La zuppa di patate che volevo mangiare in Montenegro

Lezione di ieri: basta salire di poco per sfuggire allo smog delle grandi città.
Sabato 4/12/2021 7:17 Skopje (Macedonia del Nord)
Ieri sera, rimanendo praticamente da solo, sono riuscito a scrivere abbastanza, quindi oggi posso sperare di uscire puntualmente a mezzogiorno, all’orario di apertura del negozio di birra che tiene in ostaggio il mio bastone, che mi serve soprattutto quando devo fare dodici chilometri in un giorno, come oggi.
Ieri sera, miracolosamente, Priscilla si è offerta di aiutarmi a esportare le foto dalla memoria della GoPro, usando il proprio pc. Priscilla viene da Manaus, in Brasile, e ieri sera mi ha fatto vedere una carrellata di foto di posti assurdi, nel senso che sono proprio razionalmente inconcepibili. Un deserto sabbioso pieno di laghi, con le dune semisommerse dall’acqua blu. Una duna che sta inghiottendo la foresta pluviale, come se non sapesse che di solito tra il deserto e la foresta ci sono altri habitat di transizione. Lo sapevo già che ci sono dei luoghi incredibili laggiù, ma non ho guardato quali sono.
Quando si sono svegliati quasi tutti è ora di partire. C’è stato un problema con le foto e quindi il computer di santa Priscilla da Manaus sta ripetendo il caricamento online.
12:05
Lascio l’ostello e faccio un giro in piazza a salutare Vladimir. Lo trovo di fianco al palco, con in mano il telecomando di un drone. Sul palco non c’è ancora nessuno, e nel frattempo Jovanotti canta attraverso le casse. Vladimir cerca in tutti i modi di farmi restare a Skopje, ma io sarei voluto partire già ieri e quindi non se ne parla. Acconsento ad andare a vedere la casa di madre Teresa, perché evidentemente in questi giorni me la sono persa.
C’ero già passato il primo giorno, Solone non ci avevo fatto caso. Non c’è nessuna casa in realtà, c’è un’aiuola con una piccola statua, una targa e un abete piantato trent’anni fa che, se è lo stesso di allora, è cresciuto davvero poco.
Ora si può andare alla birreria, sperando che quel Marian abbia aperto. Infatti è tutto chiuso, molto bene. Mentre cerco di capire gli orari scritti sulla porta in cirillico, passa un residente del palazzo accanto e mi chiede se ho bisogno. Si chiama Zlatsko e per fortuna ha in numero di Marian. Gli spiega il mio problema per telefono e poi me lo passa. Marian si degnerà di venire qui apposta per me tra mezz’ora, perché anche se al sabato il suo negozio dovrebbe essere aperto, a quanto capisco lui apre solo quando ne ha voglia. Sono fortunato, è venuto perché era già in giro da queste parti, non è che vuole fare un piacere a me.
Finalmente arriva e posso riabbracciare il mio bastone, che ha passato la notte al fresco dietro le sbarre.
Compiuto il mio ultimo dovere a Skopje mi incammino verso Ovest, volteggiando a tre dita da terra per aver recuperato la pecorella smarrita. Spero di riuscire a raggiungere almeno Tetovo, la prima città in direzione di Ohrid.
Nella periferia è assente la grandiosità celebrativa del centro, si susseguono semplicemente i palazzi fatti di negozi, sale scommesse e ristoranti. Non ci sono i palazzi di cemento nudo anni ’70, come a Sarajevo e a Podgorica, almeno non in questa parte della città. Questi sono leggermente più carini.
Lungo la via mi fermo anche a fare la spesa, in modo da dover comprare solo il pane lungo la via per Kumanovo e dover fare meno soste, perché tra un paio di giorni a Ohrid potrebbe piovere.
15:35
Finita la città inizia l’autostrada che porta a Ohrid. Poco prima c’è un semaforo e lì, dopo cinque minuti, vedo l’autista che libera il sedile del passeggero per farmi posto. Perfetto.
Si chiama Igor ed è un programmatore, che sta andando a Gostivar per fare da giudice al termine di un hackathon. Un hackathon è una maratona di programmazione, in cui solitamente un’azienda richiede un certo risultato e le squadre di partecipanti hanno un tempo limitato per progettare e realizzare un prodotto che soddisfi al meglio la richiesta. Lo scopo di queste competizioni è solitamente l’assunzione del gruppo di vincitori oppure semplicemente un premio in denaro. Gostivar è la città di cui parlava Irma, l’escursionista di Kliuč, e si trova dopo Tetovo, quindi per me è ottimo.
Igor ha viaggiato parecchio e mi nomina qualche città che ha visitato in India, quando è stato nella zona di Varanasi. Il suo prossimo obiettivo è tornare negli Stati Uniti, noleggiando una macchina per attraversare il Nordamerica coast to coast.
Gli rivolgo anche una domanda che mi tormenta da un po’, per capire in che modo i macedoni imparino l’alfabeto latino. Mi spiega che il cirillico è effettivamente l’alfabeto con il quale imparano a leggere e scrivere. Una volta i caratteri latini venivano appresi come sto facendo io con il cirillico, leggendo qua e là, mentre oggi l’inglese viene insegnato già nella scuola primaria, quindi diventa familiare quasi subito. Io riesco a leggerlo abbastanza bene perché conosco già i suoni delle lingue slave e devo solo assegnare a ciascuno un grafema diverso. Nel frattempo, il sole cala e Gostivar si avvicina.
L’hackathon si sta svolgendo da un giorno e mezzo all’estremità Sud di Gostivar e Igor mi porta con sé per chiedere a qualcuno dei presenti se conosce un affittacamere qui vicino. Entriamo in questo ambiente colorato e moderno, che sembra un circolo sociale o qualcosa di simile. Fa effetto pensare che sono circondato da persone che non chiudono occhio da trenta ore. Come mi avevano raccontato, ci sono cartoni di pizza e bicchierini da caffè ovunque. Avevo sentito parlare anche di fiumi di Red Bull, ma qui non ce n’è, mi hanno mentito.
Mentre scatto un paio di foto mi accorgo di un bellissimo scatolone di merendine, quasi vuoto. Uno dei presenti si offre di aiutarmi nell’operazione chirurgica, così in un attimo ho un nuovo cartello per raggiungere Kičevo e Ohrid domani mattina.
Saluto e vado a Sud a cercare due alberi adatti a me.
16:45
Ormai è buio, ma sono arrivato sotto al bosco al quale stavo puntando. Sono sotto nel senso che il bosco è in cima ad una scarpata a lato della strada, che quindi farà da barriera antirumore.
Aggiro la salita e prendo un sentiero che porta di sopra, ricoperto di impronte di caprioli.
La boscaglia che c’è in cima non è un granché a causa del fitto sottobosco. Più avanti invece c’è un prato e si vede una casa in lontananza.
Non è il caso di stare così vicini alla casa di chissà chi, perciò attraverso il prato nell’ombra e imbocco una strada sterrata di recentissima realizzazione. Mente cammino, sull’erba trovo una mandibola e qualche pezzo di ossa bovine, quindi immagino che nella casa ci siano dei cani. Nell’ombra, l’unico che mi nota mentre mi allontano è un cavallo legato alla posta.
Cento metri più avanti lungo questa ferita aperta nel bosco, trovo uno spazio laterale per passare la notte. Stasera finalmente si accende il fuoco!
La strada è fatta di ghiaia e ci sono parecchi cumuli di pietre ai lati, quindi ne scelgo alcune per sedermi e per sollevare il fuoco da terra e avvicinarlo a me, perché ci sarà decisamente freddo.
Il cartone che ho è umido, quindi prendo in mano più volte il fornello a legna per soffiare da sotto. La terza volta che lo faccio, mi scotto per bene tre polpastrelli, in modo da diventare più furbo. La temperatura è già sotto zero e posso evitare di tenere il ghiaccio sulle ustioni, perché tanto non sento proprio niente.
19:40
La cena è ottima, la zuppa di patate e wurstel aspettava di essere fatta da settimane. I wurstel li ho presi oggi, ma sto portando in giro questo chilo di patate da quando l’ho comprato a Podgorica dodici giorni fa. Facevano parte delle provviste acquistate in previsione dei due giorni di autostop tra le montagne che immaginavo di avere davanti prima di incontrare Riçard. È da allora che aspetto di tornare nei boschi.
Dopo cena mi infilo di corsa nell’amaca perché c’è già meno due.

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