La lega dei biologi colpisce ancora

Sono stati giorni molto impegnati, oggi non mi muovo e lavoro sodo.

Lezione di ieri: Chi non sa dove guardare è cieco.
Lunedì 20/12/2021 7:23 Madžarovo (Bulgaria)
Ieri sera sono rimasto sveglio decisamente troppo a lungo, non penso proprio di poter arrivare ad Hàskovo in mattinata, meglio fare i preparativi con calma e arrivare là nel pomeriggio quando Volen sarà libero dagli impegni.Prima di partire devo anche rifare una cucitura alla cerniera in basso dello zaino, perché ieri sono saltati tre punti. È una delle cuciture che subiscono gli sforzi maggiori quando la devo chiudere, era naturale che prima o poi cedesse. Meglio ripararla finché il danno è minimo, diventerà più solida di prima con il filo che uso per i rammendi.
11:02
Non è esattamente l’orario che avevo immaginato ieri, ma si può sempre recuperare, ho quattro ore prima che Volen finisca la seconda riunione. Saluto il paese e mi incammino verso Glàvanak, che dista dieci chilometri ma offre molte più possibilità di farsi dare un passaggio rispetto a questa strada in cui abitano quattrocento anime e forse un centinaio di automobili.
Superato il ponte sul fiume Arda incontro la polizia, che mi chiede i documenti perché siamo molto vicini alle frontiere con la Grecia e la Turchia. Come aveva detto Erdal di giorni fa, ci sono molti migranti in questa zona e la polizia controlla le macchine e i passanti. Questo renderà difficile trovare un passaggio, non avevo considerato che adesso sto seguendo la rotta dei migranti, non è così facile come andare nel verso opposto.
C’è molto vento, ma anche il sole, quindi mentre esco dalla valle rotonda di Madžarovo sto già sudando. Dopo un’ora di cammino sono ancora distante da Glàvanak e decido di fermarmi a guardare gli avvoltoi, che si sono già alzati in volo. Per farsi dare un passaggio in zona di migranti, il modo migliore è chiarire che sono un turista, facendo l’autostop con il binocolo in mano.
Funziona, dopo non molto si ferma Sabahtin, un uomo sulla settantina. C’è solo un piccolo problema, il vento ha fatto cadere il cartello che avevo appoggiato alle gambe e la ruota anteriore della Suzuki ci si è fermata esattamente sopra. Tento di spiegarglielo a gesti e in una lingua che forse è bulgaro o magari è macedone. Però non so come si dice ruota, ho una mano impegnata e lui è fermo in mezzo alla strada. Alla quinta volta che gli dico “ima li karton” facendogli segno di arretrare tanto così finalmente ci capiamo. Lui si fa una bella risata quando mi vede sollevare da sotto la propria macchina un cartone con la toponomastica della regione. Sabahtin ha 67 anni e il suo fuoristrada ne ha ventisei, infatti si vede che ha qualche annetto. Per il resto vengo a sapere solamente che lui va a Gorni Glavanak, non a Dolni Glavanak, che sarebbero Glavanak di sopra e Glavanak di sotto. Poco male, distano un chilometro l’uno dall’altro e così ci arrivo in un attimo. Nel frattempo mi supera anche la polizia e ora non mi spaventerà più gli autisti.
All’incrocio di Dolni Glavanak, senza l’ostacolo delle montagne, c’è molto vento. È comodo perché mi aiuta a scoprire la faccia dai capelli, ma appena mi giro non vedo più niente.
Siamo in una zona rurale e le macchine sono scarse, quindi l’attesa si protrae più a lungo di quanto mi aspettassi, ma dopo una ventina di minuti un furgone rosso mi supera, frena e fa retromarcia. Tombola!
Alla guida sono in tre e hanno l’aria di essere turchi, mi aprono il portellone posteriore e capisco il motivo del loro ripensamento. Dietro ai sedili c’è una dozzina di tubi Innocenti, di quelli per costruire i ponteggi nei cantieri. Hanno molto spazio vuoto, ma non è esattamente ottimale per il trasporto persone. Va più che bene per chi non si formalizza troppo se c’è un po’ di polvere in giro, mi accomodo e partiamo. Non è che mi accomodi un granché, qui è pieno di polvere di calcinacci e se mi ci appoggio ne esco tutto bianco.
Mi abbasso accovacciato, con un ginocchio per terra e l’altro su, aggrappandomi a quello che c’è. Da una parte ci sono dei pali d’acciaio poco stabili, mentre a sinistra trovo un foro nella lamiera al quale attaccarmi con un dito. Non è affatto comodo, ma tra dieci chilometri sarà solo un ricordo, basta cambiare dito un po’ di volte e si arriva a Silan in un batter d’occhio e i primi venti chilometri per Haskovo sono fatti, quelli più difficili.
14:32
Ringrazio Mustafà a nome di tutti e tre e in un quarto d’ora sono già a bordo con Sevom seduto alla sua sinistra. Ne ho già viste diverse in giro e ogni volta mi chiedo perché ci siano delle macchine con la guida a destra qui in Bulgaria. Probabilmente il motivo è che se costa meno va bene qualsiasi macchina, ma in questo caso la storia è diversa. Sevom ha lavorato nel Regno Unito per quattro anni come allevatore, per poi acquistare questa macchina e tornare in Bulgaria, dove ha un’azienda agricola. Si ricorda solo alcune parole di inglese, quindi la conversazione non va molto oltre, a parte spiegargli dove sto andando e chi devo incontrare. Lui è diretto in una città oltre Haskovo, ma invece che aggirare il traffico cittadino decide di portarmi fino in centro, proprio vicino a dove ho appuntamento con Volen.
Sono in anticipo, quindi ho tutto il tempo per comprare da mangiare, perché ho abbastanza fame e della valuta bulgara da spendere entro domani mattina. Mi fermo al forno della piazza centrale a osservare che cosa compra la gente per poi procedere ad acquistare burek in varie forme e una sorta di focaccia con dei pezzetti di formaggio fresco nell’impasto, che va davvero a ruba.
Mangio in un punto della piazza con molto sole e poco vento e vado ad incontrare Volen al bar di un albergo. Non sono vestito molto elegante, ma nessuno fa domande e dopo pochi minuti entro al caldo.
Volen ha solo trent’anni ed è almeno sei anni più giovane di quanto mi aspettassi, non tanto per il suo aspetto, che corrisponde alla sua età, ma per il lavoro che fa. Dopo pochi anni dalla laurea magistrale ha iniziato a lavorare ricevendo un finanziamento da un progetto Life mirato a proteggere la colonia di capovaccai di Madžarovo. Lui è ecologo specializzato in rapaci e ha viaggiato recentemente in Turchia, in Etiopia e in Arabia Saudita proprio per studiare gli avvoltoi che vivono là. Mi racconta che per entrare in Arabia Saudita ha firmato un documento in cui accetta che in Arabia Saudita il possesso di stupefacenti è punito con la morte. L’Etiopia invece è stata decisamente più avventurosa, una volta gli è capitato di trovarsi la strada sbarrata da un uomo armato di fucile da guerra, che per avvertimento ha sparato qualche colpo in aria. Nel frattempo sono sbucati fuori dalla boscaglia altri due guerriglieri armati. Le guide hanno avuto un bel daffare a spiegare il motivo del loro viaggio, osservare gli avvoltoi non sembra una scusa molto credibile. Dopo un po’ di contrattazione li hanno lasciati passare, assestando un colpo con il calcio del fucile sulla carrozzeria del veicolo, giusto per chiarire il concetto che devono stare attenti a quello che fanno.
In Turchia invece è capitato un altro episodio notevole, che mi racconta nei dettagli. Era in Turchia insieme ad altre tre persone nei pressi di İskerderun, quasi al confine con il Libano, per osservare la migrazione annuale dei capovaccai e stimare il numero di esemplari presenti in Europa. Il posto è ottimale perché si trova in un angolo del Mediterraneo, che è un passaggio obbligato per tutti i capovaccai che migrano spostandosi lungo la costa e tagliando il golfo di Antakya. Il problema è che il campeggio è formalmente vietato in Turchia e la costa nei pressi di İskerderun è interamente abitata. Noi biologi dobbiamo farci bastare i fondi per la ricerca, quindi l’unica soluzione rimasta era andare a imboscarsi nella cava a nord del paese di Akarca. Visto che la cava era chiusa hanno imboccato la valle più a Sud, parcheggiando tra gli alberi e nascondendo alla meglio la jeep tagliando alcuni rami. Dietro alla jeep hanno piantato due tende, in fila. Alle tre di notte si sono svegliati di soprassalto vedendo due fari puntati su di loro e sentendo delle urla incomprensibili in turco. La polizia! Tra l’altro la tenda davanti è quella di Volen, che abbassa la zip ed esce con le mani in alto.
In realtà non era la polizia, erano gli operai della cava. Quello che è andato storto è che la cava in realtà era aperta e attiva anche di notte, ma nella parte Nord. Qualcuno li ha notati mentre entravano e quelli che urlano dall’altra parte dei fari sono gli operai, presi dal panico che gli intrusi possano essere dei terroristi. Una volta tranquillizzati gli operai arriva il direttore della cava, al quale spiegano il motivo strampalato della loro visita. Facendo leva sul fatto che sono ancora le quattro, ottengono il permesso di restare lì fino alla mattina dopo, ma poi dovranno sloggiare. Il triste epilogo di questa spedizione svoltasi l’anno scorso è che uno di loro è risultato positivo al covid e hanno dovuto trascorrere la quarantena in albergo, che è risultata un salasso per le loro scarse finanze.
Adesso che ho davanti Volen do una risposta a tutte le domande rimaste riguardo agli avvoltoi.

Inizio della rubrica dell’ecologo
Non ho ancora spiegato un bel niente riguardo al soggetto della mia visita a Madžarovo, per poter fornire un quadro completo di quello che ho imparato. Non sarà difficile, perché le specie di avvoltoio in Europa sono solo quattro. In italiano hanno dei nomi variegati, mentre in inglese si chiamano tutte avvoltoio-qualcosa perché gli inglesi hanno scarsa fantasia quando si tratta di inventare i nomi. Il primo è il gipeto (Gypaetus barbatus), vestito di un abito fulvo quasi rosso e con le ali nere. Il nome, di origine greca, significa avvoltoio-aquila, gyps-aetos. È molto importante in Italia perché è stato cacciato fino all’estinzione all’inizio del secolo scorso e poi reintrodotto nelle Alpi a partire dal 1993. La ricolonizzazione dell’arco alpino però sarà ancora lunga, perché in Italia sono presenti solamente una cinquantina di coppie nidificanti. Volen mi ha spiegato che è ancora comune nella parte orientale della Turchia, specialmente tra Erzurum e Muş, lungo la strada che ho in mente di percorrere per raggiungere Van. Non li ho mai visti e non vedo l’ora di essere laggiù. Non vedo l’ora anche perché là dovrei raggiungere le temperature minime di questa parte di viaggio, per ritrovare un freddo analogo in Nepal, forse.
La seconda specie è l’avvoltoio monaco, grande più o meno come il gipeto, che raggiunge un’apertura alare di 290 cm. Anche questo non è presente a Madžarovo , ma è come se lo fosse perché ne esiste una piccola colonia appena di là dal confine con la Grecia. È un uccello estremamente stanziale, che non nidifica nelle cavità delle rocce a strapiombo, ma sulle cime degli alberi. La sua popolazione greca estremamente esigua e concentrata in un punto rende la colonia vulnerabile agli incendi boschivi, che potrebbero spazzarla via in un attimo. Per questo motivo si è cercato di indurre alcuni individui a nidificare altrove costruendo dei nidi artificiali sul versante bulgaro della montagna su cui si trovano. Naturalmente due uccelli di più di dieci chili ciascuno non possono allevare un pulcino sulla cima di un cipresso, quindi una famiglia di trenta chili ha bisogno di un albero con la cima spezzata, in modo da usare il tronco come sostegno. Ho appena detto che l’avvoltoio monaco non è presente a Madžarovo, nel senso che non nidifica lì. Tuttavia lo si vede spesso sorvolare la Bulgaria, perché queste specie si spostano facilmente di centinaia di chilometri perlustrando il territorio in cerca di cibo.
La costruzione di nidi artificiali però non ha funzionato, quindi è in cantiere un altro progetto per trasportare in Bulgaria degli esemplari provenienti dalla Spagna. Non si possono rilasciare subito, altrimenti quelli tornano in Spagna più in fretta di un Concorde. Vanno tenuti in una enorme voliera per circa un anno, quando si saranno ambientati a sufficienza da non scappare via. Qui io che sono un po’ genetista inizio a farmi dei problemi: ma non è che la popolazione spagnola è completamente diversa da quella greca? Visto che sono uccelli così stanziali si saranno evoluti separatamente. La risposta è no, dal punto di vista genetico le popolazioni sono praticamente identiche in Spagna, Grecia e Turchia. Il motivo è semplice: lo sterminio è stato talmente rapido che le popolazioni sono ancora simili come quando la specie era diffusa in tutta l’Europa meridionale. Fino agli anni sessanta era presente anche in Sardegna.
Il terzo protagonista è il grifone (Gyps fulvus), sentito nominare in riferimento ai gargoyles o a Fierobecco di Harry Potter, che è un ippogrifo, cioè metà cavallo e metà grifone. Ha la testa coperta di un fine piumaggio bianco e un folto collare che da giovane è marrone e diventa bianco con la maturità. Anche questa specie non migra, infatti l’ho osservata anche stamattina, e ha una colonia numerosa a Madžarovo grazie ai progetti di conservazione e di sensibilizzazione della popolazione locale.
Il guaio per questi uccelli sono le esche avvelenate, che sarebbero destinate ai lupi ma fanno strage anche di avvoltoi. Con l’avvento dei veleni di sintesi le esche avvelenate sono diventate estremamente comuni in Bulgaria e hanno sterminato i grifoni in tutto il paese. Gli unici avvoltoi superstiti sono proprio qui e contano poco più di cento coppie nidificanti. Ora ci sono cento coppie, ma negli anni ottanta si pensava che fosse estinto in Bulgaria. Poi nel 1986 è stata scoperta la colonia di Madžarovo, con venti esemplari e tre nidi. Non erano abbastanza per essere sicuri che potessero riprendersi da una situazione del genere, ma la speranza è sempre l’ultima a morire. Informando gli abitanti sulla correlazione tra le esche avvelenate e la scomparsa dei rapaci si è arginato il collasso completo della colonia. In seguito si è creata una collaborazione tra conservazionisti e allevatori. Quando muore un capo di bestiame, solitamente l’allevatore è tenuto ad andarlo a recuperare in modo che la carcassa venga smaltita. Contattando l’organizzazione che si occupa della conservazione degli uccelli in Bulgaria, la rimozione viene fatta gratuitamente e la carcassa viene trasportata in un punto adibito all’alimentazione degli avvoltoi. Gli avvoltoi ormai conoscono bene quel posto ed è lì che li si può fotografare da vicino. L’accesso alle rocce su ci vivono i grifoni e i capovaccai invece è vietato, per non disturbarli durante il periodo riproduttivo. Questo insieme di regole e collaborazioni funziona, specialmente per quanto riguarda le carcasse del bestiame. Le esche avvelenate sono ancora utilizzate, però sono poco usate perché lupi e volpi in Bulgaria sono numerosi ma cacciabili. Se ci sono problemi seri di predazione in una zona gli allevatori fanno fanno fuori un lupo e dormire un po’ più serenamente.
È un’ora che parlo di specie a rischio di estinzione e non ho ancora menzionato il bracconaggio dovuto alla medicina tradizionale, com’è possibile?
Vi presento il capovaccaio (Neophron precnopterus, egyptian vulture in inglese), minacciato di estinzione perché tra l’Europa, l’Asia e l’Africa non trova pace. Parlerò dei capovaccai che svernano in Africa perché di quelli asiatici non so niente. Per loro fortuna quelli che nidificano in Europa ultimamente beneficiano delle misure di protezione applicate anche alle altre specie di avvoltoi. Tuttavia i capovaccai in autunno iniziano un lunghissimo viaggio girando attorno al Mediterraneo per andare a trascorrere i mesi invernali in villeggiatura nel Sahel, soprattutto in Chad e in Niger. Entrambi questi paesi non sono famosi per gli alberghi di lusso, ma almeno alla notte fa più caldo che qui, li capisco perfettamente. Il problema è che appunto i pezzi di avvoltoio sono utilizzati nella medicina tradizionale di quei paesi e quindi mentre qui si cerca di farli aumentare di numero laggiù ne muoiono sempre di più. Per questo motivo i progetti di conservazione del capovaccaio ora sono focalizzati soprattutto sull’Africa, per trovare un ingrediente alternativo nelle ricette medicamentose. Il numero di questi uccelli è ancora in declino e non c’è tempo da perdere perché la popolazione africana è in aumento mentre il numero di questi avvoltoi è in declino, praticamente in tutto l’areale tra Europa e Asia.
Mi permetto di aggiungere una precisazione, perché fin qui sembra che sia colpa degli africani e della medicina tradizionale. La medicina tradizionale esisteva già, molto prima delle esche avvelenate e della crescita demografica degli ultimi due secoli. Poi in Europa abbiamo iniziato a spargere le esche avvelenate come se fossero coriandoli e poi la crescita demografica è iniziata anche in Africa. La medicina tradizionale di per sé non ha avuto alcun ruolo nello sterminio degli avvoltoi fino a pochi decenni fa e ha coesistito con i capovaccai senza che l’uno o l’altro si estinguesse.
Data la complessità della ricerca di carcasse sul territorio, queste specie di avvoltoi hanno sviluppato una strategia per comunicare a grandi distanze. Quando un individuo trova del cibo inizia a volare in cerchio secondo una traiettoria particolare, che segnala agli altri avvoltoi la presenza di una carcassa. Ieri e oggi però gli avvoltoi non stavano cercando un bel niente, hanno sorvolato le stesse rocce per tutto il giorno. Perché Io fanno, che vantaggio ne hanno? Il motivo è molto semplice, si divertono.
Volen è un pozzo di conoscenze inesauribile, mi parla anche di un sistema ingegnoso che è già stato applicato in molte aree protette del mondo, per aiutare la popolazione locale a proteggere le proprie ricchezze naturali. Lo ha visto applicare in diverse parti dell’Africa, con o senza successo. Per esempio, invece di fare pagare un biglietto per i safari che garantisce di incontrare una certa lista di animali, i turisti pagano una tariffa di base, più una quota extra in base a quanti animali incontrano durante la giornata. Più animali ci sono in circolazione, maggiori sono i guadagni per le guide locali. In linea di principio può funzionare, ma naturalmente non è sempre semplice.
Fine della rubrica dell’ecologo

Il lavoro di Volen è fare in modo che questi animali si diffondano nuovamente nella territorio enorme che occupavano un tempo, un processo che durerà ben oltre un secolo. Il problema è che i finanziamenti dell’Unione Europea riguardano progetti della durata di tre o cinque anni, terminati i quali bisogna ottenere un nuovo finanziamento. Non è affatto semplice ideare e pianificare nel dettaglio le fasi di un progetto così lungo. Inoltre è necessario superare una fase di selezione, perché la competizione sta diventando elevata e non tutti i progetti vengono approvati e finanziati. Servono talento e fortuna per continuare a lavorare sullo stesso animale per molti anni consecutivi.
Non so se è passata un’ora o due, ma ad un certo punto Volen deve andare a casa, quindi ci alziamo e io tento inutilmente di pagare il conto. “Dove dormi stasera?” mi chiede. “Pensavo di campeggiare qui vicino ad Haskovo, per poi partire domattina verso Istanbul.”
“Puoi venire a casa con me, se ti va.” In tutto il nostro discorso non ho ancora menzionato l’ospitalità di Annusha, quindi non è un tentativo di emulazione. È la lega dei biologi che colpisce ancora. “Va benissimo, che cosa posso dire? Grazie infinite, non me l’aspettavo.”
Tra l’altro fuori c’è un vento notevole, non sarebbe stata una notte semplicissima qua fuori. Recupero il bastone e i miei cartelli nascosti nella siepe dell’albergo e andiamo a piedi a casa di Volen, al quinto piano di un condominio vicino al centro. Lungo la via mi racconta di una sua disavventura in Turchia, durante un’escursione. Stava camminando con sua moglie lungo un sentiero, quando hanno visto alcuni cani seduti in un prato a qualche centinaio di metri di distanza. Due di questi appena li hanno visti sono partiti a correre verso di loro, senza nemmeno abbaiare. Si sono fermati a di metri da Volen, ringhiando e abbaiando con ferocia. Si noti che Adriana, sua moglie, ha paura dei cani. Con Adriana alle spalle e i cani davanti, Volen ha iniziato ad arretrare lentamente, gridando e minacciando gli aggressori con il bastone. Questa lenta ritirata è durata un’eternità, con Volen senza voce e i cani con la schiuma alla bocca. Finalmente dopo venti minuti i due cani se ne sono andati, lasciandoli in pace. Forse si sono comportati così per proteggere il gregge di pecore dall’altra parte della collina, ma è strano che i cani fossero così distanti.
Terminato il racconto saliamo le scale fino in cima all’edificio, mi tolgo le scarpe e incontro la bellissima Adriana. Si scusano mille volte per il disordine di una casa che non è in disordine e mi presentano la mia camera. Ho proprio una camera tutta per me, con un letto, coperte a volontà, salviette e tutto quello che mi può servire. In bagno c’è un’intera collezione di saponi per qualsiasi uso, capelli chiari, scuri, ricci, lisci, crespi, denutriti, vecchi, nuovi, di tutto. Ne cerco uno con una scritta in cirillico che mi ispira e mi do una lavata, perché oggi ne ho già bisogno. Finito il lavaggio migro in salotto, riscaldato dalla stufa a legna. C’è un quadro con un enorme occhio di gipeto che ha gli stessi colori rosso, bianco, grigio, nero e blu delle sedie imbottite. Lo faccio notare a Volen, che non ci aveva fatto caso. C’è anche una caricatura di Volen vestito da esploratore, in piedi sopra alla mappa dell’Africa. Mentre mi siedo sul divano la gatta Lapička scappa sotto il tavolo. (Lapička significa zampa) È sempre spaventata quando ci sono degli sconosciuti, potrebbe metterci due giorni per avvicinarsi a me. Nel frattempo Volen deve lavorare al computer e Adriana in cucina, quindi ho tempo di scrivere, fortunatamente. Adriana sta preparando dei dolcetti natalizi, dei bonbons ricoperti di granella colorata di tanti sapori diversi. Li confeziona in base alle ordinazioni che riceve attraverso la propria pagina Instagram, che funge da negozio online. Mentre è al lavoro prepara anche un frullato di verdura per tutti. Descritto così non sembra molto invitante, ma non è niente male. Nel frattempo Lapička si è già avvicinata fino ad annusarmi i piedi, missione compiuta.
Ordiniamo la cena a domicilio e scendo con Volen in missione. Recuperiamo la cena, una tanica d’acqua al market e un carico di legna per alimentare la stufa, in un colpo solo. Quando si vive al quinto piano senza ascensore bisogna ottimizzare la logistica.
Volen ha preso una pizza, ma il suo “mozzarella cheese” non mi convince per niente. Non è male, è la parola mozzarella che crea delle false aspettative. La mia cena bulgara invece è decisamente approvata, anche perché non ho termini di paragone.
Durante la cena continuiamo a saltare da un argomento all’altro, così scopro che la Macedonia del Nord ha delle relazioni molto controverse conla Bulgaria. È riconosciuta come stato indipendente, ma pretende di non avere alcuna relazione politica o linguistica con il paese vicino, mentre la Bulgaria considera il macedone un dialetto bulgaro. Questo ha generato altre tensioni che hanno portato a una sentimento di astio reciproco tra i due paesi. Così dice Volen, io non ho notato niente del genere parlando con i Macedoni, anche in prossimità del confine.
Tra i vari discorsi tocchiamo anche l’argomento lettura e ci scambiamo un po’ di consigli. Volen mi presenta alcuni autori che probabilmente non dovrei leggere, che parlano di viaggi in Mongolia o nella foresta amazzonica: Mike Horn, Philip Lhamsuren e Alexander Pusen.
Dopo aver contribuito al montaggio delle scatole di cartoncino per la spedizione dei bonbons ritorno a scrivere sul divano.
23:56
Pochi minuti prima che sia troppo tardi, i miei ospiti si ricordano che oggi è un giorno speciale, è Sant’Ignazio (Ignazhden). Questo giorno segna l’inizio delle feste e il primo ospite a partire da questa data influenza quello che accadrà durante il prossimo anno. Probabilmente si tratterà di un anno di viaggi per loro. Secondo la tradizione, l’ospite in questione deve rigirare i ciocchi nel focolare, come segno benaugurale. Eseguo subito, mancano trenta secondi a mezzanotte. “Questi ciocchi andavano proprio girati, ora bruceranno molto meglio.”
È giunta l’ora di dormire, mi ritiro in camera a scrivere in questo letto tiepido e comodissimo.

2 commenti su “La lega dei biologi colpisce ancora”

  1. Pietro Lasalvia

    Quello che ti ha detto Volen sui rapporti tesi tra Macedonia del Nord e Bulgaria è verissimo! La Macedonia del Nord non è ancora membro dell’UE, oltre che per diversi parametri economici, principalmente per l’opposizione greca e bulgara.
    Per i primi perchè non gli piace l’idea di condividere la storia di Alessandro Magno con degli stranieri, affermando che la Macedonia storica si trovi in territorio greco, più a Sud, costringendo la Macedonia a cambiare nome in Macedonia del Nord se vuole entrare in UE per evitare ambizioni irridente in terra greca.
    Per i secondi invece la Macedonia del Nord è considerata come una propria propaggine e fanno leva proprio sulla lingua: difatti è notizia proprio di oggi che la Bulgaria potrebbe accettare l’entrata della Macedonia del Nord solo se quest’ultima riconosce le sue radici bulgare nella storia, lingua e cultura!

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