La trappola madreporica

Lezione di ieri: è bene arrivare a destinazione di giorno, per valutare con calma l’ancoraggio.
Sabato 26/08/2023 Musket cove (Fiji)
Siamo circondati dai coralli, abbiamo le batterie un po’ scariche e il frigo si sta scaldando, quindi, accendiamo il motore. Appena superata l’ultima altura dell’isola, monta il vento. Apriamo il genoa e iniziamo a veleggiare, così mentre filiamo verso Nordovest salto alla ruota del timone. Il motore resta acceso per ricaricare le batterie. Il vento aumenterà questa notte, ma saremo già al riparo dell’ancoraggio segnato sulla mappa. Possiamo aspettare fino a dopodomani.
Alle quattro spegnamo il motore, ma siamo quasi arrivati in prossimità dei primi banchi di coralli. Riaccendiamo il motore appena un’ora dopo, per poter manovrare più in sicurezza, con il fiocco avvolto sullo strallo.
L’isola di Cast Away si chiama Monuroki ed è proprio tale e quale al film, salvo il fatto che ci sono altre due isole, distanti meno di due chilometri da essa. Monuriki è ideale perché dal versante Ovest non si vede altro che oceano. A sinistra della piccola spiaggia su cui Chuck Noland accese il suo primo fuoco, è ancorato un catamarano. Noi abbiamo una deriva molto più profonda del catamarano e non possiamo ancorare così vicino alla spiaggia, quindi e più prudente raggiungere l’ancoraggio nell’isola accanto.
Sono ancora al timone io, seguendo le istruzioni del capitano, che consulta simultaneamente due carte nautiche digitali, per capire dove si trova il canale tra i coralli. Con il sole così basso sull’orizzonte e le onde corte sollevate dal vento, vedere attraverso l’acqua è molto difficile. La carta digitale mostrata da Luigi, il computer di bordo, sembra decisamente grezza e forse poco aggiornata. Charlotte decide di tagliare una curva intorno ad un banco di coralli fasullo. Ho ancora il timone tra le mani, e l’ecoscandaglio passa in pochi secondi da 40 metri a 30, dieci, nove, otto, sette e mezzo, sett… “Timone a sinistra, torniamo nel canale!” Eseguo all’istante, cinque metri d’acqua sotto la barca sono una pessima sensazione anche per me che non sono l’armatore.
Seguiamo il profilo invisibile dei coralli, fino alla zona protetta dal vento. Nelle vicinanze c’è un pescatore che conferma che l’ancoraggio è proprio qui. Charlotte è molto perplessa, questo più che un ancoraggio sembra una trappola. Siamo molto vicini all’isola e l’acqua è ancora profonda. Alla nostra sinistra c’è un grosso scoglio cubico e nero, non segnato sulle carte. Intorno allo scoglio le onde si infrangono su un plateau di roccia vulcanica semisommersa. A destra i coralli, a poppa i coralli, con uno stretto canale per uscire e il vento in aumento. Se l’ancora non tiene, siamo fritti.
Mentre il sole cala, torniamo indietro in fretta per ancorare nel canale tra le isole, accanto al catamarano. Questa volta mi offro io per calare l’ancora. Prima o poi devo imparare e finora lo ha sempre fatto Raphaël. Navigando controvento, Charlotte arriva a meno di cento metri dalla spiaggia e dà ordine di calare l’ancora. Allento il verricello con la maniglia e la catena inizia a filare rumorosamente. Un attimo dopo accelera, avvito il verricello e la catena accelera ancora. Mi balena in testa un pensiero irrazionale: “Forse sto svitando.” Cambio direzione, ma la catena adesso vola giù per la cubia. La afferro con le mani, finché la maledetta si ferma. Lo so che non è una manovra molto ortodossa, ma mi dà il tempo di chiedere a Raph che cosa fare. Ormai il verricello è così svitato che anche lui rimane interdetto, poi all’ultimo momento avvita con forza e la catena si blocca, prima di arrivare alla fine. Il capitano lancia due urlacci per sapere che diavolaccio stiamo combinando a prua. Comunque l’ancora è calata, ora dobbiamo aspettare e capire se ha fatto presa. Approfitto dell’ultima luce del tramonto per fare il punto nave. Non è necessario, so che siamo accanto a Monuriki, ma è utile per fare pratica.
Saremmo dovuti partire con più anticipo, senza fidarci troppo della carta nautica. Trrrrrr. Siamo allo scoperto e, con venti nodi di vento, l’ancora sta arando. Il vento tra l’albero e i cavi sibila ancora più forte di prima, e si incanala proprio tra Monuriki e l’isola accanto, Monu. Trrrrrr. Forse l’ancora si è ribaltata e striscia sul fondo, riproviamo ad ancorare e questa volta lascio fare a Raph. La manovra non riesce, il vento montante spinge prepotentemente la prua di Valiant verso dritta. Immancabilmente, il pozzetto riecheggia di parolacce francesi, mentre la barca descrive un cerchio e ritorna nella posizione di prima. Malgrado il vento sibilante, da dietro di noi sentiamo tuonare “Calate l’ancora!”
Ancoriamo di nuovo sul fondale scosceso, sperando di fare presa. Se l’ancora smette di arare possiamo restare qui fino a domani, aspettando che il vento si calmi. Sicuramente Charlotte non dormirà bene, ma possiamo fare dei turni. In realtà sembra già che ci siamo spostati, e qui siamo totalmente esposti alle raffiche. Trrrrrr, trrrrrr. Trrrrrr. Il capitano sentenzia “È troppo, ce ne andiamo, accidenti a me quando ho pensato che fosse una buona idea venire su quest’isola.” Non ha detto proprio così, le frasi della serata sono infarcite di putain, ta mêre, fuckin’, shit e tanto altro. Charlotte ci aveva anticipato che anche suo padre faceva così in barca, anche per delle sciocchezze. Charlotte ripete da giorni che la deve smettere, ma immagino che anche suo padre dicesse così, fa tutto parte del personaggio.
Partiamo a tutto motore, beccheggiando sulle onde corte sollevate dal vento. È già buio pesto e noi attendiamo ordini in pozzetto. Ora il nuovo piano è di raggiungere Vuda, su Viti Levu, e ancorare nella baia accanto al marina. Domani entreremo in porto, come programmato. Navigando tutta notte saremo là entro le tre.
Apparentemente, non ci sono isole tra noi e Vuda, tuttavia le carte nautiche di questa parte di mondo sono un campo minato di coralli a pelo d’acqua. In una notte senza luna come questa, navigare alla cieca sarebbe il modo più sicuro per naufragare. Molto presto riesco ad afferrare il timone, mentre procediamo bordeggiando verso la costa. Adesso la situazione si è calmata, si tratta solo di aspettare pazientemente. Il riflesso sul mare delle luci della costa permette di riconoscere i frangenti alla nostra sinistra. Deve esserci bassa marea, perché sopra la schiuma si scorge appena una massa scura a pochi centimetri sopra l’acqua, estesa per almeno duecento metri.
Avvicinandoci a Viti Levu il vento inizia a calare, così accendiamo il motore. L’avvicinamento è lentissimo, perché dobbiamo raggiungere la profondità adeguata alla nostra catena. In una baia ampia come questa, bisogna navigare per un’ora. Per aiutarci a discernere le ombre nella notte, accendiamo il radar. A quanto sembra, c’è pieno di ostacoli galleggianti, anche piuttosto grossi, quasi una flotta di imbarcazioni ancorate nei pressi del marina. Noi non vediamo un bel niente, ma il radar è arcisicuro, ci sono degli ostacoli in mare. Evitiamo prudentemente la flotta fantasma e ancoriamo in questa baia pacifica. Ce l’abbiamo fatta, sani e salvi e con la barca tutta intera.
La mattina seguente, è rimasta soltanto una nave nell’ancoraggio. Faccio il punto nave e si riaccendono i motori per entrare rapidamente in porto. Il vento è calmissimo qui a Vuda, ma Charlotte non vede l’ora di effettuare le ultime riparazioni, primo tra tutti il povero Mario, che è stato racconciato alla meglio, ma è ancora traballante.
Laviamo l’ancora dal fango lagunare, laviamo sotto le assi del pavimento, rassettiamo tutto quello che si è ribaltato negli armadi ieri notte e poi liberi tutti, per oggi non resta molto da fare. Ernest, Mag e Raph fanno in giro in città a Lautoka, io questa volta devo cercare di scrivere il blog e iniziare il progetto cartografico. Inoltre bisogna tenere d’occhio Charlotte, che dice sempre di non aver bisogno, ma ha sempre mille lavoretti da fare.

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