Lezione di ieri: spesso si sopravvaluta l’equipaggiamento minimo per compiere una missione.
Mercoledì 23/08/2023 Port Denarau (Fiji)
A metà pomeriggio il serbatoio di alluminio è stato già aggiustato e ricoperto di vernice protettiva. Lo scompartimento è stato rivestito di resina epossidica per fermare la marcescenza del compensato. Inoltre, non sapendo da dove provenga l’infiltrazione di acqua marina, abbiamo trapanato un foro di drenaggio nel punto più basso.
La diagnosi del saldatore che ha riparato il danno è sconvolgente, il serbatoio aveva alla base un buco grosso quanto un dito. Ciononostante, non ci siamo accorti di niente per mesi. La spiegazione più probabile è che l’acqua di mare abbia corroso l’alluminio, ma il gasolio in uscita è stato bloccato dal poliuretano. Nel tempo, il carburante ha sciolto la schiuma, creando una sorta di pasta che ha otturato il buco. Solo poche gocce di gasolio sono sfuggite, galleggiando sopra l’acqua salata e sciogliendo parzialmente anche il poliuretano situato più in alto, il che spiega cosa fosse quel viscido miscuglio che ho raccolto dalle pareti dello scompartimento. Speriamo che la riparazione regga fino a destinazione.
Terminati i lavori di oggi, facciamo due chiacchiere con Thomas, il nostro vicino di molo. È assunto come marinaio a bordo di una nave a vele quadre, utilizzata per scopi didattici e ricerche oceanografiche. A bordo sono quasi in trenta. La barca, battente bandiera americana, si distingue a colpo d’occhio per via dei lunghi pennoni di traverso ai due alberi. È interessante notare che queste vele quadre si aprono e chiudono orizzontalmente come le tende della doccia, invece di essere raccolte lungo il pennone. Thomas è californiano, ci racconta che non è la prima volta che si imbarca in un’avventura così, nonostante la paga sia inferiore ad un lavoro sulla terraferma. Questa volta si è imbarcato alle Hawaii, attraversando il Pacifico settentrionale fino a qui. Avevano a bordo uno studente che ha scritto una tesi sulla cartografia nautica. Il potente sonar a bordo ha permesso di confrontare la profondità segnata sulle carte nautiche e la profondità rilevata dal sonar. Immancabilmente, le differenze sono notevoli. La ragione non sono i mutamenti del fondale dell’oceano, ma più probabilmente le tecnologie utilizzate per mapparlo. Certe zone remote dell’oceano, fuori dalle rotte commerciali, sono state mappate una volta e poi più, chissà quanti decenni fa.
Adesso la barca resterà in porto fino a ottobre, quindi non c’è molto da fare, solo manutenzione. È molto interessante studiare il funzionamento e gli accorgimenti adottati su una nave a vele quadre. Ad esempio, ci sono le sartie di corda per arrampicarsi sulle crocette. Noi abbiamo dei pioli avvitati sull’albero, ma non sono la stessa cosa. Inoltre, le sartie di poppa hanno dei buffi ciuffi pelosi, a intervalli regolari. Thomas ci spiega che servono a prevenire il logorio della vela di mezzana, perché le stecche rigide dentro la vela non sfreghino direttamente contro la sartia.
Ora viene la domanda migliore, che mi hanno posto più o meno tutti quando sono venuti a navigare sul lago di Garda. I veliero moderni hanno dismesso le vele quadre per passare alle vele triangolari. La differenza principale è che le vele quadre permettono di navigare solo alle andature portanti, cioè con il vento che proviene dai lati o da dietro, mentre con le vele triangolari si può anche risalire il vento. Richiede pazienza, ma navigando a zig zag si può davvero risalire il vento. Per essere precisi i velieri storici avevano anche alcune vele triangolari, ma la propulsione principale era data dalle vele quadre. Per questo motivo, capitava che una nave dovesse attendere che il vento girasse, prima di poter procedere nella direzione desiderata. Quindi la domanda è: perché noi usiamo le vele triangolari e i marinai di una volta invece no? Proprio come me, Thomas non sa la risposta. Non è una questione di tecnologia velica, basta tagliare la tela a triangolo invece che a rettangolo. Sono sicuro che nel 1600 c’era almeno un pazzo, deriso da tutti, che se ne andava in giro con vele triangolari. Forse ha a che fare con la deriva, quella pinna al centro dello scafo che serve per mantenere la direzione della barca quando si va controvento. Senza di quella la barca scarroccia, cioè va alla deriva lateralmente, e i velieri storici non ce l’hanno. È possibile che nessuno l’avesse ancora inventata. Inoltre, senza un pesante contrappeso sotto la nave, chi risale il vento rischia di ribaltarsi. Tuttavia la spiegazione resta ancora un mistero, Thomas chiederà lumi al capitano.
Prima che tramonti il sole, vado a raccogliere noci di cocco fresche per tutto l’equipaggio, per iniziare la navigazione ai tropici con il piede giusto. Ho anche un grosso germoglio di cocco, che pianterò nel campo da golf. Mentre ritorno al marina con le noci di cocco che mi cascano da tutte le parti, viene in mio soccorso un tassista figiano, stupito di vedere un europeo in grado di scalare i cocchi. Mi accorcia la strada di parecchio, così in un batter d’occhio sono di nuovo a bordo. Mentre cercavo i cocchi, ho anche rimediato una ciabatta sinistra e parecchie palline da golf.
Noi dell’equipaggio siamo pronti per una serata film, così proiettiamo Cast Away. Non è una scelta casuale, tra pochi giorni saremo diretti verso l’isola dove è stato girato il film. Lo so che pensavate che Chuck Noland fosse davvero naufragato su un’isola deserta seicento miglia a Sudest delle isole Cook, ma purtroppo in quella parte di oceano c’è solo acqua. Il film è stato girato alle Fiji, poco lontano da qui.
La mattina seguente, siamo di nuovo di fretta, perché il marina è al completo e ci fa sloggiare. Magali, Raph e io andiamo a Nadi un’ultima volta, per comprare delle nuove provviste. Già che ci siamo bisogna trovare un attrezzo che considero imprescindibile: il raschietto per grattugiare il cocco. Oltre a questo, cerco anche dei quaderni a righe per il mio piccolo progetto poco ambizioso di navigazione senza GPS. Torniamo a bordo carichi di cibo e poco più tardi abbiamo già mollato gli ormeggi. Oggi è già tardi per andare lontano, quindi restiamo in rada davanti alla foce del fiume di Port Denarau.