Il vento miracoloso

Lezione di ieri: con una preparazione adeguata, si può controllare una barca anche a orecchio
Domenica 05/11/2023 Oceano Pacifico (Isole Cook)
Sulla nuova rotta andiamo più piano e scarrocciamo tremendamente, il capitano non è affatto contento. Il cielo è cosparso di nubi e le chiazze bluastre all’orizzonte indicano che là sta piovendo. Anche davanti a noi le nuvole nere preannunciano pioggia, ormai conosciamo il copione alla perfezione.
Tentiamo di ritornare a Sud per qualche ora, ma le onde sono tali da convincere chiunque a ritornare sulla buona strada. Cazziamo la vela sull’altro bordo e ripercorriamo la strada a ritroso. Per tenere il passo con questo tempo balordo bisogna essere infaticabili, perché la manovra richiede tutti e tre ed è piuttosto complessa da quando si è allenato il paterazzo. Bisogna slegare dalla murata la sartia volante di sottovento, portarla in pozzetto e tenderla temporaneamente. Poi il timoniere vira, uno lasca la scotta sottovento del genoa e l’altro slega la sartia volante, la ferma su una galloccia e recupera come un pazzo la scotta sopravento, prima che il genoa si gonfi dal lato opposto. Poi, in due, bisogna cazzare a ferro il genoa e subito dopo tendiamo anche la sartia volante finché le quattro spire di corda iniziano a slittare sul winch. Nonostante l’esercizio di queste settimane, ci vuole della forza. Poi uno esce di nuovo dal pozzetto per legare l’altra sartia volante alla murata, in modo che non danneggi la randa. Ho aggiunto una quantità di tecnicismi superflui, il succo del discorso è che per virare servono almeno cinque minuti di lavoro a ritmo serrato, in quelle rare occasioni in cui non ci sono intoppi.
I nostri frequenti cambi di direzione sono stati oggetto di un fatto interessante. Infatti le virate sono cambiate radicalmente circa una settimana fa. Ci trovavamo nel solito tempaccio, a meno di duecento miglia da Suwarrow, quando Charlotte ha deciso di tentare un’ultima volta di tornare verso Sud. Le onde erano decisamente troppo alte per completare una virata, il mare avrebbe risbattuto la prua in rotta. Stava ragionando ad alta voce su come fare, apparentemente senza trovare una maniera di aggirare l’ostacolo. Ho avanzato con discrezione un suggerimento, ricevendo in cambio una rispostaccia. Mi dimentico sempre che stare in silenzio è semplicissimo ed è gratis. Dopo di me si è arrischiato mastro Ernests, con un suggerimento straordinario: “Se non riusciamo a virare possiamo fare… la virata dall’altra parte, non so come si dice.” Si dice strambare, cioè ruotare in maniera da farsi passare il vento dietro alla poppa invece che davanti alla prua. In generale è una manovra più rischiosa di una virata, perché se non la si controlla bene le vele si gonfiano di botto sul lato opposto. Mesi e mesi fa avevo proposto una strambata, ma non era stata neanche presa in considerazione. Questa volta, non si sa perché, l’idea viene apprezzata. Abbiamo invertito la rotta con semplicità disarmante, per scoprire in pochi minuti che andare a Sud era ancora peggio che andare a Nord. Così abbiamo strambato di nuovo arrivando a Suwarrow il giorno dopo, sani e salvi.
Bene, è da quella volta là che facciamo solo ed esclusivamente strambate, per motivi che non ho ancora capito. Ho capito perché è più comodo strambare, ma non ho capito perché abbiamo cambiato all’improvviso e definitivamente. Comunque sia, sono grato a mastro Ernests per aver inventato questa manovra rivoluzionaria.
Strambiamo di nuovo, per ritornare verso Nordest, che dopotutto è la direzione migliore. Ripercorriamo ancora una volta lo stesso tratto di oceano, allontanandoci lentamente. Le onde calano di ora in ora, entro sera sono già ridotte a un metro. Anche il vento è calato, ma non bisogna abbassare la guardia. Infatti a metà pomeriggio attraversiamo l’ennesimo, violento groppo, che ci costringe a deviare a Nordovest. Con esso il vento gira verso Est, permanentemente, invogliando ad un’altra strambata a Sud. Puntualmente non funziona, a causa delle onde, così finalmente puntiamo con decisione a Nordest.
Pur tormentati dai groppi, il vento medio cala di intensità fino a circa dieci nodi, ruotando progressivamente verso Sudest. Va da sé che la nostra rotta migliora sempre più. Manteniamo lo stesso angolo rispetto al vento, così invece di muoverci in linea retta disegnamo quasi un arco di circonferenza. L’equipaggio è assai contento dei progressi di queste ore, così ad ogni occasione i timonieri si profondono in commenti di apprezzamento. “Forse non è l’ideale, ma stiamo guadagnando bene verso Est.” Oppure: “Qui le onde si stanno calmando, a volte riesco a tenere una rotta 065 (zero-sei-cinque) sulla bussola di Mario”. Queste e altre osservazioni simili si susseguono durante le ore di lenta navigazione alla miserrima velocità di tre nodi. L’espressione “la bussola di Mario” richiede una spiegazione a parte. A bordo c’è una sola bussola affidabile, che è la bussola digitale del computer di bordo, anche detto Luigi. La bussola fisica, situata nella chiesuola del pozzetto, ha probabilmente un errore di 10-12 gradi, ma nessuno lo sa con precisione e sto cercando di determinarlo con metodi astronomici molto empirici. La terza bussola, bella grande e situata proprio di fronte al timoniere, è la bussola del pilota automatico, Mario. La strumentazione di bordo non è tutta della stessa marca, grazie al nostro caro Warren (il tecnico di Opua), perciò gli strumenti non comunicano tra loro. La bussola di Luigi è sicuramente la più affidabile, e la prendiamo per vera. Con il passare delle settimane, abbiamo imparato a convertire i gradi di bussola di Mario nella bussola vera. C’è un errore di -15° tra le direzioni 350 e 175, che diventa -10° tra le direzioni 175 e 240. Il quadrante mancante è ancora inesplorato perché non navighiamo quasi mai in quelle direzioni. Probabilmente l’errore è -10 o -5 gradi, non saprei dirlo con certezza. Perciò, se il timoniere legge davanti a sé “rotta 065”, sa che sta dirigendo verso 065 + 15 = 080 gradi di bussola, cioè verso Est-nordest.
L’anemometro ha lo stesso problema, ma per interpretarlo non serve un sistema di equazioni. Per motivi ignoti, la lancetta è girata di trenta gradi, forse è semplicemente montata male, o forse va tarato di nuovo. Anche questo è digitale e Charlotte non lo ha mai smontato. Forse un giorno ci decideremo a metterci mano.
Al calare della notte Charlotte è ancora allettata e il mare si è vistosamente calmato. Anche il vento sta rapidamente scemando, il grande genoa basta appena a spingerci avanti.
È bene avere una notte quieta, perché ce la divideremo io e Lord Asparagus.
Verso le tre, quando smonto dal turno, il vento è praticamente scomparso e il segnavento piroetta intorno al proprio perno. Strano a dirsi, ma ci vorrebbe proprio un groppo per portare un colpo di vento e spingerci avanti.
Avendolo chiamato, il nostro salvatore non si fa attendere e ribalta la situazione. Attenzione signore e signori: c’è vento da Nordest! È quel vento di cui parlavano i nostri amici a Suwarrow, lo si può incontrare se si resta a Nord come loro. Strambiamo immantinente e cavalchiamo la brezza mattutina verso Raiatea. Finché dura, sarà un gran piacere aggiornare la mia tabella dei progressi verso la meta, indicata dalla coppa di Martini.
Non bisogna farsi illusioni, il vento è debole e non durerà a lungo. Non abbiamo aperto tutta la vela perché ci aspettiamo che da un momento all’altro rinfreschi oppure ci abbandoni. Invece no, malgrado qualche colpo di tosse questo refolo da Nordest ci accompagna per tutta la mattina. Navighiamo lentamente, ma su una rotta che ritenevamo quasi impossibile.
Alle nove mastro Ernests e io issiamo tutta la randa, per poi spalancare anche il grande genoa. Forse 132 metri quadri di tela non sono davvero un campo da calcio, ma sicuramente sono abbastanza per organizzare una partita di calcetto. Non abbiamo mai visto tanta tela tutta insieme, questo è poco ma sicuro, e lo spettacolo è impressionante.
Passa al timone Lord Asparagus, che esclama: “Questo è il vento miracoloso!” In effetti nei giorni scorsi avevamo sperato che accadesse un miracolo. Dopo quattro giorni in mare e quattrocento miglia di navigazione, ieri la nostra distanza da Suwarrow era soltanto 50 miglia. Non ci siamo neanche presi il disturbo di stimare la data di arrivo a quel ritmo, perché mancano ancora 680 miglia in linea d’aria.
Il cielo è limpido e blu, l’oceano è calmo e rotondo, con lunghe onde da Nordest che non intralciano affatto la nostra avanzata. Nell’ultimo turno prima di mezzogiorno solchiamo 15 miglia in tre ore, che rappresentano un ottimo risultato.

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