Il tour degli ospedali di Sofia

Lezione di ieri: basta pochissimo per spingere le possibilità comunicative ben oltre l’immaginabile.
Venerdì 10/12/2021 8:24 Sofia (Bulgaria)
Inizio a scrivere, anche se forse dovrei uscire già adesso. No, meglio scrivere un altro po’ prima. Lo scopo primario del mio soggiorno a Sofia è cercare in ogni modo di ottenere la terza dose di vaccino anti-covid e il relativo certificato.
11:05
La prima cosa da fare è andare a chiedere informazioni in ambasciata, perché a differenza dei messicani io ho un’ambasciata. Mi apre un uomo che si sporge dalla porta per sapere di che cosa ho bisogno. Io vorrei sapere a quale porta bussare per ottenere l’autorizzazione ad essere vaccinato. Mi risponde seccamente che secondo lui non me la fanno, ma che posso provare a chiedere nei centri commerciali o negli ospedali, e su richiesta me ne elenca un paio. Prendo da scrivere e chiedo anche quali sono gli altri, ma secondo lui è inutile farmi un elenco dei nomi perché no mi vaccinano. Grazie, va’ pure al diavolo quando hai finito di fare finta di lavorare, molto gentile. Se questa è l’ambasciata italiana, non riesco a immaginare come debba essere il consolato del Messico.
Vado al primo centro commerciale, ma vaccinano solo nel fine settimana, così mi dirigo all’ospedale più vicino e chiedo lì. Da fuori l’edificio ha proprio l’aspetto di un ospedale bulgaro, trascurato ma non proprio fatiscente.
Entro e vago per i corridoi, fino a rendermi conto di aver sbagliato ingresso, meglio cercare un’altra entrata.
All’interno, la segretaria parla solo bulgaro, ma per fortuna un passante mi aiuta facendo da interprete. Il punto che cerco, dove somministrano le vaccinazioni, è sotto un tendone qui fuori a destra. Peccato che fuori a destra non ci sia un bel niente. Si tratta in realtà di una sorta di paravento, oltre il quale c’è una rampa che porta nell’edificio dell’ospedale. La rampa è vuota e dentro ci sono tre persone.
Viktor ha l’aria di uno che parla inglese, lo intercetto mentre esce e mi aiuta a spiegare la mia situazione alla dottoressa, che parla inglese a sua volta. In Bulgaria non è per niente scontato trovare persone che capiscano l’inglese, anche qui nella capitale, perché fino a pochi decenni fa nelle scuole si insegnava il russo, come mi hanno spiegato ieri Evgenj e Dean.
Qui mi possono vaccinare, anche subito, ma quando preciso che non ho alcun permesso di soggiorno, l’entusiasmo della dottoressa si spegne di colpo. Gentilmente mi indica l’indirizzo dell’ente regionale competente in materia di salute. Per semplicità lo chiamerò ministero della salute.
Qualche chilometro dopo sono davanti all’edificio a sei piani del ministero. Al primo piano c’è una segretaria che parla solo bulgaro e mi manda al secondo piano, dove probabilmente capiscono l’inglese. Al secondo piano c’è una ragazza sui trent’anni, probabilmente l’unica nell’edificio a poter comprendere un po’ di quello che dico. Mi porta al quinto piano, ma la persona che cerchiamo oggi non lavora, perciò mi toccherà tornare qui lunedì prossimo.
Faccio un po’ di spesa e torno all’ostello, a mangiare e scrivere. Circa. Poco fa ci sono stati dei nuovi arrivi. Ci sono cinque ragazze spagnole in Erasmus all’università di Macerata e c’è Carlos, un altro messicano. Più tardi arrivano anche Lena, una ragazza austriaca di diciotto anni, e due suoi amici brasiliani, Yuri e Luiz. Come faccio a concentrarmi? Come faccio?
Fa lo stesso, ormai è ora di cena e Lena, Yuri e Luiz preparano da mangiare. Stanno preparando una quantità industriale di riso, lenticchie e zucca, invitando tutti ad unirsi alla cena.
Quando ci sediamo intorno al tavolino rotondo della cucina, Yuri quasi si commuove nel vedere davanti a sé un piatto come si deve e un ambiente accogliente. Fino a stamattina Yuri e Luiz erano all’ostello H2O, quello più economico di tutti, e sono fuggiti perché non c’è la facevano più. Sono partiti circa otto mesi fa da San Paolo, in Brasile, girando l’Europa e guadagnandosi da vivere come artisti. Nell’altro ostello stavano dipingendo le pareti interne per abbellire l’ambiente, ma non venivano pagati e l’ambiente era pessimo. C’era chi rientrava di notte ubriaco o drogato urlando come un pazzo nel corridoio e nelle camere. Anche durante il giorno l’atmosfera era ugualmente pesante e inoltre il proprietario non li pagava, per questo si sono rifugiati qui.
Per ultimo arriva anche Hector, il messicano senza passaporto, con in mano un candelotto di dinamite. Lo apre ed estrae cinque piccoli barattoli di confetture fatte con i peperoncini più piccanti che esistano. Sono da mettere sul riso “sino non se disfruta” (altrimenti non lo si gusta).
22:00
Dopo cena, con calma, usciamo per andare in un piccolo pub qui vicino. Yuri, Luiz, Lena, Hector, Carlos, Alberto e io. Là incontriamo Bart e Wesley, il primo canadese e il secondo californiano. Bart mi racconta che è venuto qui in Bulgaria con uno scopo preciso, visitare un monumento al comunismo situato al centro del paese. È troppo surreale, mi faccio spiegare i dettagli. A Est di Sofia c’è un posto chiamato Budzhluzha (la zh è equivalente alla ž croata, si pronuncia come je in francese) in cui è stato eretto un edificio alto 70 metri per commemorare il luogo in cui si è riunito per la prima volta il partito comunista bulgaro. Sembra un UFO, né più né meno. All’interno è ricoperto di mosaici, 35 tonnellate di tessere di vetro colorato, mentre all’esterno è solo cemento grigio. Quasi quasi ci vado anch’io, solo per onorare Bart che ha fatto tutta questa strada per vederlo. Mi racconta anche che il volo per venire qui da Calgary gli è costato meno di un volo interno per Ottawa. Giusto per dare un’idea di quanto sia economico il Canada.
Dopo questo primo pub andiamo in un bar ancora più piccolo e stipato di gente, con la musica a tutto volume. Il pub era verde, mentre questo bar è rosso. È complesso parlare qui, al massimo si può sperare di leggere il labiale.
Dopo una mezz’ora usciamo di nuovo e con calma raggiungiamo Wesley e Bart ad un pub-karaoke dove Hector incontra due messicani che vengono esattamente dalla sua stessa città.
Passiamo più di un’ora lì e a un certo punto Alberto mi offre anche una birra, così. Non sono proprio in condizioni di cantare, mi sono carteggiato la gola prima urlando Bohemian Rhapsody nel bar rosso. Nel frattempo faccio quattro chiacchiere con i compaesani di Hector.
Pian piano gli altri se ne vanno, finché non restiamo io ed Hector insieme ai due gringos, Wesley e Bart, che dopo aver duettato un’ultima volta decidono di andare in un altro pub.
2:39
Mi sa che torno a casa, dopo aver fatto due passi con Hector fino al bar successivo. Questo messicano dalla barba incolta mi racconta che qualche sera fa ha avuto da dire con tre skinheads e gli ha rifilato un bel treno di pugni. “Cuando estas borracho haces cosas que no deberías” (Quando sei ubriaco fai delle cose che non dovresti)
3:05
Rientro all’ostello e c’è ancora la Tina in giro, forse per controllare o chissà perché. Oggi c’è mancato un pelo che mi facesse pagare 6 leva in più perché tardavo nel pagare la quota di stanotte. Basterebbe scriverlo in modo più chiaro alla reception, se non è in grado di comunicare con gli ospiti in inglese, non mi sembra difficile.

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