Lezione di ieri: Ci sono persone disposte ad ospitarci semplicemente perché ci incontriamo per strada.
Venerdì 08/01/2022 6:32 Sultandaği (Turchia)
È ancora presto, molto bene, è perfetto per scrivere un altro articolo prima di scendere al bar. No, al caffè. Mehmet si sta già preparando per uscire, dato che il caffè apre alle sette, tutti i giorni.
8:40
Al piano di sotto, il caffè è un posto piuttosto rustico, con il pavimento di assi di legno che non vale la pena di tenere pulito dalle scarpe infangate dei clienti. Per un momento mi guardano tutti, ma subito la concentrazione ritorna alla partita a carte che si sta svolgendo sul tavolo al centro. Mehmet è in piedi in un angolo, dove ci sono le teiere e un fornello a gas per scaldare l’acqua. Mi serve un tè, per partire con il piede giusto. Nel frattempo inizio a studiare l’apparato per la preparazione del tè. Come ho scoperto a Istanbul, non funziona come in Italia, dove facciamo il tè inaniera noiosa. Si fa bollire l’acqua, si versa nella tazza con una bustina di tè e il gioco è fatto. Qui c’è una teiera apposita che contiene il tè concentrato, che viene diluito con acqua bollente solo al momento di versarlo nei piccoli bicchieri panciuti. A Istanbul un tè costa già 2,5 lire, mentre qui Mehmet lo fa pagare ancora 1,5 lire. Gli avventori del locale vogliono un tè bello forte, quindi Mehmet mete a bollire un bicchiere di foglie di tè in un litro e mezzo d’acqua, e ha quattro teiere sempre in funzione, una sul fornello e tre in caldo sulla macchina che fa bollire l’acqua. I giocatori di carte finiscono i tè e ne ordinano un nuovo giro ogni quindici minuti circa, quindi ho modo di osservare Mehmet intento a preparare un treno di nuovi bicchierini. I suoi gesti sono così disinvolti e concatenati che meritano di essere filmati.
Mette in fila sei bicchieri preventivamente sciacquati sotto l’acqua corrente e con un erogatore li riempie di acqua bollente, in modo da scaldare bene in vetro. Non li riempie uno alla volta, ma li innaffia spargendo l’acqua sul bancone. Rovescia via l’acqua un bicchiere alla volta e con il tè riempie a metà i bicchieri allineati. Sono tutti vicini, quindi il tè viene versato in due passate, andata e ritorno, senza sprechi. Portato il tè a livello con l’acqua bollente, ogni bicchiere trova posto in un piattino a fiori blu ed è pronto per essere servito. Mehmet ha sviluppato quello che dalle mie parti si chiama “sovermân”. In francese si dice savoir faire, ma non so se c’è una traduzione esatta in italiano. Di tutta l’acqua rovesciata non c’è traccia, defluisce verso il lavandino perché il piano di lavoro è leggermente inclinato.
Dopo il primo tè mi arriva immancabilmente il secondo giro, mentre osservo con curiosità i giocatori seduti ai tavoli. I turchi sono famosi per essere appassionati di backgammon, ma qui alcuni giocano a carte e altri giocano a okey taşları, una versione di mah jong con combinazioni più semplici. Quando una partita finisce i giocatori si spostano in un altro tavolo e aggiunge o si perde un partecipante.
Nei momenti di tregua tra un giro di tè e il successivo faccio due chiacchiere con Mehmet, che ieri sera ha accennato alle condizioni dure dell’agricoltura locale, che è fortemente vincolata dalla quantità di pioggia annuale. Lui è figlio di padre turco e madre curda, ma non è musulmano e l’entità superiore in cui crede è più simile allo spirito che governa il delicato equilibrio della steppa dell’Asia centrale, chiamato Tengri. Questo credo monoteista deriva dal popolo turco che arrivò in Anatolia prima di Gengis Kan, che qui si chiama Cengiz Han (pronunciato genghiz han). Questo popolo proveniente dalle steppe asiatiche è denominato impero selgiuchide e compare nei libri di storia durante le prime crociate. Il nome non mi è nuovo, ma non ricordo proprio chi fossero costoro, qualcuno in quella parte di mondo che disturbava l’impero romano sul confine mediorientale. In effetti il loro impero si è formato ed è sparito in poco più di un secolo, ma deve essere durato abbastanza a lungo per lasciare il segno sulla terra che hanno dominato.
Nicol mi sa aspettando per la colazione, per non farmi partire di lì affamato, ma io in realtà resterei volentieri un’altra notte. Andarmene di qui senza aver conosciuto un po’ meglio queste persone meravigliose mi sembra una decisione di cui mi pentirei. Nessun problema, certo che posso restare.
Al piano di sopra Börte e Nicol si sono svegliate e per prima cosa stamattina Börte è corsa a vedere se fossi già andato via. Le uova sode sono pronte, ma Börte è vittima del telefono dei genitori ed è impossibile scollarla da quello schermo per mangiare. L’acquisto del primo telefono è stato un’idea della madre di Nicol, che vive in Italia a Pescara e fa la badante. Poi quel telefono si è rotto e Börte ha monopolizzato l’altro telefono della casa, che ora è in perenne riproduzione di Youtube o TikTok. Non posso evitare di pensare a Hirundo, il figlio della Feffe e Luca, i miei amici di cui ho parlato con Zlatsko, il chiropratico di Kičevo in Macedonia. Hirundo ormai ha un anno e mezzo e per fortuna la sua attenzione resterà rivolta ad una realtà più ampia di sei pollici in 16:9.
Ora però sono io ad avere un problema, perché su questa tavola ci sono quattro uova sode, pane, olive, miele, salsa tahini, salsa piccante al pomodoro, sale, zucchero, tè, formaggio, qualcosa che sembra malto d’orzo e wurstel a fettine cotti nel pomodoro. Nicol, come devo fare? “My god, you need a mom!” (Dio mio, tu hai bisogno di una mamma!”) Eh oh, è colpa mia se le colazioni che conosco sono fatte di tè e biscotti?
Dopo che io ho finito di fare colazione, Börte va a prendere le sue Barbie e bambole varie per presentarmele. Alcune hanno avuto qualche problema alle gambe, ma invece di metterle in sedia a rotelle Nicol le ha fatte diventare sirene facendo una bellissima coda all’uncinetto. Non solo le code, ma anche parecchi vestiti e alcune bambole sono fatti all’uncinetto. Inoltre le Barbie hanno chiome fluenti di vari colori intonati ai vestiti perché Börte passione parrucchiera ogni tanto decide di tagliare i capelli alle bambole. Perciò Nicol sostituisce i vecchi capelli nei buchini della testa con fili rossi o turchesi del colore del vestito.
Dopo la presentazione delle bambole Börte mi chiama nella sala, dove sta tirando fuori un po’ di giochi e oggetti vari, parlandomi in turco. È bellissimo perché non prova neanche a fare dei gesti per farsi capire, mi fa le domande e poi mi fissa. Io ogni tanto capisco qualcosa, oppure riesco ad isolare una parola e la cerco sul traduttore. Sono troppe parole per riuscire a capire alcunché, il mio vocabolario è utile solo per capire dove si va. Da oggi sono diventato ufficialmente “abi” che sarebbe la parola usata per riferirsi ai fratelli maggiori.
Anch’io ho parecchie cose interessanti da portare, per esempio tutte quelle che ci sono disegnate su questa pagina di libro che parla di oggetti da campeggio. Börte vuole sapere dove dormo, quindi vado a tirare fuori l’amaca.
Poi le consegno il marsupio, che ormai contiene una quantità di oggetti pari allo zaino. Gli otto metri di cordino giallo sono ottimi per il tiro alla fune. Ringrazio Ahmad che si fece dare questo cordino da un vicino di tenda in Scozia, nello svolgimento delle sue attività di responsabile delle pubbliche relazioni.
Il telo blu è bellissimo, per fortuna non lo apriamo tutto perché sarebbe grande quasi come tutta la stanza. Börte ci mette sopra due cuscini e quando ci sdraiamo lì sopra fianco a fianco prosegue con i suoi discorsi in turco.
È meglio ripiegare il telo, sono in ansia per la sua incolumità, ma non è certo un compito facile riavvolgerlo contro la volontà di Börte. A forza di diversivi, una piega alla volta arrivo alla fase di arrotolamento, dopodiché Börte mi salta in groppa e faticosamente la missione è compiuta. Ora che ho Börte sulla schiena c’è solo una cosa da fare, alzarmi in piedi. Non sento nessun peso, Börte è venti chili come il mio zaino e ormai è come non avere in spalla niente. Arriva Nicol a vedere che cosa sta succedendo e la guardiamo con aria innocente. Va bene, mettiamo a posto.
16:30
Un’altra attività importante è caricare le foto della GoPro su Google drive in modo da metterle in salvo, poi lavare i vestiti in modo che si asciughino entro domani. Il lavaggio va fatto a mano perché la lavatrice di recente si è rotta. Non c’è problema, tanto ci pensa Börte ad aiutarmi. “Sì, magari quei calzini lì li lavo io però, non li prenderei in mano se fossi in te.”
Ora che tutto è ben lavato, è giunto il momento di emulare Nicol e mettermi a cucire. Oggi bisogna riassemblare la tracolla del binocolo, così posso smettere di tenerlo sempre in mano. È un lavoro lungo che dura fino all’orario di chiusura del caffè, poco prima di cena. Il risultato sembra robusto, mi piace, l’unico problema è che in due mesi e mezzo ho perso un passante e una fibbia per fermare la cinghia da un lato, quindi per ora farò senza.
Stasera gioca il Galatasaray, la squadra di Mehmet che è un appassionato di calcio, come moltissimi qui in Turchia. Quasi nessuno conosce Reggio Emilia, ma molti conoscono Sassuolo. Per guardare la partita il tavolo viene montato sul tappeto della sala.
Stasera c’è un sacco di cibo, Nicol è stata in cucina un bel po’ per preparare delle specie di polpette fritte, di forma allungata, che essendo ricoperte di riso ricordano moltissimo gli arancini (o arancine, chiamateli come vi pare). Inoltre c’è köfte in quantità, pane e un’insalata di pomodori e cetrioli. Come equivalente al pane, c’è anche un piatto di riso. In mezzo al riso ci sono anche dei risoni, il formato di pasta che di solito si cuoce nel brodo.
Dopo venti minuti di gioco il Galatasaray prende un goal dal Giresunspor e Mehmet si va a sedere accanto al grande schermo del computer perché tanto non mangia più. Börte mangia solo un boccone ogni tanto perché c’è il cellulare a tenerla impegnata, Nicol è a dieta da quando è finito il lockdown e quindi questa cena per quattro persone diventa una cena per una persona. Per fortuna la cuoca è molto brava e la partita è ancora lunga, quindi ho tempo di finire tutto con calma.
Negli ultimi cinque minuti di gioco la connessione inizia a saltare, ma ormai c’è poco da fare, il Galatasaray ha perso. Mehmet resta un momento immobile e poi esce senza dire una parola, forse a fumare. Quando rientra, dieci minuti dopo, si è un po’ ripreso e noi abbiamo finito di cenare. Stasera guardiamo un film, per risollevare un po’ il morale dopo la partita, il film su Cenghis Han (Genghis Han). Online trovano solo la versione in turco, ma i film sui popoli nomadi della Mongolia sono belli a prescindere, non c’è bisogno di capire anche i dialoghi. In caso di dubbi basta chiedere a Mehmet. “È un caso che la prima moglie di Cengia Han si chiami come tua figlia?” “No, non lo è.”
È un film spettacolare, inoltre nella scena finale il turco rende molto meglio il grido di battaglia dell’esercito unno. Quello in italiano è “Morte, morte, morte” in turco diventa un gutturale “Ölün, ölün, ölün!”, molto più appropriato.
Il caffè è aperto tutti i giorni, adesso è proprio ora di andare a letto, ma solo dopo aver lanciato di nuovo il caricamento online delle mie foto, perché oggi pomeriggio c’è stato un problema.
00:10
Non solo, meglio scrivere un po’ e continuare con la buona abitudine di raccontare due giorni al giorno. Domani me ne vado, così Mehmet può tornare a dormire qui nel letto matrimoniale. Oggi ho appreso che solitamente dorme qui da solo per non svegliare tutti quando si alza alle sei ogni mattina. Ieri e oggi hanno dormito tutti e tre nella stessa stanza, vicini vicini, lasciando questa camera a me.