Il primo campeggio nella neve

Lezione di ieri: non c’è limite a quello che possono fare i passanti quando vedono un autostoppista.
Martedì 7/12/2021 5:54 Gradsko (Macedonia del Nord)
È stata una pessima idea, tutto per risparmiare mezz’ora e partire più presto stamattina. Qui la temperatura è buona, ma senza sacco a pelo ovviamente fa freddo. Inoltre lo zaino pesa tanto e scivola, occupando quasi metà dell’amaca. Ho capito, non lo faccio più.
Torno nel posto di ieri sera per rassettarmi un minimo e compro una porzione di burek al forno. Ora capisco perché c’è la fila fuori, gusta un sacco.
Pioviggina ancora, quindi sto sotto il portico e faccio l’autostop-imboscata, sbucando fuori quando vedo arrivare una macchina. Dopo un po’ esce il fornaio e mi spiega che tra mezz’ora deve andare verso Veles e mi può dare un passaggio. Stupendo, torno al coperto e compro un altro po’ di buon burek al formaggio. Nel frattempo sento il fornaio e la moglie che discutono, immagino di essere io il motivo, chissà.
10:20
Jordan esce e partiamo. La mia prima domanda riguarda il traffico incessante di camion. Lui mi conferma che questa strada è semplicemente il collegamento tra Serbia e Grecia, che corre parallelo all’autostrada. Essendo una strada dritta, percorrendola i camionisti perdono poco tempo e risparmiano dieci euro a viaggio, che non è male.
Jordan ha studiato come ingegnere elettronico, ma poi ha conosciuto sua moglie e si è dato alla pianificazione. Dice che questo lavoro gli piace, lo vedo proprio soddisfatto.
In breve arriviamo ad un distributore che dà sull’autostrada e Jordan mi consiglia di fermarmi qui perché è facile trovare un passaggio per Veles. Accetto il consiglio e scendo, in effetti dopo poco sono di nuovo in viaggio.
Sono a bordo con Goran, di quarant’anni, e sua madre Cena (si legge Zena) che vanno proprio a Veles. Nel breve viaggio ci scambiamo i contatti e Goran scatta una foto ricordo, prima di lasciarmi allo svincolo per Veles.
12:45
Adesso viene il bello, perché bisogna riuscire a raggiungere Kumànovo senza andare a Skopje, che non è banale, anche perché in questi svincoli non c’è molto spazio per far accostare una macchina. Inoltre soffia un vento freddo che mi raffredda le mani anche dentro i guanti da neve, ma almeno non piove.
Per fortuna stamattina mi sono ricordato che Kràtovo non è il posto dove devo andare. Quando Ace (si pronuncia Aze) me lo stava spiegando, mi ha detto che il posto che intendeva era più o meno nella zona di Kratovo, ma in realtà si trova ben più su e lo si raggiunge deviando di venti chilometri dalla strada che da Kumanovo porta a Sofia.
Non si ferma nessuno, ho già provato diversi posti, ma quasi nessuno va fino a Kumanovo, lo si vede anche dai codici sulle targhe.
A un certo punto ripassa una macchina che ho già visto prima, con a bordo un meccanico con le mani sudice di morchia. Dice qualcosa di poco comprensibile riguardo a Kumanovo, anche se sembra che mi voglia far pagare il viaggio. Spazza via qualche briciola di cavolo dal sedile e salgo per capire che cosa vuole. Dopo solo cento metri arriviamo a intenderci: il suo serbatoio è quasi vuoto, perciò vedendomi lì da un po’ ha pensato di improvvisarsi tassista e chiedere a me di comprare la benzina. Capendo che io sui taxi viaggio solo gratis, mi fa scendere senza tanti complimenti.
Bene, tentativo fallito, mi incammino per risalire dov’ero prima. No, aspetta, qui vicino c’è una rotonda che porta a Kumanovo passando per una strada secondaria, proviamo a scendere. Matte (Lasalvia) una settimana fa mi ha chiesto se ho già visto girare per strada dei carretti tirati dai cavalli. Ebbene, qui incrocio i primi due.
Mi piazzo alla rotonda, ma nella direzione sbagliata, per due volte. Gli autisti mi fanno segno che devo mettermi nell’altra uscita, perciò non c’è via di scampo, bisogna andare per forza in autostrada.
13:47
Passano molte auto, ma quasi tutte si fermano qui o vanno a Skopje. Mentre inizia a piovviginare appare una macchina con la targa KU, sgrano gli occhi per la sorpresa e si ferma per farmi salire. Sono tre colleghi di lavoro, ma uno solo parla inglese perché gli altri due insegnano matematica e storia. Sono nella macchina dei prof.
Si chiamano Arsim, Shaman e Mishmet, di origini albanesi. Rispolvero le mie nozioni di albanese, che evidentemente continuano ad essere utili. Arsim mi spiega che le scuole in Macedonia sono distinte in scuole macedoni e albanesi, perciò l’alfabeto con il quale i bambini studiano dipende dalla scuola che frequentano. I bambini albanesi imparano per primo l’alfabeto latino.
Dopo aver portato a casa i colleghi, Arsim mi dà un passaggio fino in centro. Noto parecchi negozi con le insegne in albanese, infatti la popolazione di Kumanovo è per il 30-40 per cento di origine albanese. In centro a Kumanovo nevica.
12:36
Ho percorso 420 chilometri in 72 ore nette, e pensavo che servissero quattro o cinque giorni per fare il giro della Macedonia del Nord. Fantastico.
È giunto il momento di disfarmi del cartone preso a Ohrid. Ringrazio il signor Ferrero per avermi accompagnato in questi 250 chilometri e faccio una foto alla mia piccola libreria di parole in cirillico.
Dal centro mi dirigo a Nordest, verso un paese satellite della città principale. Lungo la via evito di pestare delle interiora fresche fresche gettate a bordo strada, e alzando lo sguardo noto subito la pelle del cinghiale a cui appartenevano. Resisto alla tentazione di conciare la pelle e proseguo.
Esco da Kumànovo e faccio un po’ di spesa per stasera, perché progetto di cenare a Kòkino, se riesco ad arrivarci. Prima di andarmene dal market faccio anche scorta di cartone, in modo da averne abbastanza per arrivare a Sofia domani. Mentre ritaglio i miei cartelli ci sono il proprietario è un cliente che commentano, incuriositi, e mi fanno qualche domanda. No, non mi serve per dormirci sopra, è per l’autostop.
Il paese è sviluppato lungo la strada che porta la Mlado Nagorichane, la mia destinazione intermedia, quindi ogni tanto mi fermo e provo a fare fermare qualcuno. In un attimo accosta Brane, un uomo simpatico che si offre di portarmi fino in fondo al paese. Gli piace pescare e ha la sua attrezzatura qui in macchina. Il suo nome è russo, per esteso sarebbe (voce baritonale) Braneslav, per gli amici Brane. Mi augura buona fortuna e mi lascia appena prima del semaforo provvisorio di un cantiere stradale, con tanto di piazzola laterale, un posto perfetto, in cui gli autisti hanno il tempo di riflettere sul da farsi. Ora sta nevicando bene.
Al secondo verde, una macchina si ferma e mi fa salire. A bordo ci sono Mladen e Stefan, increduli nel vedere un turista in inverno che fa l’autostop con questo tempo. È per questo che si sono fermati subito, ed era mia precisa intenzione fare colpo in questo modo.
Come se non bastasse, la mia destinazione li stupisce ancora di più. “Kòkino è su una montagna, si trova a mille metri e c’è la neve lassù, sei sicuro di andarci?” Non avevo fatto caso alla quota, ma non mi lascio certo scomporre da una spolverata di neve. Certo che sono sicuro, facendo due conti dovrebbe esserci circa meno tre, l’ho già affrontato altre volte. Alla peggio faccio dietro-front e torno giù a piedi lungo la strada asfaltata, oppure busso a qualche porta nel paese di Kokino.
Meraviglia delle meraviglie, loro stanno girando senza una meta precisa, quindi mi possono portare dove voglio. Il motivo è che oggi è il compleanno di Mladen che compie trent’anni e ha un figlio. Gli faccio gli auguri e i complimenti, ma lui si schernisce e chiede a Stefan quanti figli ha lui: cinque.
Un inciso importante, gli accenti. Non riesco ad azzeccarne uno, specialmente con i toponimi. Io avrei detto Kumanòvo, Kratòvo e Kokìno, invece si dice Kumànovo, Kràtovo e Kòkino. Però non si dice Mlado Nagorìchane, è Nagorichàne.
Comunque sia, facciamo insieme quasi trenta chilometri, mentre Mladen mi racconta la sua storia, che mi sconvolge di più ad ogni frase che aggiunge.
Innanzitutto lui ha lavorato per sei anni in Afghanistan, per una compagnia che fornisce rifornimenti alle basi militari. È rientrato due anni fa a causa della pandemia e ha messo su famiglia qui in Macedonia. Naturalmente dopo aver passato così tanti anni laggiù ha passato un bel po’ di tempo a chiedersi che cosa ci fa qui. Avendo avuto a che fare con i militari americani e italiani parla perfettamente inglese e sa anche un pochino di italiano. In Afghanistan ha visto di quali attrezzature speciali dispongono le forze armate e non credeva ai propri occhi. Parla specialmente dei droni ricognitori e degli altri mezzi che permettono di ottenere informazioni tattiche. Permettono di sapere tutto, si può vedere letteralmente qualsiasi cosa.
Come si può immaginare, il popolo afgano non è composto di guerriglieri e rivoluzionarie, ma di famiglie che cercano di vivere pacificamente nonostante la presenza dei talebani.
Ora viene la seconda parte interessante, come ha fatto a venirgli in mente di fare richiesta per un lavoro del genere? Glielo ha consigliato suo padre, ovvio no?
Suo padre ha lavorato per la base militare italiana K4 in Kosovo, la stessa di Mentor e Sara, e tramite questa è venuto a sapere di questa opportunità, che come si può immaginare era anche pagata molto bene.
Stefan non parla quasi per niente perché sa poco l’inglese. A metà strada facciamo una sosta in un market a comprare da bere. Per me niente alcol, non quando vado in montagna. Stefan scende e compra una bottiglietta di coca-cola per ciascuno.
Poco più avanti attraversiamo un ponte su un torrente. Mladen quasi non lo riconosce, perché è stata asportata un’enorme quantità di terreno e l’alveo è stato allargato a dismisura rispetto a un mese fa. Non ci sono norme per la salvaguardia di questi ambienti, perciò qui è concesso asportare e rivendere ghiaia e terreno come avveniva a Reggio cinquant’anni fa, senza criterio.
La strada sale, sale e a un certo punto il gpl nel serbatoio inizia a ridursi notevolmente, quindi Mladen mi porta avanti ancora un paio di minuti e poi mi fa scendere, da qui dovrei riuscire ad arrivare in cima prima che venga buio.
15:55
Ripartono e rimango solo nella magia del paesaggio innevato. Gambe in spalla, meglio sbrigarsi ad arrivare prima che cali la luce. Lungo la via trovo il cartello per Kokino decorato con lunghi candelotti di ghiaccio, come se fossimo in Norvegia. In realtà ci sono tre dita di neve fresca, quel tanto che basta per fare atmosfera.
La strada sale ancora fino al cartello che indica il sentiero, mancano solo cinquecento metri. L’osservatorio megalitico di Kokino si trova sulla cima rocciosa di un monte, su cui sono stati individuati cinque piazzole di osservazione.
Seguo il sentiero andando un po’ a intuito, aiutato dalle indicazioni di legno, e finalmente arrivo alla piazzola C, quella più importante e caratterizzata da quattro grandi sedili di pietra. Ci dovrebbero essere anche dei segni sul pavimento di roccia, ma è tutto coperto dalla neve.
16:52
Sul versante Nordovest del monte soffia un vento impetuoso, quindi l’unica soluzione è accamparsi a Sudest, solo che qui ci sono solo alcuni alberi solitari, mi sa che devo r
tornare indietro duecento metri, dove c’era un pezzo di bosco con delle grosse querce.
Ora è buio, quindi accendo la torcia ed esploro i dintorni, tanto sono accaldato a causa della salita e il vento freddo mi aiuta a non sudare. C’è una quercia proprio sotto una piccola parete di roccia, probabilmente è quello che mi serve.
Questa montagna è stata scelta come osservatorio per via della sua particolare struttura rocciosa a colonne. La cresta frastagliata è perfetta per usare le fessure tra le rocce appuntite come riferimento per sapere dove sorgerà il sole in certi giorni particolari.
Questa stessa proprietà mi può tornare molto utile, perché sono anni che mi piacerebbe togliermi lo sfizio di appendere l’amaca alle rocce. Lo so che è una stupidaggine, ma ognuno ha le aspirazioni che si merita.
Scendo subito a ispezionare la parete di roccia, che ha proprio uno spuntone cilindrico all’altezza giusta e inoltre qui non c’è vento, meraviglioso. Procedo subito a istallare la corda, l’amaca e il telo anti-vento, perché comunque qualche folata ogni tanto arriva. La temperatura deve essere sotto zero perché il telo impermeabile, ancora umido da stamattina, ghiaccia appena lo srotolo, diventando bello croccante. Purtroppo non ho modo di sapere quanto freddo fa perché ho perso le tracce del termometro da diversi giorni. Probabilmente l’ho perso a Gostivar quando l’ho incastrato nello spallaccio dello zaino. Prima di partire non l’ho notato ed è caduto mentre mi sono caricato lo zaino in spalla.
C’è anche un pratico scalino di roccia su ci appoggiare le scarpe e lo zaino, in modo da averli proprio accanto all’amaca, all’altezza ideale.
Le stelle non si vedono, ma la neve brilla alla luce della torcia e si percepisce il fascino di questo posto antico.
Entro in amaca a cenare con i panini acquistati prima. In maniera del tutto casuale, assolutamente imprevedibile e indipendente da me, ho l’opportunità di bere un cochino a Kokino. Che altro posso desiderare, una vasca per idromassaggio?
Finito di mangiare, mi rintano al calduccio nel sacco a pelo.
19:25
Che cos’è tutto questo vento? Mi ha trovato, e non ci ha messo neanche molto. La direzione prevalente deve essere ancora quella di prima, il problema è che probabilmente la vetta crea delle turbolenze che a tratti fanno arrivare il vento dritto da SSE, incanalandosi nel telo e scuotendolo tutto. Le pietre che ho usato per ancorare gli angoli a terra si sollevano e alla lunga lasceranno liberi i tiranti. Come ho fatto la seconda notte a Kotor, lego i tiranti alla corda portante, formando un involucro intorno all’amaca. Dopo parecchi aggiustamenti l’impianto è solido, anche se il vento ogni tanto trova comunque il modo di entrare e sparare in giro cristalli di ghiaccio. Almeno non mi devo più preoccupare che i strappino gli occhielli del telone, anche se ora uscire di qui non sarà semplicissimo.
Questo vento freddo disturba la scrittura, meglio cercare di dormire.

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