Il ricordino lasciato dalla guerra

Lezione di ieri: Per ognuno che ti deruba ce ne saranno cento che ti aiutano.

Lunedì 15/11/2021 7:33 – Mostar (Bosnia e Erzegovina)

Mi sveglio, ma resto sdraiato a pensare, perché ora è giunto il momento di guardare dietro le quinte della commedia di sabato, incluse le scene tagliate.
Innanzitutto nessuno è andato a comprare l’olio. A metà del secondo atto Antonio sparisce dietro le quinte mentre Jasmin intrattiene il viaggiatore con qualche frase in inglese. Dietro il sipario c’è una borsina con le taniche d’olio rimaste dall’ultima recita e il loro prezzo aumenta di volta in volta fino a rincarare del 50%.
La macchina naturalmente non ha nessun problema e al momento del rabbocco dell’olio l’ospite viene messo alla guida in modo che Antonio, coperto dal cofano alzato, possa versare tutto l’olio che vuole fuori dal serbatoio.
Nel terzo atto invece è cruciale il passaggio al McDonald’s, perché Jasmin rimane in auto con lo zaino e ha tempo di dare un’occhiata al contenuto, così come durante le soste agli ATM.
È importante stare leggeri sull’acceleratore per far tossire un po’ il motore in fase di manovra e non dare all’ospite alcun numero di telefono, neanche quello del presunto meccanico.
L’unica cosa di cui non verrò mai a capo è il passaggio dei soldi, non mi ricordo assolutamente come hanno fatto a rimanere in mano ad Antonio.
Alla fine di questi pensieri, mi rendo conto che probabilmente mi sono intestardito troppo a voler dormire all’ostello e mi sono perso la vera scena finale al motel o dove saremmo andati. Magari mi facevano il rigatino e se ne andavano di nascosto all’alba, chissà.
Per chi non lo sapesse, il “rigatino” viene dal secondo film di Amici miei. Consiste nel trascorrere una notte in albergo con un’estranea e filarsela alla mattina presto vestito con la divisa a righe da fattorino, da cui il nome.
È il finale più plausibile che mi è venuto in mente, dato che insistevano per stare in una camera separata, ma sono aperto ai suggerimenti migliorativi.

9:00

Questa mattina se ne va anche Moon, ma per fortuna sono arrivati Natan e Jane, che vengono dal Sudest della Francia. Sono in viaggio dall’inizio di settembre e continueranno a visitare i Balcani fino alla fine di questo mese. Probabilmente hanno circa trent’anni anche loro e stanno visitando soprattutto i parchi e le spiagge, infatti oggi vanno a Blagaj.
Prima di uscire resto in camera e scrivo un po’ mentre Moon fa lo zaino. Prima di andarsene, mi regala una scatoletta coreana di maiale brasato in salsa di soia. A quanto pare lui si è portato in spalla per tutta l’Europa un chilo di carne in scatola, non so perché. La lattina è carinissima e mi sa che terrò il coperchio per ricordo. Come immaginavo, lui solitamente mangia questo maiale brasato insieme al riso, quindi penso che viaggerà con me per un bel po’. Forse sono io che guardo negli scaffali sbagliati, ma qui nei Balcani il riso non c’è. C’è la pasta Barilla e un sacco di prodotti italiani, ma non ho ancora trovato il riso.
Ci auguriamo buon viaggio e se ne va verso il suo autobus.

10:00

Come mi ero prefisso ieri, oggi che c’è il sole faccio un giro su quella montagna che domina Mostar dal lato Est.
Per arrivarci c’è una strada asfaltata che sale a tornanti e percorrerla tutta senza poter tagliare fuori strada è una noia mortale, perché non si arriva più. D’altra parte i dintorni di Mostar sono stati minati con cura e su questa montagna in particolare c’era anche un avamposto presidiato. Finalmente arrivo in cima ai tornanti, ignoro completamente la piattaforma panoramica di vetro costruita per i turisti e vado a destra sulla cima del colle che ho visto ieri.
Mentre scendo lungo il crinale per poi risalire verso il cucuzzolo, mi trovo su una carraia dove a destra c’è pieno di ginepri verdi e a sinistra ci sono solo scheletri di legno e un po’ di erba ingiallita. I segni di un incendio. Ieri Antun mi ha raccontato che quando è tornato a Mostar dopo la guerra aveva poco più di tre anni e per prima cosa suo padre ha lavorato per ricostruire la casa, che era stata distrutta. Non molto tempo dopo è divampato un incendio sulla collina a Sud-ovest della città e il calore ha fatto saltare parecchie delle mine che erano sepolte là. A un certo punto è deflagrata anche una granata che ha infranto i vetri delle finestre.
Dopo la discesa il sentiero risale verso una tettoia che protegge il punto intermedio di una doppia teleferica che parte dalla cima panoramica di fronte, arriva qui e poi con un secondo cavo scende e attraversa di nuovo la piccola valle.
Seguo il sentiero fino alle rovine di un avamposto di difesa dalle cui finestre si riesce a tenere sotto tiro la valle a Sud di Mostar e i monti del versante Est. Il punto che cerco io però è un po’ più giu, da qui il centro di Mostar non si vede ancora, quindi proseguo seguendo il sentiero.
Qui comincia a farsi interessante. Il sentiero è chiaro, non si può sbagliare, ma nel senso che non ci si può permettere di sbagliarsi. A scanso di equivoci, sulle pietre di questa altura c’è un segnavia bianco e rosso ogni tre metri, letteralmente. Dopo la guerra questo è diventato un luogo in cui fare escursioni e vie ferrate, ma rimanendo sul sentiero. Fai dieci passi e alzi lo sguardo a cercare il segno successivo.
Già che c’erano avrebbero potuto scrivere i numeri sulle pietre come in Prato fiorito, il gioco di logica per computer.
Finalmente raggiungo la meta, con sotto di me una vista spettacolare su tutta la città. Qui vicino spiccano soprattutto i minareti delle moschee. Anzi, guardando meglio con il binocolo, a più di cinquanta metri a Ovest del fiume non c’è neanche una moschea nei restanti tre chilometri di città. Come diceva Antun, il fiume spacca Mostar in due.
Rimango un po’ appollaiato lassù a guardare la valle e le alture circostanti, chiedendomi se sono tutte quante minate come questa.
Mentre scendo passo di fianco all’arrivo della teleferica e mi viene un’idea. Non è quello che stai pensando. Che cos’è una teleferica se non un’enorme chitarra?
Pizzico la fune d’acciaio appendendomi di peso e aspetto. Dopo nove secondi e dieci decimi, la fune ha un’oscillazione spontanea di mezzo metro. La lunghezza del cavo è di circa 600 metri e l’onda la percorre due volte in 9,1 secondi, perciò la velocità di propagazione dell’onda deve essere vicina a 500km/h.
Molto divertente.
Dopo che mi sono sfogato inviando parecchi segnali a degli ipotetici destinatari dall’altra parte del cavo, scendo. Solo che dal punto di arrivo del secondo cavo si riesce a filmare l’onda in arrivo, perché c’è dietro la roccia a fare da sfondo scuro. Mi tocca rifarlo, da qua si vede proprio bene.
Finita l’escursione e il pacchetto di arachidi, rientro in ostello per fare una doccia e incontrare di nuovo Antun. Ieri abbiamo parlato parecchio di attrezzatura da viaggio e da campeggio perciò gli ho detto che avrei portato con me lo zaino. Così, per condividere qualcosa mentre lui mi fa vedere le diavolerie che ha a casa.
Bisogna però che lasci qui qualcosa, altrimenti la nonna penserà che sia scappato via quando entra qui e non trova niente. Facciamo che lascio qui sacco a pelo, bastone, cappello e qualche vestito. Il sacco a pelo vale come due settimane di ostello, direi che può bastare, quindi esco di casa. Spero di trovare la nonna, ma non c’è nessuno.
Chiudo il cancello e mi incammino in discesa lungo il vialetto, ma indovina chi c’era in casa con le orecchie tese? La nonna.
Corro su e provo a spiegarle il malinteso, ma finalmente mi rendo che non sta capendo niente e non ha capito un bel niente neanche delle mie spiegazioni dei giorni scorsi. Per fortuna, come ogni nonna che si rispetti, ha dei nipoti.
Chiama sua nipote e cerco di spiegare la cosa a lei, ma la traduzione sommaria che viene riferita non convince per niente la nonna. Alla fine le lascio la chiave dell’ostello e il passaporto in ostaggio e sono libero di uscire. Prometto che sarò di ritorno tra qualche ora e mi risponde con un secco “Forse….”
Sono libero, ma mi allontano con un peso sul cuore perché nessuno vorrebbe vedere la nonna arrabbiata. Finalmente ho un lampo di genio e mi ricordo che ho due banconote da cinquanta euro in fondo alla cintura e in fondo ai miei pensieri. Sono per le emergenze e ho bisogno di riaverli indietro, ma come acconto fino a domattina dovrebbero bastare.
Molto sollevato, raggiungo Antun in un nuovo bar, accanto a una chiesa. Scopro così che Antun non è solo un cameriere, ma anche un giardiniere, pittore, scrittore, cacciatore. Suona la chitarra ed è appassionato di uscite nei boschi insieme al suo cane, Allegra. Coltiva diverse piante esotiche e a breve intende scrivere e vendere un altro libro. Ama disegnare perciò disegna e vende le sue opere. Ci soffermiamo soprattutto sulla natura, sul campeggio e sulla caccia, mentre lui fuma una sigaretta dietro l’altra. Sì, nei bar in Bosnia si può fumare.
Mi spiega che si può andare a caccia anche qui vicino a Mostar, perché alcune zone di bosco si sa per certo che non sono state minate. Per me resta assurdo pensare di vivere in un posto così, ma evidentemente ci si abitua.
Dato che sono al verde e con il cibo razionato, mi ha portato quattro razioni energetiche di burro d’arachidi ricoperto di cioccolato, che sono una droga e si chiamano Reeve’s. Mentre parliamo lui ogni tanto si annota qualcosa che mi manca e dice che me lo farà avere più tardi quando passiamo da casa sua.
Finita la chiacchierata lui paga e prima di lasciare il bar prendiamo da un piccolo mobile accanto alla porta un bigliettino con indicato un versetto della Bibbia, che si può prontamente consultare lì accanto.

20:10

Si è fatta ora di cena e mi propone un kebab. Non è quello che sognava di offrire, ma io non probabilmente non lo mangio da più di due anni e accetto molto volentieri. Offre lui la cena, dice che è quello che fa di solito con gli ospiti.
Per finire andiamo a casa sua, così conosco Allegra, il suo cane, che ha una stanzetta tutta per sé cosparsa di pezzetti di gommapiuma, ricavati a morsi e sparpagliati con cura. Fa morire dal ridere perché appena entro io è come se il suo naso si volesse avvicinare mentre il resto del corpo scapperebbe via. In questa strana posa, centimetro dopo centimetro, riesce ad avvicinarsi abbastanza da potermi fiutare e tranquillizzarsi un po’. Finite le presentazioni, Antun mi fa vedere Il suo zaino con sgabello incorporato, un kit da disegno che vale una fortuna, le piante, il suo fucile ad aria compressa e una marea di altre cose che ci sono lì in giro. Si è appena trasferito qui in questo mini appartamento tutto suo e quindi per ora non può ospitare nessuno e ci sono oggetti ovunque. Alla fine della visita guidata mi regala una serie di oggetti che mi possono servire. Uno spray al peperoncino, della carne in scatola e un po’ di granelli di incenso, da usare nelle notti di campeggio. Mi vuole dare anche una mini torcia al propano, ma mi sembra eccessiva dato che porto già con me acciarino e accendino di rispetto.
Una cosa che gli manca però c’è, la bussola. Gli faccio vedere la mia vecchia fedele bussola, regalo di Matteo e Pietro tredici anni fa. Ho scoperto che questo modello è praticamente immutato dagli anni trenta del secolo scorso. Lo portava già con sé un grande viaggiatore tedesco di nome Oskar Speck.

  • Inizio della rubrica dell’ecologo

Prima di uscire devo assolutamente sfatare un mito, non posso andarmene così. Qualcuno ha regalato un osso ad Antun, spiegandogli che si tratta di una testa di vipera, infatti ha i buchi per gli occhi, le cavità delle narici, l’attacco per la colonna vertebrale ed è incavato sul davanti dove ci sono le fossette ai lati del muso. Bisogna maneggiarlo con cura perché è molto leggero e non è facile trovarne di così grandi, questo è largo come il palmo di una mano.
Sento riecheggiare la voce del professor Maurizio Lazzari, che prima dell’esame di anatomia comparata ci mise in guardia da questo errore grossolano. La voce che sento parla con la erre francese di Jean Bob, la rana del cartone animato “L’incantesimo del lago”. Torniamo a noi.
Se si capovolge il presunto cranio, si noterà facilmente che manca del tutto la scatola cranica e che la linea mediana è composta da una fila di ossa saldate insieme, come delle vertebre modificate. Inoltre, sulle due ampie ossa laterali, vicino alle cavità degli occhi, ci sono le due fossette semisferiche dove alloggiavano le teste dei femori.
Per montarlo sullo scheletro di un uccello basta capovolgerlo di nuovo e sollevare il muso del serpente di trenta gradi. Le ossa forate sono gli ilei del bacino e le vertebre sono saldate tra loro per assorbire meglio gli urti degli atterraggi.
Per avere una controprova, basta mangiare un pollo arrosto.

  • Fine della rubrica dell’ecologo

Smontate le millanterie di quel ciarlatano che gli ha dato l’osso, dobbiamo andare perché lui deve incontrare un’altra persona.

20:30

In questo modo mi libero presto e posso rientrare all’ostello trionfante, lasciando in pegno i miei cinquanta euro in cambio di dignità e passaporto. Disgraziatamente la nipote è uscita, ma proprio mentre cerco di spiegare alla nonna che mi piacerebbe riavere indietro la mia banconota, arrivano il figlio e la nuora in moto. Spiego tutto a loro e li prego di riferire la storia per intero alla nonna, che è finalmente ha capito la mia proposta di pagamento. Lei non ne vuole più sapere di questa storia e per il momento mi dà il resto.
Salgo definitivamente in camera, basta per oggi. Quando rientrano, Jane e Natan mi chiedono con ansia spiegazioni su chi siano quei tedeschi da cui li ho messi in guardia stamattina prima di uscire. Erano di fretta e ho riassunto tutto in una frase sola del tipo “Se vi si avvicinano due tedeschi che vi chiedono dei soldi, andate via e lasciateli perdere.”

1:20

Ho scritto fino ad ora, ma i soldi non sono ancora arrivati. Come dimentico sempre, il bonifico viene eseguito dopo l’orario di apertura della banca, non dopo la mezzanotte.

2 commenti su “Il ricordino lasciato dalla guerra”

  1. Pietro Lasalvia

    Per curiosità, che versetto hai raccolto al bar?
    Non sapevo tra l’altro che stessi ancora usando la nostra bussola, grande!

  2. cavoli… benchè leggendo la storia della truffa ci fossero stati alcuni punti in cui ho pensato “mmmm… qualquadra non cosa… “, fino a metà lettura di questo articolo ho sperato in un colpo di scena, un messaggio improvviso dalla ragazza… nada

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *