Lezione di ieri: prima di correre a cercare le cose dove non sono, ragiona come la mamma.
Giovedì 15/06/2022 4:50 Dunagiri (India)
Ieri sera siamo andati a letto presto per un motivo che non avevo indovinato: alla mattina ci sono da pascolare le capre. Non solo, Kilari prende due bottiglie, le riempie d’acqua e me ne consegna una. Descrivendo la casa ho forse menzionato il bagno? No, infatti per prima cosa andiamo nel bagno all’aperto, in mezzo alle dieci capre che pascolano su un terrazzamento incolto. Il mio intestino non era stato avvisato del programma e si trova inpreparato, ma ci vuole pazienza. Sta ancora albeggiando, il paesaggio è meraviglioso. Questo versante guarda a Est ed è separato dalla cresta di fronte da una profonda e ripida valle scavata dal torrente che passa per Marchula. Queste montagne sono fatte di suolo incoerente tenuto insieme con gli sputi, perciò ogni volta che piove è facile che si stacchi una frana e le valli sono state scavate profondamente. Per questo le strade dritte qui non esistono, perché sarebbero contro natura. Oggi la giornata è serena, ma come ieri l’aria è opaca, offusca anche la vista del versante opposto, che dovrebbe essere nitido. È umidità o polvere? La prima pioggia porterà una risposta, intanto ci godiamo il panorama. Con noi c’è anche un cane, che scorrazza in giro per gli affari propri. Scambiamo poche poche parole mentre io seguo Kilari, che guida le capre lungo un percorso ragionevole su e giù per i terrazzamenti. Intanto osservo le capre nella loro opera distruttiva, mentre tritano germogli e pelano i cespugli fin dove riescono ad arrivare. Da ecologo, mi hanno insegnato che le capre, rilasciate in ambienti privi di predatori, devastano meticolosamente la vegetazione. Neanche il Piccolo Principe si azzarderebbe a rilasciare le capre sul proprio asteroide, meglio una pecora. Il guaio è che una volta che le capre si sono moltiplicate a dismisura, catturarle avrebbe dei costi esagerati. Così a Isabela, nelle isole Galapagos, sono state sterminate duecentomila capre, che rischiavano di portare all’estinzione non solo molte specie di piante, ma anche altre specie di erbivori, tra cui le testuggini giganti. Queste caprette però sono solo dieci, tutto quello che possono fare è cercare di tenere a bada la matassa di cespugli spinosi che crescono tra un terrazzamento e l’altro. L’ultimo arrivato è un capretto con dei microscopici abbozzi di corna e un pelo perfetto e lucido. È il beniamino di Kilari, che lo chiama baccha chota (baccià ciòta, bambino piccolo), lo abbraccia e lo strapazza quando gli passa vicino. Dopo qualche ora di vagabondaggio il sole comincia ad essere alto e a scaldare più del necessario, così facciamo per tornare a casa. “Leleleh!Aaa! A! A!” Kilari chiama, ma le capre non sono d’accordo, continuano a brucare con noncuranza. Il cane è qui e ci guarda, perciò possiamo solo tornare indietro dalle capre e lasciarle brucare un altro po’, si vede che hanno fame.
Quando scendono sulla strada che riporta al paese, Kilari le chiama di nuovo dall’alto e spezza qualche buon ramo verde, che lancia sulla strada sottostante per attirare il gregge e istradarlo verso casa. Appena si è assicurato che abbiano capito, torniamo a casa. “Maaa… e le capre?” “Bakri-kutta, dost.”, mi spiega lui. Le capre e il cane sono amici, cioè il cane a qualcosa serve.
A casa prendiamo il sapone e un paio di mutande pulite per andare a fare la doccia. Dove? Si scende fino alla strada e poi giù ancora accanto a una piccola stalla con una vacca sola, giù giù per un sentiero fino ad una cisterna di cemento di tre metri cubi, con un rubinetto alla base. Oltre il rubinetto c’è un gradino e una vasca di raccolta dell’acqua sporca. Inizia prima lui per farmi vedere come si fa. Svita il rubinetto liberando il getto d’acqua e ci si infila sotto puntando mani e piedi a terra, bagnandosi la schiena come un gatto che si stiracchia. Il rubinetto è a mezzo metro da terra, non c’è altro modo. Dopodiché spremi lo sciampo usa e getta, lo getti e ti insaponi per bene. Sono le dieci e fa già caldo, una doccia fredda è l’ideale. Nel frattempo arrivano anche Kulassin e Pandit per il lavaggio mattutino. Non ho una SIM, quindi potrò pubblicare solo saltuariamente, è così da settimane ormai. Pandit dice di avere due SIM e me ne può dare una, tra l’altro è della Jio, la compagnia che non fa contatti ai turisti ma ha le tariffe più vantaggiose. Mi basta solo ricaricarla e la posso usare senza problemi. Grazie Pandit!
Una volta lavati e asciugati torniamo a casa per la colazione. Roti (che è poi sempre chapati), una specie di okra con il proprio sugo, rapanelli, peperoncini verdi e un pochino di yogurt di latte vaccino. E un bicchiere di tè e latte, immancabile.
Una volta mangiato andiamo allo scooter, per iniziare il pellegrinaggio al bar, poi ad Adalikhal e poi su fino al tempio e in cima alla strada, dove c’è un altro bar che fa anche da negozio di alimentari, o viceversa. Kilari compra qualche piccolo mango per tutti e due. Io di solito li pelo accuratamente con il coltellino, qui invece si lavano e si mangiano senza coltello. Strappi la buccia coi denti, raschi via la polpa e butti via la pelle. Per strada ho visto spesso dei manghi flosci, con solo un buco all’apice che è servito per succhiare via tutta la polpa. Davanti al negozio, un bel cespuglio di una qualche specie selvatica di cannabis.
A motore spento, torniamo giù in paese e poi al bar. Adesso che ho imparato i duee versi di quella canzone, non solo la cantiamo tutto il tempo, ma Kilari si ferma da tutti i gruppi di passeggiatori che incontriamo. È una canzone molto famosa e questi due versi dicono qualcosa come: “c’è uno straniero sul mio taxi”, che sarebbe ovviamente lo scooter. Qui qualsiasi straniero è automaticamente un angrej, un inglese, perciò anch’io faccio parte della categoria.
“Bandukika baaana mera jumkarega bagsi men!
Almora angrej añuun taxi men!”
Così è come me la sono immaginata scritta, e funziona. Ci fermiamo al bar, dove continuo a imparare hindi da chiunque incontri e sto incontrando tutti perché un angrej che si ferma a Dunagiri (Dungri) è una vera rarità. Tra i frequentatori del bar c’è anche un uomo con la faccia allungata e i capelli corti corti, tra i cinquanta e i sessant’anni. Partecipa anche lui al circolo del fumo, nonostante gli manchino entrambe le mani e parte degli avambracci. Uno dei presenti, che parla inglese, mi spiega che un tempo faceva l’elettricista degli impianti dell’alta tensione.
Finite le chiacchiere, ripartiamo e incontriamo Pandit accanto alla propria moto, così in un attimo lui e Kilari decidono di portarmi a fare un bagno giù al fiume.
A metà discesa accostano in un tornante e imbocchiamo un sentiero che porta giù giù fino ad un paesino, attraversiamo le case ed entriamo nell’ultima in fondo, molto semplice e tradizionale, dove una donna gli consegna un pacchettino di carta di giornale per 400 rupie. Giusto le merci incartate sono due: l’alcol e la marijuana. Risaliamo con il bottino e già che ci siamo mi fanno assaggiare dei fichi che crescono sul sentiero. Questa specie di fico prosuce i frutti dal tronco, e i fichi maturi sono rossi, non verdi o neri. Sono decisamente poco dolci, ma a detta loro sono molto costosi. Dovrei esportare in India i fichi dell’albero di casa mia, che ne produce due o tre quintali ogni anno, dolcissimi.
Cantando gli stessi due versi della canzone tutto il tempo, arriviamo in fondo alla valle. Kilari si ferma a comprare qualche succo di frutta e io intanto ammiro il sistema di raccolta dei rifiuti del paese, che scarica tutto giù dalla scarpata del fiume. Proprio lì in mezzo c’è anche un varano, che appena mi vede scappa. La mia fama mi precede, si deve essere già sparsa la voce.
Risaliamo il torrente, cosparso di imballaggi di bevande e altra robaccia, fino a raggiungere un punto in cui l’acqua è più profonda e parecchi ragazzi stanno già facendo il bagno.
Prima di entrare in acqua, Kilari decide di alzare un minimo la piccola barriera di sassi che fa da diga alza di qualche centimetro la profondità dell’esigua piscina. Mi aggrego con entusiasmo, è sempre divertente costruire dighe.
Entriamo in acqua in mutande, la partenza è stata troppo concitata perché potessi raggiungere il costume da bagno. In quanto angrej, i bagnanti mi vengono incontro incuriositi. Il problema è che mancano di cervello e si orecchie, perciò ciascuno mi rivolge le stesse cinque dannate domande. Da dove vieni, come ti chiami, conosci la masturbazione, sei vergine, sei fidanzato? Tutti quanti. Ma avete mai considerato di farvi i fattacci vostri? Da ultimo mi invitano a spostarmi dove l’acqua è più profonda, pur mantenendo una formazione compatta e inamovibile davanti a me. Uno di questi mi è praticamente saltato in braccio, ma negando assolutamente di essere gay. Quando ho già illustrato a tutti il mio status sentimentale e sessuale, arriva la seconda ondata di curiosi, che erano lì a due metri ma non hanno sentito assolutamente niente. Sto iniziando a mormorare cose offensive in italiano, quando un ragazzo intelligente si fa avanti e squarciando la tempesta di domande mi chiede: “ti serve un po’ di spazio personale?” È un mito, lo ringrazio per avermi salvato. La folla si dissipa, mi sposto un po’ più avanti, poi basta, sono freschissimo, esco dall’acqua perché più avanti ci sono altri indiani con i quali non ho ancora parlato. Penso che mi priverò di questa esperienza e andrò a parlare con il mio amico intelligente.
Solo ora Kilari e Pandit entrano in acqua e mi chiedono di fargli le foto, rigorosamente con la gopro. Kilari si dedica ad incrementare il volume della piscina scagliando le pietre più grosse verso la riva. Quando hanno sguazzato abbastanza recuperiamo i vestiti e torniamo alle moto. Io ho in cintura una borsina con i brick dei nostri succhi di frutta gettati in giro. “Ma cosa fai? Butta via!” “No, sono miei.” È un sacrilegio conservare i rifiuti fino al cestino, un gesto sfrontato e disdicevole.
Comprano un litro di succo di mango freddo, da bere a metà strada, mentre invio loro le foto della gopro con il telefono. Alla fine mi tocca lasciare lì bottiglia e bicchieri, non posso tenere pulita tutta l’India.
Torniamo al bar trionfanti e getto il pattume nel barile. Non passa la nettezza urbana qui, quando è pieno si brucia tutto per creare spazio. Qui al bar vengo invitato ad una festa di matrimonio che si terrà stasera in cima alla collina, a casa dello sposo.
Così rientriamo a casa, mi metto dei vestiti un po’ decenti e al calar della sera andiamo alla festa. Questa notte c’è un incendio forestale dall’altra parte della valle, che con il secco che c’è si sposta a vista d’occhio, anche se nessuno ci fa caso e probabilmente è un fenomeno normale. Come arriviamo alla festa, iniziano a riempirmi le mani di piatti, ma li freno subito perché una mano mi serve per mangiare, inoltre farei volentieri due chiacchiere con i presenti. In particolare c’è un mio coetaneo che parla perfettamente inglese e, fatto ancora più bizzarro in India, ama leggere libri. Quelle cose di carta che fanno dormire, proprio quelle. Così mi spiega che il matrimonio non si è ancora svolto, prima c’è una preghiera e una sera di festa a casa dello sposo, poi a casa della sposa e il terzo giorno si celebrano le nozze. Mentre mi racconta delle proprie speranze di viaggiare, ritorna un tizio ubriaco che ho conosciuto all’inizio, per rinnovare la mia promessa di ballare con lui.
Quei piattini di prima con i ceci o con il pollo in realtà erano solo un antipasto, ora sul retro stanno servendo da mangiare, così giriamo intorno alla casa e trovo altri giovani invitati a cui presentarmi. Uno di questi si avvicina, dicendo di essere il figlio di un poliziotto locale, e mi mette in guardia nei confronti del mio ospite, che probabilmente vuole dei soldi. Non è il primo che mi induce a sospettare di Kilari, perché quasi sempre chi mi chiede dove alloggio sgrana gli occhi quando rispondo “Kilari”. Solitamente si riprendono dallo stupore dicendo: ” Deve essere un tipo divertente, vero?” Io ho fiducia in Kulassin e non riesco a trovare appigli per giustificare queste calunnie e tutto questo stupore, che però mi rendono inquieto, sotto sotto. Inoltre questo turbine di sali e scendi dal motorino senza mai capire dove andiamo non fa confondermi. Sto all’erta.
Non riesco neanche a capire se mangeremo qui o no, perché a quanto pare bisogna pagare cento rupie ma Kilari le ha dimenticate a casa. Insomma alla fine il mio amico lettore mi sollecita a seguirlo presso la tavolata dove servono da mangiare. Gli invitati stanno in piedi da un lato e i camerieri passano a servire riso, roti, legumi, patate, sugo e un dolce.
Finito di mangiare, Kilari ci chiama perché bisogna che andiamo, così lasciamo la festa insieme al lettore, cinque minuti prima che inizi la musica, che sentiamo mentre ci stiamo allontanando. Potendo parlare inglese, chiedo spiegazioni per cercare di comprendere. Kilari era tutto contento perché si andava a ballare e ora andiamo via sul più bello. Forse è perché domani deve lavorare, come gli ha ricordato prima uno degli invitati? No, il motivo è che si ballerà fino a tarda notte e poi ciascuno resterà là a dormire, ma per me non c’è alcun posto dove stare. “Kilari lo sta facendo per te, non lo hai ancora capito?”, mi dice sorpreso. “Ma che ne so io di come funzionano i vostri matrimoni, no che non ho capito. Anzi in realtà non sono ancora sicuro di aver compreso.”
Mi chiedono che cosa voglio fare, se tornare indietro o andare a casa, come se fossi io quello che deve lavorare domattina. Alla fine decidiamo di andare, torniamo a casa e mi infilo di nuovo sotto il piumone, ma poco dopo inizia a piovviginare e le donne di casa escono ad aiutarmi a disfare il letto, portare dentro la legna e coprire il focolare con quella parabola satellitare di cui non avevo ancora indovinato l’uso.
Vado di sopra a condividere il letto con Kilari, tanto ci si sta tranquillamente in due. La SIM non ce l’ho ancora, pur avendo insistito molte volte oggi, ma confido nella doccia di domani.
Mi viene male a pensare alla gestione dei rifiuti. Qualcuno passa a raccogliere tutta la roba che seminano o l’unica alternativa è bruciare tutto?
No dico, abbiamo il coraggio di lamentarci di come gestiamo noi i rifiuti! Sicuramente si può fare meglio, ma molti fanno decisamente molto peggio…..
Qui a Bangkok ho ritrovato addirittura la raccolta differenziata, non la vedevo dai tempi della Croazia. Sono sconvolto.
Per chi se lo stesse chiedendo, la mamma nelle ricerche utilizza solo una modalità di ragionamento logico che non esclude nessuna ipotesi e non dà niente per scontato.
È una deformazione mentale in parte innata è in parte amplificata dagli studi e dal lavoro.
Insomma se non trovate qualcosa chiamatemi!!! Io la troverò!!!
Le 10 capre…. e la doccia mattutina…le mie parti preferite!!!!