Il monastero di re Davide a Gelati

Lezione di ieri: chi subisce un genocidio spesso si rifà sui vicini.
Martedì 09/02/2022 9:50 Ureki (Georgia)
Oggi si va verso l’interno, a Kutaisi. È facile pronunciare Kutaisi con la s di casa, ma è da quando sono uscito dall’Italia che si legge sempre e solo come la esse di Sassari. È questione di abituarsi a distinguere due suoni piuttosto diversi tra loro.
Ora che ci sono sempre avanzi della cena precedente, la colazione è decisamente meno zuccherosa e più affrontabile per me che a’n sûn mia un gran dolciarî (non sono un appassionato di dolci), come mi dice sempre lo zio Mario.
Partiamo verso nuove buche, attraversando Lanchkhuti e la sua rete di distribuzione del gas. In Georgia infatti la rete del gas è prevalentemente fuori terra e parallela alle strade, su entrambi i lati. È formata da tubi rossi o gialli saldati insieme e sorretti da corti pali verticali. Ogni volta che viene attraversato un passo carrabile la tubatura curva verso l’alto con un gomito, per permettere il passaggio delle auto.
Temuri schiva la maggior parte delle buche, riempiendo le restanti con il solito “oh sheni…”, fino a Kutaisi. Attraversiamo la città, che ha un centro storico interessante, ma ci dirigiamo direttamente verso il monastero di MoTSameta. Ormai la TS eiettiva mi viene bene, è la P che mi fa tribolare.
Lali e io percorriamo gli ultimi trecento metri di selciato a piedi e Temuri ci precede in macchina, fino al monastero costruito su un’ansa del torrente TSQalTSitela (la Q è semplicemente il suono puro proveniente dalla glottide, che si può produrre anche nel bel mezzo di uno sbadiglio.)
C’è un arco di ingresso che porta al parcheggio, dal quale si raggiunge un ponte coperto di pietra, che raggiunge il sagrato del monastero. Facciamo un giro tutto intorno, osservando il panorama con il binocolo che oggi mi sono ricordato di portare.
Lali decide di darmi una dimostrazione sull’utilizzo del pozzo, cala il secchio di latta e lo recupera. C’è una tazza accanto al pozzo, ma non mi sembra il caso di sporcare la tazza ai monaci, meglio prendere l’acqua con le mani. Sbagliato. Forse l’acqua è benedetta, forse le mi mani sono immonde, fatto sta che le mie guide mi spiegano che non si fa e che bisogna usare la tazza. Buono a sapersi.
Entriamo nella piccola chiesa del monastero, interamente affrescata, a pregare e accendere un po’ di candele gialle. Ci sono anche tre monaci in preghiera, di cui uno oltre l’iconostasi che sta sparando una raffica di preghiere ad una velocità inaudita. Anche Lali tende ad andare in apnea quando parla velocemente al telefono, ma qui siamo proprio su un altro piano.
Dopo la visita torniamo al parcheggio, scendiamo al centro della valle per risalire più a Nord fino al monastero dedicato a Davide Gelati, il mio amico di Rivalta. Se si presentasse qui come David Ghelati probabilmente gli consegnerebbero le chiavi seduta stante. Non so da dove derivi il nome del monastero, ma di fatto qui è sepolto nientemeno che re David il Costruttore, colui che fece della Georgia un regno saldo e prestigioso, nonché un regno cristiano.
Per prima cosa visitiamo una cappella sul.retro del monastero. Dopo qualche preghiera e altrettante candele ci fermiamo a parlare con la signora che vende candele e souvenir in un angolo della chiesa, così i miei ciceroni hanno l’occasione di presentarmi. La suora non parla solo georgiano e russo, ma anche francese, perciò mi faccio raccontare degli anni che ha trascorso con altre sorelle in Francia. Si ricorda ben più francese di me, ma per stavolta mi basta capire. Inizia a piovere, perciò facciamo una visita alla tomba coperta di re David. diversamente dal mausoleo che ci si aspetterebbe per un re di così chiara fama, sopra al suo corpo c’è solo una lastra di pietra incisa, posta lì perché i sudditi la potessero toccare. Evidentemente aveva sottostimato l’usura della pietra dovuta al calpestio, perciò ora la lapide è recintata in modo che nessuno ci cammini sopra. Poco distante c’è un grande edificio lungo, che racchiude un’unica sala, forse un refettorio, che al momento ospita una mostra d’arte. C’è anche un piano sotterraneo, una sorta di cripta, quindi di nascosto scendiamo attraverso una botola per andare a vedere. C’è solo una stanzetta vuota, quindi risaliamo la scala a pioli.
Entrando nel monastero, questo è interamente dipinto come MoTSameta, ma è in corso di restauro perché gran parte degli affreschi è scrostata e ha bisogno delle manine di un esperto. La struttura è decisamente più imponente, anche i muri sono decisamente più massicci e circondati da impalcature perché i georgiani stanno facendo un lavoro in grande stile.
18:10
Per ultimo andiamo alla grotta di Tetra, ma è già chiusa. Questo non scuote minimamente la caparbietà dei georgiani, infatti Lali e Temuri decidono che torneremo a Kutaisi anche domani, apposta per visitare una grotta. Ora, io capisco che il ministro del mangiare è sicuramente in buoni rapporti con il ministro dei trasporti, ma domani possiamo anche andare in un posto più vicino. No, non se ne parla neanche, bisogna tornare qui e visitare la grotta.
Mi arrendo e rientriamo a casa guidando verso il tramonto.
È troppo tardi per cucinare la gallina a gambe in su che spunta dal lavandino, quindi ceniamo con würstel, patate e il formaggio e la salsiccia che ho acquistato a Hopa. Stasera uccidiamo la bottiglietta di vodka e per il resto si beve vino. È vero che i georgiani bevono tutto d’un fiato, ma i bicchieri in questa casa sono piccoli piccoli.
Per provarmi che non è sempre così Temuri cerca online un video di un mastro bevitore che bevendo da una brocca fa secchi due litri in un colpo solo. Oltre a questo c’è una lunga serie di video di cene e di matrimoni in cui qualcuno si alza in piedi e tracanna vino da un enorme corno potorio, che è il contenitore utilizzato tradizionalmente.
Ora che l’ultima fatica del giorno è finita, si può fare una telefonata e qualche lezione di georgiano, per finire di sostituire il vocabolario turco.
Come al solito, le confezioni di plastica del cibo di stasera finiscono nella stufa, in barba alla qualità dell’aria e all’etica professionale di Davoz, un amico conosciuto a Sologno che si opponeva strenuamente a fare esperimenti piromani con i contenitori di plastica. Almeno non stiamo bruciando PVC, e comunque dubito che la raccolta dei rifiuti funzioni molto bene da queste parti.
Il rinforzino prima di andare a letto uccide la mia resistenza alla stanchezza e quindi anche stasera scrivo due righe e mi addormento.

2 commenti su “Il monastero di re Davide a Gelati”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *