Lezione di ieri: Se gli operatori telefonici ti fanno gli scherzi, si può sempre contare sull’aiuto dei baristi.
Giovedì 18/11/2021 6:24 – Kotor (Montenegro)
Il vento stamattina sta pulendo il cielo e il sole sta per spuntare da dietro le montagne. Da quassù la vista è magnifica e si vede il castello di Kotor dall’alto.
Preparo lo zaino e salgo ancora fino ad un punto di osservazione da cui si vede tutta la parte Est della baia fino a Perast e si scorge a Nordovest l’ingresso della baia e il promontorio più meridionale della Croazia. Mentre sorge il sole si ammassano delle nuvole a Nordest e Kotor rimane in ombra, ma la vista è incredibile da quassù, con le montagne che si specchiano nella baia. Provo a imparare a memoria le note di Whiskey in the jar sul flauto di pan e nel frattempo tengo d’occhio con il binocolo i pochi escursionisti che percorrono il sentiero fino al punto dove ho trascorso la notte.
11:00
Inizio a scendere verso Kotor e incontro Eddie, un cicloviaggiatore di trent’anni originario di Detroit, che dalla vita in su indossa solo una borraccia e una gran barba rossa. Gli raccomando di arrivare fino in cima e continuo a scendere, tanto mi raggiungerà sicuramente. Lungo la discesa raccolgo qualche melograno dagli arbusti spinosi con le foglie ingiallite. Ben presto Eddie ritorna e mi faccio raccontare del suo viaggio in bicicletta, iniziato in Portogallo quattro mesi fa. Inizialmente era insieme a due amici, poi si sono separati perché lui ha preso un traghetto mentre loro hanno proseguito via terra, per poi reincontrarsi più avanti lungo il tortuoso viaggio che ha condotto Eddie dal Portogallo fino ai Balcani. A casa, negli Stati Uniti, una volta ha percorso con la propria bici da strada l’intero perimetro del lago Michigan, 1700km in sei giorni. Qui a Kotor alloggia in ostello, ma durante il suo viaggio ha campeggiato in Spagna, Francia, Sardegna e Italia, risalendo la costa adriatica per poi scendere seguendo la Croazia. Sa il fatto suo, perché in tutti questi paesi è formalmente vietato dormire in tenda. In realtà una sera in Sardegna ha incontrato la polizia, ma invece di fargli smontare la tenda gli agenti si sono assicurati che andasse tutto bene e gli hanno augurato la buonanotte. Si sa che la Sardegna è un posto meraviglioso.
In America Eddie lavorava nel marketing, ma non gli piaceva per niente e non sa che cosa farà quando rientrerà da questo viaggio.
Arrivati a metà discesa deviamo a sinistra per raggiungere le rovine del villaggio di pietra costruito nell’unico punto pianeggiante di questo versante. C’è una piccola chiesa che sull’architrave ha inciso in italiano la dedica a Maria, l’anno 1557 e l’architetto Di Lorenzo. Fa un certo effetto leggere una scritta in italiano da queste parti, ma d’altronde qui ci sono stati i veneziani per lungo tempo. All’interno dell’edificio si vedono ancora le tracce del colore blu del soffitto.
Oltre il villaggio ci sono le mura e una finestra svasata ricavata nello spessore del muro difensivo, che permette di accedere all’interno tramite una scala di legno. Invadiamo il castello dal retro e saliamo fino alla rocca più alta, dove c’è un bar che vende bibite. Non è esattamente un bar convenzionale, si tratta di un uomo che ha portato lassù un cartello con i prezzi e una cassa frigo con le bevande, che vende da dentro una stanza del castello, come se fosse un chiosco.
Il castello si estende su un dislivello di più di duecento metri e immagino la comodità di chi doveva portare su in fretta i messaggi provenienti dal porto. Per arrivare fin su ci sarà voluto almeno un quarto d’ora. In compenso la posizione del castello lo rende virtualmente inespugnabile. Lo spazio interno è ridottissimo, ma i dintorni scoscesi e brulli tolgono ogni speranza di attacco dai lati e dall’alto. Nonostante questo le lunghe mura sono traforate di feritoie e attraverso di esse si intravedono ancora gli scenari di battaglie epiche. Attaccare una fortezza così mi sembra impensabile, l’unico modo per evitare una carneficina è l’assedio.
Una volta soddisfatti, scendiamo di corsa dalle scale ripide. Arriviamo nel centro storico tutto d’un fiato, sudati e con le gambe che tremano. Ci salutiamo e io vado verso il mare per fare un bagno nell’acqua fredda della baia, fondamentale prima di salutare il mare e tornare nell’entroterra.
La spiaggia di ghiaia polverosa è distante, ma ci sono addirittura le docce in funzione per lavarsi via il sale dopo il bagno. Finalmente mi infilo il costume e vado a fare una nuotata. L’acqua è trasparente, ma è così ferma che ci galleggiano un po’ di foglie e detriti vegetali come se fosse un lago senza onde. L’acqua deve essere a dieci o dodici gradi e quando ci immergo le gambe calde il fondo perde di nitidezza a causa della rifrazione irregolare della luce in mezzo ai vortici di acqua più calda. Se sto fermo ritorna cristallina, ma appena mi muovo creo dei nuovi vortici. Il fenomeno di solito non si nota perché al mare l’acqua si rimescola rapidamente. Quello che mi stupisce è la prova dell’assaggio: l’acqua è dolce. La sapidità è talmente leggera che potrebbe anche essere dovuta al gasolio dei motoscafi. Soddisfatto torno a riva, senza neanche bisogno di sciacquarmi dall’acqua di lago. Nonostante la salinità pressoché nulla, nell’acqua non ci sono le carpe, ma i muggini, che sono pesci marini.
15:20
Dopo il bagno vado a fare la spesa e torno in centro per pranzare, stavolta sulle mura costruite dai veneziani in riva al lago. I gatti ci mettono più tempo di ieri, ma mi trovano lo stesso e uno grigio rimane a farmi compagnia tutto il tempo. Io ho provato a spiegargli che questa salsa ai peperoni secondo me non gli piace perché è leggermente piccante, ma lui non mi ascolta. Dopo mezz’ora che punta i miei panini farciti, mi cade una briciola e lui corre a mangiarla, ma ne lascia lì metà.
Dopo pranzo è già tardi e decido di rimanere a Kotor per stanotte, non ha senso cercare di andare a Budva oggi.
16:39
Salgo dietro la zona residenziale a Nord di Kotor, dove ci sono parecchi alberi promettenti e nessuno a rivendicarne la proprietà. Arrivo quando è già quasi buio, anche se a Kotor il massimo buio che si può ottenere è una penombra da plenilunio, per via dell’inquinamento luminoso.
Trovo un posto con una stupenda vista sul lago nella sassaia dietro le case. I miei dieci metri di corda sono appena sufficienti ad agganciare l’amaca tra i due alberi con la vista migliore. Soffia una leggera brezza, quindi è meglio aggiungere intorno all’amaca anche il telo impermeabile, ancorato a terra con i sassi.
Mentre scrivo dentro al sacco a pelo il vento inizia ad aumentare e a squassare il telo con delle raffiche di circa quindici nodi. Per evitare di danneggiare gli occhielli, esco a sganciare le falde del telo da terra per poi avvolgerle sotto l’amaca e legarle alla corda portante. Questo secondo bozzolo anti-vento che avvolge il sacco a pelo non è teso, ma almeno mi ripara dall’aria fredda che sta precipitando da 1300 metri lungo il versante quasi verticale del monte alla mia sinistra. La corda è talmente lunga che le raffiche di vento fanno dondolare l’amaca.
Ora che sono tranquillo per il telo, dentro il sacco a pelo isolato e insonorizzato le condizioni sono perfette per dormire.