Il silenzio è d’oro

Lezione di ieri: la marea scorre potente sugli atolli corallini, attenzione.
Lunedì 30/10/2023 Atollo Suwarrow (Isole Cook)
Per rimpinguare le scorte d’acqua dolce di bordo, possiamo scendere a terra con le taniche e rabboccarle alla cisterna dell’isola. Vogare controvento e trasportare le taniche piene sono compiti per me e Ernest, così andiamo solo noi due. Una volta fatto il pieno restiamo ancora qualche ora, specialmente sulla spiaggia che si affaccia sulla barriera corallina. Ci sono parecchi pesci pappagallo blu-verdi, venuti a mangiare nell’acqua bassa. Dato l’orario, anche gli squali pinna nera si avvicinano alla riva, i più piccoli riescono a nuotare anche nelle pozzanghere tra i coralli. Troviamo un piccolo pesce balestra morto da poco, che gettiamo via tra le pinne nere. Tre squali si litigano il pesce, che in un attimo è già scomparso.
Sulla via del ritorno raccolgo un paio di cocchi, prontamente sbucciati sul palo d’acciaio utilizzato anche dei guardiaparco. Sulla spiaggia Ovest Chris accumula le noci e le foglie che cadono nel giardino, formando grosse pire. Periodicamente i cumuli vengono dati alle fiamme, altrimenti la casa sarebbe sommersa di cocchi. Non ho mai provato ad arrostire un cocco, sono curioso. Ad Apia, Koso mi ha detto che il cocco arrostito nel forno ipogeo è molto buono. Una pira è piuttosto simile a un forno, vale la pena provare uno di questi cocchi. Sono o non sono l’ufficiale capo?
La polpa è ancora croccante, ma decisamente più tenera delle noci crude, con uno strato cremoso che potrebbe essere dovuto al fatto che la noce è lì da un po’. Non è avariata, solo strana e decisamente più facile da mangiare.
Torniamo a bordo con il bottino liquido, portati dal vento. Da domani sera l’oceano si dovrebbe calmare, lasciandoci una finestra utile per lasciare l’isola.
Il quarto giorno passiamo la mattinata a sballottare le vele per riordinare la prua e cercare una nuova vela di prua. Non è facile ricordare quale vela è quella giusta, perché i sacchi sono stati scambiati più volte. Troviamo infine un robusto genoa, che ha scritto sull’angolo di mura “150%”. Ohibò, centocinquanta? La percentuale si riferisce alla tela extra rispetto allo spazio triangolare tra lo strallo, l’albero e il ponte.
Prima di poter issare alcunché, bisogna rivestire le crocette alte con una protezione adeguata, cioè bisogna imbragarsi e salire sull’albero. Persino Téina si è raccomandata con Charlotte di non salire in testa d’albero, ma non c’è niente da fare. Si fida solo di se stessa e non c’è altro modo per coprire i perni stracciavele con due pezzi di nastro. Inizialmente si era parlato di un rivestimento di cuoio fatto perbene, ma alla fine ha deciso di risolvere in fretta il problema con il nastro telato. Deve comunque farlo lei, per queste operazioni serve una laurea in nastrologia. Mentre issiamo Charlotte sull’albero, iniziano a prorompere gli insulti al vento, al nastro e alle crocette. Proprio grazie al vento, le grida volano lontano e sul ponte giunge solo un brusio indistinto. Ernests e io ci guardiamo, beati. “La lasciamo lassù?”
Terminata la terapia alle costole, aspettiamo un cedimento della brezza per srotolare in un lampo lo yankee malandato. Grazie al lubrificante della settimana scorsa, la penna della vela piomba sul ponte in un batter di ciglia, ripiegandosi sul lato sinistro del ponte con la grazia di una viennetta. Sotto la canicola del mezzogiorno locale, infiliamo di nuovo la vela nel sacco e srotoliamo il nuovo genoa, pronti a issarlo. È fatto di una strana tela a quadretti, probabilmente di poliammide come le altre vele, ed è nuovo di pacca.
Ernests e io issiamo la vela in pochi istanti, tanto che ci accorgiamo di che cosa abbiamo issato solo al momento di avvolgere il genoa sullo strallo. A dritta c’è un’immensa muraglia bianca, grande ottantaquattro metri quadrati, con il numero velico originale di Valiant, 11133. Questo significa che la vela ha cinquant’anni e andrà trattata con molta delicatezza, anche perché è il nostro ultimo genoa.

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