi aspettavo di essere a Sofia e pagare sei euro a notte, invece qui per una notte sola spendo il triplo, non mi sembra un buon affare per uno che ha gambe e tempo da vendere. Facciamo che vado a Kriva Palanka a piedi, ora dista solo 17 chilometri anziché 21, è quasi un’ora in meno.
Cammina cammina, man mano che mi scaldo inizio a vedere molte più possibilità di pernottamento tra me e l’albergo. Diciamo che bisogna arrivare perlomeno a Psacha, dove c’è il primo bosco, poi male che vada ho un piano di riserva.
18:10
Come avrete già immaginato, non ci sono arrivato a Kriva Palanka. Rinfrancato dalla camminata riscaldante, ho deviato a sinistra non appena sono arrivato a Psacha.
Trovo un buon posto lungo il fiume Kriva e appendo l’amaca perpendicolarmente al corso d’acqua, perché so che al vento piace incanalarsi lungo le valli e stanotte non mi faccio fregare.
Nel sacco a pelo non si sta neanche male, ma sono abbastanza stanco da lasciar perdere con la scrittura, ci sarà tempo a Sofia perché prevedo di fermarmi almeno tre notti, per questo è un’ottima cosa risparmiare stasera. Inoltre l’aria è immobile e le condizioni sono perfette per provare l’equipaggiamento al di sotto di -3°C, che per ora è stato il limite minimo.
18:55
Finito di montare tutto telefono a casa, in modo da sfruttare gli ultimi venti minuti della promozione della SIM, perché sono passati già sette giorni da quando l’ho acquistata a Skopje. Ce l’avevo quasi fatta, ma dovrei rimanere senza internet per meno di ventiquattr’ore e avrei perso comunque la connessione appena superata la frontiera.

1 commento su “L’osservatorio di 4000 anni fa”

  1. Due cose. Una è che dai racconti dello zio Angiolino, che ha fatto la campagna di Russia, le scarpe non se le toglievano mai, perché al mattino era impossibile rientrarci e l’altra è che le riunioni dell’antica civiltà all’osservatorio mi ricorda le riunioni condominiali per la riconferma dell’amministratore. Non abbiamo proprio inventato nulla….

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