Il cavillo della pasta

Lezione di ieri: prendere trasporti pubblici a caso può regalare grandi emozioni.
Martedì 28/12/2021 10:12 Istanbul (Turchia)
La pressione della caldaia è tornata normale, ma Sam è già uscito quindi non so come abbia fatto. È tardi come al solito e non ho ancora pubblicato niente da giorni e giorni, anche se non me ne sono accorto. A Natale ero impegnato, Santo Stefano è scivolato via e ieri sono arrivato quasi in fondo a due post che finirò oggi. Poi è bene pranzare prima di partire, quindi prima di qualche ora non sarò fuori.
Faccio tutto piano piano, dopo così tanti giorni di asfalto e cemento sogno di calpestare di nuovo il terreno e l’erba. L’edilizia di Istanbul è meravigliosa, ma il lato asiatico è piuttosto povero di monumenti e non è molto allettante andare a vedere un altro mercato a Üsküdar o i murales a Kadıköy. Belli eh, però da giorni sento il bisogno di trovarmi in un luogo ospitale in cui poter dire “Se sono stanco campeggio qui.” Però non si può lasciare Istanbul senza aver esplorato un minimo anche l’altra metà, su su, muoviti.
13:02
Molto bene, oggi se tutto va bene ce la faccio davvero ad attraversare il Bosforo e arrivare a Üsküdar, so già dove andare. Apparentemente non c’è così tanto da vedere sul lato asiatico, diciamo che si tratta prevalentemente del faro Kız Kulesi, delle vie del mercato di Üsküdar e dei murales di Kadıköy. (La lettera i senza puntino equivale grossomodo alla ë che si usa in Kosovo. Non è muta, serve per isolare il suono delle consonanti come quando pronunciamo l’alfabeto a-b-c-d invece che a-bi-ci-di. Quindi “b-c-d” in turco sarebbe scritto “bı-çı-dı”. Non si pronuncia Kadköy, ma Ka-dı-köy.) Inizio l’esplorazione andando a Sud sul lungomare pedonale, in modo da passare vicino al terzo faro più antico del Mediterraneo, Kız Kulesi o Torre delle Vergini. La giornata è ottima, con solo un po’di nuvole all’orizzonte. Raggiungo la facoltà di medicina, situata in un edificio storico, e il sito archeologico della stazione Haydarpaşa, che è chiusa per restauri e rivestita di ponteggi. Tiro dritto verso Kadıköy (Ka-dı-köy). So di una via in cui ci sono diversi murales e poi basta avere per le strade con il naso all’insù, cercando le pitture rupestri sulle facciate laterali degli edifici. Sono davvero impressionanti, a prima vista non ci si fa caso, ma dipingere un intero palazzo deve essere un lavoro titanico, anche usando un rullo. Poi bisogna rispettare le proporzioni senza avere una visione d’insieme. Non è una tela da pittore, questo andrebbe bene per i giganti. Bene, basta, la prossima meta è la torre radio che sorge in cima ad una collina. Non penso di andare fino in cima, mi basta arrivare sotto alla torre per vedere quanti sono 580 metri visti dal basso. Cerco di uscire dai vicoli dirigendomi verso la strada principale, passando in mezzo a due negozi di scarpe. Ci sono interi scaffali di scarpe, prevalentemente bianche, due muraglie di scarpe che si avvicinano l’uno all’altro, ora vedo un altro muro di scarpe bianche davanti a me, scarpe ovunque, sono in un vicolo cieco pieno di scarpe. La luce! Il passaggio è strettissimo, ma a dieci metri da me vedo la strada. La supero sgomitando un po’ e dietro di me si richiude i mare di scarpe, inghiottendo gli stolti che cercavano la giusta sfumatura di bianco.
Lungo la strada per la torre, sono fortunato e passo proprio accanto al più grande cimitero di Istanbul, che si chiama Karacaahmet (La c si pronuncia come un g dolce in turco, Karagiaahmet). Pare che in questo cimitero siano state sepolte un milione di persone. Non significa che c’è un milione di tombe, ma sicuramente è molto affollato. Per curiosità provo a entrare. Come già nel piccolo cimitero ortodosso di Meterizi, in Montenegro, anche qui le tombe tendono a saturare lo spazio disponibile, ma in modo imperfetto, perché sono tutte disallineate. Ben presto mi trovo in un passaggio cieco che finisce ad angolo e mi tocca camminare sulle tombe per uscirne. Sembra proprio che gli dispiaccia fare due tombe uguali e parallele, inoltre non si usa coprire la sepoltura con una lapide. Normalmente ci sono due cippi, uno che indica la testa e l’altro i piedi, infissi in un piccolo giardino, più o meno curato e decorato con piante ornamentali. In alcuni casi si è optato per il fico degli ottentotti (Carpobrotus sp.), che assomiglia a una pianta grassa perché ha delle foglie carnose a sezione triangolare e resiste ai peggiori maltrattamenti meteorologici. Non a caso si tratta di una pianta estremamente invasiva.
La torre Çamlica (si dice Ciamligia) è stata costruita in mezzo ad un parco pubblico in cima a una collina. Grazie alla collocazione panoramica, da qui riesco a vedere tutta la costa da Kadıköy alle isole Principe, mentre il sole tramonta sul mare, proiettando i propri raggi arancioni attraverso le nuvole circostanti. Aspetto che raggiunga l’orizzonte, ma un banco di nuvole fa calare il sipario dieci minuti prima del gran finale. Nella torre non è il caso di entrare, perché dovrei superare il controllo di sicurezza, come ieri quando hanno passato il mio marsupio sotto il metal detector prima di entrare in un giardino a Beşiktaş. Naturalmente hanno dovuto frugarci dentro perché hanno visto qualcosa si strano. Inizialmente ho pensato che fosse la bussola, che è grossa e quadrata e non si capisce che cos’è. Invece era il Victorinox, un’arma estremamente letale che infatti compare in tutti i film di Rambo ed era l’arma preferita di Saddam Hussein. Il poliziotto mi ha guardato male e ha chiesto “Come ti chiami?” “Riccardo” Non è la domanda che mi aspettavo, comunque piacere di conoscerti. Il mio nome in realtà serviva per personalizzare la frase successiva, che è stata “Riccardo, – parole turche incomprensibili.” Ha aperto google traduttore perché in inglese sa dire solo come ti chiami, poi, mentre appoggiando il coltellino dietro di sé, mi ha mostrato il cellulare con il messaggio “You can take it out”. Che cosa vorrà dire? Letteralmente vuol dire che lo posso tirare fuori, oppure intende dire che posso riprenderlo all’uscita, o magari che devo andarmene subito e portarlo fuori di qui. Quella che preferisco è la seconda perché è l’unica che mi permette di riaverlo subito senza perderlo di vista. Glielo ho spiegato a gesti e con mio immenso sollievo mi ha restituito il mio adorato. Stamattina prima di uscire ho tolto il coltellino dal marsupio.
Poi ho guardato il marsupio senza coltello, il Victorinox, di nuovo il marsupio, e l’ho rimesso dentro. Il coltellino svizzero può avere un’infinità di usi e se qualcuno non mi vuole può fare senza di me. Ormai si è fatto tardi e non faccio in tempo a visitare un’altra enorme moschea qui vicino e un palazzo in riva al mare. Tiro dritto verso Üsküdar, così vedo la zona del mercato e lungo la strada faccio alcuni acquisti. La prima cosa che mi serve è un biglietto per Izmir, una tavola di parquet in finto legno come quella che ho usato da Rijeka a Bihać. Ne ho vista una scartata dai costruttori in un cantiere vicino alla torre. È un po’ pesante, ma visto che nei prossimi giorni è prevista un po’ di pioggia è bene che sia resistente all’acqua. Il secondo acquisto importante è un pennarello di una marca buona, perché non mi fido del pennarello cinese che ho comprato a Sofia per mezzo lev, 25 centesimi di euro. Il pennarello Pentel che sto usando da quando sono partito l’ho pagato esattamente dieci volte tanto. È vero che ho il pennarello di Sam, ma se non è nuovo magari si scarica prima del previsto. La verità è che voglio comprare il pennarello migliore che riesco a trovare per confrontare quello che si vende in Italia e in altri paesi più poveri. Dopo molte ricerche fatte in questi giorni, compro un pennarello indelebile Bic per nove lire. Vedremo se sarà all’altezza.
L’ultimo acquisto necessario è un nuovo cavetto micro USB in sostituzione di quello che ho perso a Perperikon. Ne compro uno di qualità, lungo un metro e grosso come un braccio, ma porta 3 Ampère, così la power bank si ricaricherà più rapidamente. Costa 25 lire e fa salire le mie spese di oggi a due euro e mezzo, incluso il traghetto. A forza di aspettare, un euro oggi vale di nuovo 15 lire.
19:02
Attraverso il resto del mercato di Üsküdar, ancora gremito di turisti e rientro a casa in traghetto, tra le luci gialle dei due continenti collegate dal rosso e blu del ponte sullo stretto.
Arrivo a casa, torno fuori a comprare le uova che mancano e mi metto all’opera. 200 grammi di farina, due uova e un mezzo guscio d’acqua. Anzi no, facciamo le dosi doppie così avanzano un po’ di tagliatelle per un’altra volta. È così, stasera sono di fretta perché devo preparare la pasta all’uovo. È vero, a Sofia ho scritto che all’estero non compro la pasta e la pizza, aspetto di incontrarli per caso, ma questo non esclude che possa prepararli io. Ieri ho messo insieme dei vol-au-vent con la pasta brisée che agonizzava in frigo e stasera tagliatelle ai funghi. In questa casa si cucina molto poco, altrimenti. Mentre lavoro di mattarello viene il tecnico a fare una visita medica alla caldaia. Sam mi spiega che stamattina ha abbassato la pressione grazie alle istruzioni di un video didattico trovato su YouTube.
22:00
È pronto, olé! Le tagliatelle si sono appiccicate mentre ho scaldato l’acqua e staccarle è stato un lavoro un po’ grossolano, ma è una cosa che noto soprattutto io, in realtà vanno bene così, altrimenti avremmo mangiato alle undici.
Dopo cena spero che qualcuno nomini Pandemic per fare quella famosa partita, ma vedo molta stanchezza in giro e quindi lascio perdere, meglio scrivere che sono indietrissimo.

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