Lezione di ieri: Non importa dove sei e dove vai, in Slovenia trovi sempre un sentiero battuto che taglia per il bosco.
Lunedì 25/10/2021 6:38
Per caso Ljubljana è lontana dal mare? Ah, ecco perché fa così freddo, ieri a Socerb c’erano 6°C, mentre stanotte il termometro è sceso a zero.
Durante la notte mi sono svegliato una prima volta intravedendo qualche stella attraverso il fogliame, mentre verso le tre il telo azzurro che uso come paravento era illuminato in pieno dalla luce della Luna, dando un tocco di magia al bosco buio. Alla mattina invece è calata la nebbia.
Mi svesto un po’, preparo lo zaino e attraverso a casaccio il fitto sottobosco in salita, fino a tornare su un sentiero. Scendo fino alla strada e mi dirigo verso il centro.
No, forse non sto andando in centro, il GPS dice che sono nel quartiere della stazione ferroviaria. Non ne ho mai visto uno così pulito e curato, nonostante mi trovi nella capitale. Petra mi aveva anticipato che Ljubljana è una città sicura, ma non pensavo di trovarmi più al sicuro che nella mia città.
Attraverso le strade del centro, punteggiato di chiese, e attraverso il triplo ponte sul fiume Ljubljanika per raggiungere il castello, che si trova arroccato su una collina. Il castello è antico quanto la città, ma stato modificato più volte dai tempi del primo insediamento di tre millenni fa. La cima delle mura odierne ha circa duecento anni, mentre la base visibile risale al 1500.
La leggenda sulla fondazione della città è meravigliosa, il protagonista è Giasone, quello del vello d’oro. Giasone, tra l’altro, fu il primo capitano della prima nave della storia, Argo, e i suoi compagni erano gli Argonauti. Dopo aver rubato il vello d’oro a Eete, re della Colchide (nel Caucaso) Giasone e gli Argonauti fuggirono. Per far perdere le proprie tracce non tornarono subito ad Argo per la rotta normale, ma presero una scorciatoia. Risalirono il Danubio, svoltarono a sinistra su per la Sava, fondarono Ljubljana e smontarono la nave. Adesso viene il bello. Essendo tutti degli eroi e non dei mollaccioni come noi, si caricarono in spalla la nave, la trasportarono per un centinaio di chilometri fino al mare, rimontarono tutto, discesero l’Adriatico, lo Jonio et voilà: rieccoli a casa a bere vino mangiare montone.
In questa storia non si parla della maga Medea, in fuga insieme a Giasone, la quale avrà contribuito inventando le prime autostrade e i primi trasporti eccezionali, suppongo.
Dopo il castello ridiscendo verso la piazza del mercato, compro un paio di mele e mi siedo a prendere il sole su una panchina del lungofiume, adesso che la nebbia inizia a diradarsi. Intanto che scrivo sul cellulare si siede più in là un mio collega viaggiatore. Dopo un po’ si avvicina, si presenta e si siede a fare quattro chiacchiere. Si chiama Adrian, è svizzero ma sua madre è brasiliana, e sta visitando parecchie città europee in interrail, da Copenhagen a Zagabria. Nel frattempo riesce a lavorare normalmente come sviluppatore software, non ha neanche preso delle ferie per viaggiare. Forse è inutile dirlo, ma Adrian ha decisamente più esperienza di me in fatto di viaggi internazionali, anche se dice che mi invidia per quello che mi aspetta.
È il suo ultimo giorno di viaggio, poi rientra a Zurigo, quindi approfitto della sua compagnia e lo accompagno in stazione. Lungo la via parliamo tranquillamente in italiano, perché lui da buon viaggiatore parla almeno sei lingue.
Prima della stazione mi porta a vedere la Metelkova avtonoma cona (la c si legge z come in staZione), che sarebbe il quartiere degli artisti e del libero pensiero. Ci sono murales dappertutto, sculture bizzarre e tetti dalle forme più strane, ma è quasi disabitato a quest’ora.
Dopo qualche ora di chiacchiere ho imparato molto e abbiamo scoperto di essere stati entrambi in Costa Rica.
Però è già ora di salutarsi, se ne va e io di colpo mi ritrovo di nuovo da solo a Ljubljana, a chiedermi che cosa fare. Ci rifletto un attimo e mi rendo conto che in realtà con questo incontro casuale ho fatto giornata, non servirebbe altro.
Sarà meglio che vada a comprare da mangiare per iniziare a saldare il debito calorico accumulato, se non lo faccio adesso va a finire che rimando di nuovo a domani. Mentre entro nel market lascio il bastone dietro l’angolo a porta di ingresso, ma all’uscita scopro che è già stato requisito dal barbone che piantona l’ingresso. Forse gli ho appena dato un’idea geniale, o per qualche motivo ha ritenuto utile caricare il mio bastone sulla propria bici parcheggiata. Però serve anche a me, quindi gli sfilo l’idea geniale dal portapacchi e me ne vado sul lungofiume a pranzare.
Adrian mi ha detto che il cortile interno e il piano terra del castello si possono visitare anche senza biglietto, quindi torno su, così intanto guardo di nuovo il panorama della città e delle montagne a Nord di Ljubljana cercando di capire dove si trova Velika Planina (Grande montagna), che mi hanno tanto consigliato Petra e Andraž. Se è quella che vedo, non sembra molto lontana.
Nota divertente: oggi Špela mi ha chiamato chiedendomi se ero io quell’autostoppista che ha incrociato ieri a Divača, mentre rientrava in macchina a Koper (Capodistria).
17:30
Meglio incamminarsi verso un letto. Secondo Adrian probabilmente si può dormire a un buon prezzo all’ostello nel quartiere Metelkova, ma ripensandoci non mi sembra il mio posto, torno a Tivoli. Devo ancora fare un esperimento.
Passo la notte sotto un faggio così grosso che riesco ad abbracciarlo solo per metà, stavolta stendo il telo azzurro e sopra ci dormiamo io e lo zaino. Non tira un filo d’aria e ho tutto il tempo per cenare e scrivere il resoconto di un paio di giorni di viaggio, fino alle dieci.