Il pedigree di Salsiña

Lezione di ieri: controlla sempre quanto ti danno di resto, anche quando hai fame.
Venerdì 24/12/2021 10:52 Istanbul (Turchia)
Ho ancora sete, l’esperimento del latte è decisamente fallito, non so perché. Stasera vado a comprare dell’acqua e basta. Qui non la vendono solo in bottiglia, ma anche in taniche da 5 a 12 litri che si chiamano damacana (si pronuncia damagiana). Scrivo un altro po’ e poi parto, altrimenti viene sera e sono ancora qui.
13:25
Mentre passo vicino a piazza Taksim assisto ad una manovra acrobatica di uno dei venditori di “gelato turco”. Ce ne sono tantissimi in giro, vestiti in abiti tradizionali e intenti a tamburellare sul piano della gelateria con una lunga spatola di metallo. Di tanto in tanto interrompono il baccano ritmato per rimestare il gelato dentro i bidoni di latta, ma sembra che lo stiano comprimendo. Questa volta il gelataio in questione conficca la spatola nel gelato, estrae un cilindro color turchese dal bidone e ve lo fa ricadere dopo averlo fatto girare su se stesso. Quello che hai visto non era gelato, aveva più la consistenza della pasta per fare le caramelle. Un altro elemento buffo del cibo da asporto di Istanbul sono dei banchetti rotondi che vendono cozze ripiene di riso e limoni. Per il resto c’è pieno di venditori di ciabelle di pane o di caldarroste e pannocchie.
La strada di oggi porta a Galata Kulesi, una torre di avvistamento che sette secoli fa era l’edificio più alto di Costantinopoli. Sam mi ha consigliato un posto sopraelevato da cui si può vedere bene la torre. Si tratta della terrazza panoramica di un albergo, alla quale si può accedere liberamente perché il bar che c’è lassù è aperto anche ai turisti di passaggio, non solo agli ospiti. Dopo la torre ritorno nel Corno d’Oro per vedere la parte più a Ovest, con un acquedotto romano e qualche moschea che ieri mi è sfuggita. Nei pressi dell’acquedotto passo anche da un edificio indicato come “chiesa moschea”. È chiuso, ma da fuori conferma l’ipotesi di ieri, la differenza sta nella mezzaluna e nei minareti.
Visito altre moschee, fin quasi al tramonto. Quando esco dall’ultima il sole è già pericolosamente vicino all’orizzonte e mi trovo la via chiusa dalla strada costiera. Bisogna prendere una lunga deviazione per superare la barriera tra i due sensi di marcia e arrivo correndo sulla banchina proprio quando il sole è ridotto ad un semicerchio e stra tramontando sull’orizzonte di case e grattacieli che si scorge in lontananza oltre il golfo. Come ho notato prima dall’albergo vicino a Galata Kulesi, oggi il mare è agitato e le onde di un metro si infrangono ai piedi della banchina arrivano fin quassù, sollevando alti spruzzi.
È ora di rientrare, ma non prima di aver fatto una seconda visita a Hagia Sofia, una per la cattedrale e una per la moschea, come dico a me stesso mentre risalgo la collina. L’ho vista così tante volte in fotografia che almeno un paio di visite sono d’obbligo, per percepire l’atmosfera del luogo al di là dello stupore iniziale.
È sempre maestosa, anche adesso che il soffitto è nascosto nell’ombra e il soffitto è solo una sfumatura. È impressionante come i mosaici della volta siano così lontani dall’osservatore da apparire dipinti. Nonostante i miei sforzi stento ancora a credere che siano fatti di tessere.
È ora di rientrare perché senza il sole inizia a fare un po’ freddo, ma prima passo ad assaggiare il çiğ köfte (si pronuncia cii-kofté, la ğ allunga la vocale precedente). Si tratta di una sorta di kebap, ma al posto della carne c’è un impasto fatto di bulgùr, cereali sbriciolati, e varie spezie. Una volta si faceva con la carne cruda, ma per ragioni di sicurezza alimentare la versione tradizionale è stata vietata. Vado in un post che mi ha consigliato il buon Sam, dove vendono l’impasto bruno-rossiccio del çiğ köfte a ciclo continuo.
Questo piccolo locale si trova in un vicolo e non lo avrei mai notato da solo, ma lo si riconosce perché c’è la fila. Ordino la seconda voce del menù, perché la prima da 9 lire mi sembra decisamente troppo economica per la mia fame. Mi danno una vaschetta con un sacco di çiğ köfte, insalata e yufka, il pane piatto per fare il rotolo. Non è quello che intendevo, ma ce n’è un bel po’, vado a mangiarlo in un posto meno affollato. Non costa niente, ma è proprio buono, forse anche perché ho una fame da lupi. Torno indietro a prenderne un altro, stavolta ho capito che il rotolo si chiama dürüm ed è proprio quello da nove lire, che in questo momento valgono 70 centesimi di euro.
Pieno di çiğ köfte e di soddisfazione, posso tornare verso casa, ma prima bisogna c’è mi fermi a parlare con Aydin al negozio Türkcell. La pellicola che mi hanno dato si sta staccando su tutti i lati.
19:22
Al negozio per fortuna ci sono gli stessi commessi di tre giorni fa e naturalmente si ricordano di me, ci siamo anche scambiati i contatti. Però non mi possono dare un’altra pellicola, me ne hanno già data una gratis e poi il loro capo fa delle storie. Non lo si può chiamare, perché è un uomo ricco e molto impegnato che non ha tempo per noi babbani.
Ho una mamma che è molto brava ad insistere e a forza di frequentare le segreterie scolastiche anch’io ho imparato il mestiere, anche se sono troppo accondiscendente per raggiungere certi livelli. Alla fine chiamano un altro negozio Türkcell distante duecento metri, dove per cento lire mi possono ritagliano le pellicole su misura, ma date le circostanze lo possono fare per cinquanta lire.
Mi dirigo là sentendo puzza di bruciato dal momento in cui esco dalla porta. Infatti nell’altro negozio non sanno proprio niente di questo sconto di cui parla Aydin, ma sicuramente è più facile indurmi a sborsare altre cinquanta lire in più dopo le prime cinquanta lire in più. Faccio chiamare l’altro negozio e il caro Aydin mi dice che non può farci niente e mi consiglia di pagare queste cento lire. Bel consiglio.
Dopo un po’ di trattative in vivavoce troviamo un nuovo accordo, metà paga lui e metà io, quando ho finito posso tornare da lui in negozio. Sniff sniff, c’è qualcosa che brucia. “Aydin, facciamo che vengo lì subito e poi torno qua.” “Ma no, vieni dopo, ti stancherai” Cammino da sei ore, non credo di stancarmi.
Il processo di sostituzione è infinito, bisogna stampare e attaccare quattro pellicole prima di ottenere un buon risultato, perché lo schermo di questo cellulare Oukitel è incurvato ai bordi e bisogna scaldare e incollare la carboceramoca centimetro per centimetro. Per mia fortuna il commesso che c’è qui ha pazienza infinita e del talento artistico, dopo almeno mezz’ora mi consegna un risultato perfetto.
Ah, dimenticavo, la mascherina è obbligatoria all’aperto, ma per entrare nei negozi si può togliere perché altrimenti come si fa a parlare con i commessi?
Anche questa è stata una giornata intensa e sono soddisfatto della visita, alla prossima uscita metterò piede in Asia, per la prima volta.
A casa Asal e Sam sono impegnati ciascuno per conto proprio e io intanto mi preparo la cena, insieme a Salsiña che sale sul piano cottura, salta sul frigo e mi scruta dall’alto. “Giusto Sam, a proposito, a che varietà di gatto appartiene Salsiña?” Non capisce la domanda e mi guarda perplesso. “Voglio dire, di che razza è?” “Razza? Uhm, Gattodistrada?”
Sul serio? Cioè mi stai dicendo che questa meraviglia pelosa è un gatto qualsiasi trovato in giro per Istanbul? “Sì, è un gatto di strada nutrito bene.” Sono un po’ sconvolto, questa risposta non me l’aspettavo proprio.

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