Lezione di ieri: Piuttosto che mordere, i varani frustano, e gli piace fare il bagno.
Martedì 13/06/2022 giungla di Kyari (India)
Stamattina mi sveglio un po’ più presto, ma guardando giù di nuovo niente tigri, che delusione. A meno di cento metri però c’è una dozzina di gruccioni appollaiati su un alberello secco. Ogni tanto uno parte, scende a pelo d’acqua, sguazza un istante e torna su. I gruccioni mangiano insetti, si stanno solo divertendo a fare i bagno frullando le ali appuntite nell’acqua. Si vede anche da qui quanto sono colorati.
Ieri sono passate di nuovo le donne incontrate primo giorno, così gli ho indicato dove dormo aggiungendo un paio di parole in hindi e si sono tranquillizzate.
Stamattina si scrive perché come al solito avevo grandi progetti, ma vado a rilento. D’altra parte il Pakistan va descritto a modo.
Scendo e torno con le gambe a mollo nel torrente, che per fortuna in questa stagione è al regime minimo. Se fossi arrivato in un altro periodo dell’anno sarebbe stato parecchio difficile guadare, perché a qyanto vedo si ingrossa parecchio. Ora è appena sufficiente per bagnarsi sopra le ginocchia e l’acqua scorre dolcemente sui sassi tondi. Mentre scrivo ci sono i gerridi che mi distraggono, disposti in formazione sul pelo dell’acqua, in cerca di cibo. A casa mia sono marroni, qui invece hanno delle finissime righe nere e bianche longitudinali. Stanno solo dove l’acqua è piatta, preferibilmente prima dei salti, dove il flusso si incanala tra le pietre. Il problema è che sono molti e difendono il proprio pezzettino d’acqua. Quando qui accanto a me ne arriva un quinto, iniziano a menarsi. Uno di quelli dietro oscilla avanti e indietro sempre di più, poi sferra l’attacco e ribalta il nuovo arrivato, il quale si rialza con una manovra così veloce che non riesco a capire come fa. È incredibile, non cadono mai oltre il salto d’acqua, qualsiasi capriola facciano.
Va bene, torno a scrivere. Ho sempre il binocolo e la gopro a portata di mano nel caso compaia qualche animale venuto ad abbeverarsi. Invece uso solo il binocolo per guardare le frecce blu quando si posano lontane e uno strano uccellino bianco con una lunga coda fatta di due penne che sembrano uno strascico da sposa.
È ora di tornare in paese a cercare un wifi per far sapere a casa che sto bene e che devo restare nella giungla un giorno in più.
Lo zaino è lassù sull’albero e l’amaca che mi hanno regalato la mamma e il papà è verde come le foglie, assolutamente invisibile.
Cammino un’oretta nella foresta, raccogliendo un altro po’ di frutti come quello che ho mangiato ieri. Subito ero peplesso, poi guardandolo meglio mi sono ricordato di averne già visti a centinaia sui banchi dei venditori di succhi di futta e per terra lungo le strade i gusci svuotati. Praticamente è un frutto tondo o un po’ oblungo, giallo-verde, che sembra un limone di legno e profuma di frutto della passione, cresce su un albero. Rompendo il guscio a sassate, all’intero c’è una polpa arancione e pastosa, che contiene delle strutture rugose e scure che sembrano corna, disposte a raggiera e contenenti i semi.
Arrivo a Kyari e cerco invano di collegarmi al wifi del campeggio, così chiedo a due uomini seduti al tavolino di un bar in riva al torrente. Non bisogna immaginare un bar europeo, qui c’è una mini casetta dipinta di giallo con davanti un fuoco di legna su cui bolle il tè. Dietro il bar scorrazzano le galline e ci sono due tavoli disposti lungo il torrente, sul terreno sabbioso.
I due avventori del bar si chiamano Bhinod e Shuvam (S-huvam. In India non c’è il suono sc, ma sue diverse s-h con l’acca espirata. La differenza la fa la punta della lingua, che in questo caso è dritta verso i denti come la s italiana, altrimenti è curvata all’insù a toccare il palato.), vivono a Ramnagar e vengono qui a rilassarsi quando hanno un momento libero. Mi propongono di portarmi a fare un giro dei mille piccoli angoli belli di Ramnagar e dintorni, ma purtroppo io sevo tornare al mio accampamento. Non so bene quanto sia una buona idea far sapere che sto nella giungla in mezzo alle tigri, così la butto sul ridere dicendo che: “Sono al secondo piano dell’hotel della Giungla e più che una casa il mio hotel è un albero. Cioè, è letteralmente un albero nella giungla.”
Nel frattempo mi è arrivato un messaggio da Sebastian. Quelli del campeggio hanno capito che stavo andando a dormire nella giungla e pretendevano di avere il mio numero dicendo che è illegale e pericoloso eccetera eccetera. Sebastian la sa lunga e come compromesso mi ha scritto un messaggio, per provare che non sarei stato comunque raggiungibile. Mitico.
Mi siedo insieme a Bhinod e Shuvam, che mi offrono una birra e un piattino di maggie (magghi) di benvenuto. Rifiuto la birra perché qui una Heineken costa almeno due euroe mezzo, inoltre devo tornare nella giungla con le tigri ed è meglio essere lucidi al cento per cento. Secondo loro la birra costa poco, semplicemente perché ci sono abituati. Il maggie è un piatto di noodles e verdure a pezzetti, con peperoncini verdi a pezzetti e un sughetto speziato. Semplice e gustoso, qui lo servono proprio ovunque.
Chiacchieriamo a lungo dei problemi dell’India e dell’Italia, di quanto va lento il traffico in India e di come guidano male gli indiani. Bhinod è sposato, Shuvam invece no, entrambi lavorano perché hanno una trentina d’anni. Gli espongo i miei progetti di raggiungere Dehradun attraversando le montagne, per avere un parere. Me lo sconsigliano in tutti i modi perché farà un caldo terribile, dal satellite si vede che è secco, la strada è lunghissima e poi là non c’è niente. Nemmeno loro che abitano qui ci sono mai stati. Questo ultimo dettaglio aggiunge ancora più prestigio alla mia impresa esplorativa e rimuove ogni dubbio residuo: bisogna scoprire cosa c’è.
Dopo qualche ora di chiacchiere mi offrono di portarmi al mio hotel in macchina. Devo fare solo duecento metri lungo la via, è letteralmente un albero a tre chilometri da qui. Non posso mostrargli la foto perché la collocazione precisa deve restare segreta. Decidono lo stesso di andare a fare un giro più in là a fumare una sigaretta prima si rientrare, così salgo in macchina con loro e prendiamo una strada accidentata verso non so dove. Hanno notato che sono molto silenzioso e infatti sono pensieroso, stiamo andando piuttosto lontano. A un certo punto capisco l’equivoco, mi stanno portando in cima alla valle, perché lì c’è un tempio immerso nella giungla ed è l’unico posto in cui potrebbe trovarsi il mio strano campeggio. Spiego tutto, così torniamo indietro fino all’inizio della strada giusta. “Dove parcheggiamo?”, mi chiedono. “Di solito c’è una macchina parcheggiata lì sulla destra. Bhinod avanza e bum! C’era un pietrone giallo all’ingresso della via. Per oggi è abbastanza, ci salutiamo qui e gli indico il punto in cui si trova il tempio di cui parlo io, qui a duecento metri. Nel caso avessi tempo potrei farmi vivo quando torno a Ramnagar, così mi mostreranno il paese, di cui sono molto fieri.
Mancano un paio d’ore al buio, è il caso che vada.
Ritorno all’albero-casa abbastanza tardi, accendo il fuoco e metto su l’acqua mentre mangio un po’ di frutto del pane e faccio un bagno rinfrescante. Sposto il fuoco in un cantuccio circondato dai cespugli, così almeno quando mi salta addosso il leopardo lo sento. Il bello del mio fornellino è che lo si può appoggiare su una pietra e portarlo in giro come su un vassioio. Alla fine giro la pietra e non si vede neanche la macchia di bruciato.
Continuo a cucinare i legumi alla luce della torcia, aspettando con impazienza che si accenda il faro lunare, tra un paio d’ore. Ogni tanto mi guardo le spalle, anche perché in mutande mi sento un po’ nudo, ma l’unico giallo che vedo tra le foglie sono le lucciole che danzano sulle note del torrente. Per un indiano sarebbe inconcepibile dormire qui.
Dopo la grossa cena è il caso di ritirarsi in amaca, perciò risalgo, aggiusto la zanzariera e mi addormento sul grande ficus, al quasi fresco della sera.