La prima febbre

Lezione di ieri: Se Fatih dice che la strada ha un tratto difficile, bisogna mettere in conto almeno un’ora di viaggio in più.
Giovedì 20/01/2022 9:05 Iğdır (Turchia)
Nei prossimi giorni non si esce, si scrive. Emrah mi ha lasciato le chiavi di casa, ma non penso che mi serviranno a molto. Lo so che dovrei andare a Doğubeyazıt a vedere il palazzo, ma tanto devo tornare da queste parti per rivedere Ibrahim, Nazgül e l’Ararat senza neve, quindi tanto vale tenersi una città da visitare. Emrah mi ha detto che il nome curdo di Doğubeyazıt è Bazit (con la s di coseno), mentre Iğdır si chiama İgdir. Bazit mi sembra molto più pratico e da ora in poi adotterò questo nome.
14:40
La scrittura procede bene, ma ormai ho leggermente fame, credo che uscirò a fare la spesa.
18:50
Emrah suona al campanello e poi entra, ricordandomi che ho lasciato le chiavi sulla porta. Vorrei spiegargli che anche a casa non ho un buon rapporto con le serrature, ma non mi sembra il caso di sbriciolare la sua fiducia già adesso, ce la posso fare a ricordarmi la chiave, basta tenere acceso il cervello mentre mi tolgo le scarpe sul pianerottolo. Piccola nota sui pianerottoli in Turchia: dato che le scarpe si tolgono prima di entrare, lasciare le scarpe fuori dalla porta è del tutto normale. A noi sembra una barbarie, ma qui le famiglie numerose hanno un’intera scarpiera fuori dalla porta, per mantenere un po’ di ordine.
Il mio ospite è appena tornato dal lavoro, ha studiato direzione aziendale e di mestiere fa il consulente per aziende esterne, in particolare per la gestione della logistica.
Emrah in un lampo è già pronto per uscire, quindi mi vesto anch’io e scendiamo in un locale dove ci aspetta Servet, uno degli amici di ieri sera. Ordiniamo da mangiare e poi Emrah si fa portare un nargile (in italiano scriverei narghilè, ma sono in Turchia).
Non ho mai visto da vicino questa diavoleria, pur avendo attraversato ogni giorno per anni la nube di fragola sintetica che emana dal bar egiziano di via Irnerio a Bologna. Il principio di funzionamento mi è tuttora ignoto. Parto dalla fine, perché mi sembra più semplice. A ogni cliente viene fornito un bocchino di plastica usa e getta, che si innesta sul tubo flessibile che aspira l’aria dalla cima di una boccia di vetro. La boccia è mezza piena d’acqua e immerso nell’acqua c’è un tubo perforato che comunica con la parte superiore. Là in cima c’è un barattolo di latta pieno di tabacco, con entrambe le basi traforate in modo da lasciar passare l’aria. In cima a tutto c’è un pezzetto di carbonella, coperto da un cono di alluminio che regola l’ossigenazione dell’impianto. Si accende il carbone, l’aria calda attraversa il tabacco senza bruciarlo e trasporta qualcosa al sapore di fragola fino alla camera inferiore, gorgoglia nell’acqua e riempie i polmoni del fumatore. L’aroma naturalmente è variabile questo per fortuna è aromatizzato alla menta. Emrah insiste e me lo fa provare, ma l’aria al sapore di menta mi convince molto poco. Non mi serve fumare, secondo me inalo già abbastanza fumo quando campeggio.
Nel frattempo è pronta la cena, ma ci hanno portato qualcosa che non ha niente a che vedere con quello che abbiamo ordinato. Non sì è sbagliata la cameriera, è proprio la cuoca che si è data alla creatività. Va bene lo stesso, basta che sia buono.
Venti minuti dopo però arriva la cuoca, in lacrime, a scusarsi per l’errore. Inizialmente è solo mortificata, ma mentre parla inizia proprio a piangere, ha detto qualcosa riguardo ad un parente che è morto. Vero o falso che sia, arriva anche il proprietario che si siede al nostro tavolo dicendo che ci farà arrivare un altro piatto per scusarsi, e non vuole sentire ragioni. Servet non ha più fame, io neanche ed Emrah ha già cenato prima di venire qui. Nota interessante, vi ricordate di quando Nicol mi ha fatto notare che Börte mi chiamava “abi”, fratellone? Ecco, non penso che questa sia la traduzione esatta, perché Servet si è appena rivolto al cuoco chiamandolo abi. In realtà abi è un appellativo molto versatile, un po’ come dire cumpà.
Non siamo in condizioni di finire tutto il köfte che ci portano, ma per fortuna arriva un cugino di Emrah a darci una mano. Si chiama Sinan e arrivato direttamente dalla Mongolia. Il suo cappello da aviatore lascia scoperta sono la faccia, dai lineamenti ibridi tra un europeo e un mongolo. Non lo dico solo io, anche Emrah e Servet ci scherzano sopra.
Non ho per niente fame e in effetti poco fa Emrah mi ha chiesto se mi sento bene. “Ripensandoci no, non mi sento benissimo e penso di avere un po’ di febbre, ma niente di grave.” Le placche sono ancora lì da quasi due settimane, ma almeno non stanno peggiorando e sono un sintomo che non ha a che fare con il covid.
23:20
Migriamo da Hunter Burger insieme a Sinan per incontrare Ozam. Faccio due chiacchiere in più con Emrah e poi rientriamo a casa, dove guardiamo un paio di episodi di The Walking Dead. È troppo assurdo e con l’abitudine ai film di Tarantino non riesco proprio a prenderlo sul serio, mi scappa da ridere.
Verso l’una e mezza è il caso di dormire, sto già meglio ma comunque il letto chiama.

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