Ho trovato la chiave delle moschee

Lezione di ieri: da qui in poi iniziano i paesi disastrati, la Turchia è in Asia.
Giovedì 23/12/2021 10:44 Istanbul (Turchia)
Oggi esco, si inizia a visitare la parte europea della città. Ieri ho chiesto a Sam dove inizia l’Asia, perché non è tanto chiaro neanche a me. Pensavo di farla iniziare in Tracia, al confine con la Bulgaria, ma poi mi è sorto il dubbio c’è magari la Turchia consideri se stessa Europa e quindi arriverò in Asia una volta in Georgia. O magari il Caucaso è ancora Europa? Visto che l’Europa geografica si estende fino ai monti Urali alcuni potrebbero voler includere il Caucaso nel vecchio continente. Ma poi chi è dentro e chi è fuori? La Georgia sì e l’Azerbaijan no? Facciamola semplice, c’è un bellissimo passaggio navigabile che separa la i Balcani e l’Anatolia: se l’Asia non inizia lì, allora è tutta Europa. Che nessuno mi venga a parlare di Eurasia, perché sul tabellone di Risiko ci sono due continenti distinti.
Sam dice che i turchi con cui ha parlato si considerano europei e che ogni tanto quando va dall’altra parte del Bosforo chiede a qualcuno se si trova sul lato asiatico di Istanbul. “Certo.” “Grazie, quindi tu sei asiatico?”
Con tutto quello che hanno passato i turchi nel corso della modernizzazione forzata del secolo scorso, è comprensibile che a Istanbul si sentano europei. La morale è che sono ancora in Europa e ho appena deciso che sarò in Asia non appena metterò piede sulla terraferma al di là del Bosforo.
È meglio che finisca di scrivere prima di uscire, tanto qui il sole va giù con calma e senza zaino ho le ali ai piedi.
12:35
Per oggi resto in Europa e inizio la visita al Corno d’Oro, la parte europea di Costantinopoli in cui si trova la cattedrale di Santa Sofia, convertita in moschea, poi in museo e poi di nuovo in moschea, l’anno scorso.
No, non vado da nessuna parte, mi sono dimenticato la mascherina. Quando sono arrivato ieri l’altro non mi sono lasciato fregare come a Prishtina. Se un terzo delle persone ha la mascherina su, un terzo ce l’ha sotto il mento e un terzo è senza, vuol dire che c’è l’obbligo di mascherina anche all’aperto, non serve neanche controllare.
12:40
Adesso ho tutto. La strada però è lunga, bisogna scendere fino al mare e risalire il colle su cui si trova la parte più antica della città. Come mi ha fatto notare ieri Sam, le strade sono perfettamente pulite, nonostante la quasi totale assenza di cestini. Il merito è di un vero e proprio esercito di spazzini che ripuliscono con cura le vie durante la notte. A volte per sensibilizzare la popolazione riguardo al problema, si sospende questo servizio per qualche giorno, lasciando chee strade si riducano ad uno stato pietoso.
C’è un altro fatto preoccupante, cioè la totale assenza di cartone. La materia prima dei miei spostamenti si è volatilizzata, raccolta con cura dalle centinaia di spazzini che operano durante il giorno. Nel corso del viaggio ho detto addio per sempre alla raccolta differenziata da quando ho lasciato Rijeka, ma qui si ripresenta in una forma diversa. Gli abitanti gettano tutti i rifiuti nei cassonetti o verso sera li lasciano sulla strada per la raccolta porta a porta. I sacchetti dell’immondizia vengono raccolti dalla nettezza urbana, ma carta, cartone, plastica e metallo seguono un percorso differente. Un altro esercito di netturbini pattuglia la città trainando un carretto con un enorme sacco di 1,5 metri di lato per quasi due di altezza, cercando di riempirlo con i materiali riciclabili, che poi vengono conferiti in un qualche centro di raccolta apposito. L’età di questi lavoratori è variabile dagli 8 ai 70 anni a quanto vedo da quelli che incontro.
Nel frattempo mi inoltro lungo le strette strade di Istanbul, che dalla mappa sembrava piatta, ma in realtà è piuttosto ripida. Lungo la strada ci sono moltissimi cambiavalute con esposti i tassi di compravendita, che mi permettono di seguire l’andamento della lira durante la giornata. Da ieri l’altro siamo già passati da 12:1 a 13:1. Mi conviene pagare con le lire acquistate martedì e aspettare che la lira crolli di nuovo, tanto probabilmente lo farà. Mi disgusta un po’, ma sto già speculando sulle valute.
Ben prima di raggiungere il mare, inizia quello che io chiamo “il bazar in senso lato”. Il bazar in senso stretto è quello indicato sulle guide turistiche, il mercato coperto storico con i piccoli negozi che vendono cibo tipico, spezie, gioielleria e souvenir. Tuttavia negli ultimi cento o duecento anni l’agglomerato centrale di negozi si è espanso anche al di fuori del perimetro storico, costituendo appunto il bazar in senso lato.
Diversamente dalle grandi città italiane, qui i negozi non sono eterogenei, ma ogni isolato è specializzato in un tipo di merce diverso. Così attraverso la zona degli elettricisti, poi quella degli idraulici, giro a destra e trovo i negozi di lampadari e più avanti i negozi di attrezzatura da montagna.
Inizio ad avere una fame notevole ed entro in un posto qualsiasi a comprare un kebab. Non ho ancora capito se si chiami kebap, döner o dürüm, ma non è una richiesta difficile da esprimere in una città dove tutti parlano un po’ di inglese. Con gli occhi puntati sul cibo, non mi accorgo che il resto di 70 lire è composto da solo due banconote, una da 50 e una da 10. La prima volta che non controllo è anche la prima che mi fregano. Poco male, meglio impararlo qui dove dieci lire non valgono niente.
Il ponte Galata, abbastanza basso da assere aperto al passaggio pedonale, costituisce una breve pausa tra i negozi. In realtà non è vero perché sotto la strada c’è un secondo piano dedicato ai ristoranti. Dall’inizio alla fine, il parapetto del ponte è occupato da una fila di pescatori intenti a catturare piccoli pesci con la coda gialla. C’è addirittura un uomo che vende i sostegni portacanna da legare al parapetto del ponte. In fondo al ponte c’è anche un sosia di Che Guevara che si offre per fare una foto ricordo con i turisti. Sulla collina di fronte a me, interamente edificata, svettano le cupole di sei grandi moschee con quattro alti minareti agli angoli.
Oltre il ponte ricominciano i negozi, questa volta in zona pedonale. Mano a mano che la strada sale i negozi diventano più fitti e il fiume di gente rallenta a causa dell’attrito con gli argini, ingombri di mercanzie di ogni tipo. Quando ormai penso di essere vicino alla Spianata delle Moschee, mi si para davanti un portale con una grande scritta a caratteri dorati: “Gran bazar”.
Davanti a me si estende il mercato coperto, in cui i piccoli spazi occupati dai negozianti sono occupati da piramidi di oggetti multicolori, sacchetti di spezie o gioielli luccicanti. Sono in un ambiente chiuso, ma illuminato a giorno almeno quanto l’esterno. Giro un po’ a casaccio, ma continuando a salire, fiducioso che questo bazar abbia una fine e il soffitto a volte prima o poi termini. Al bazar di Istanbul si può trovare letteralmente qualsiasi cosa. Un acquario con dentro un gatto? Facilissimo, qui è così pieno di gatti che in cinque minuti sarebbe pronto e impacchettato.
15:10
Ecco la Spianata delle Moschee e la celeberrima Hagia Sofia o Santa Sofia o come la si vuole chiamare. Dall’esterno pare una cittadella fortificata, una roccaforte di piccole cupole e cornici asserragliate a difendere il cupolone centrale, costruito in cima a questa montagna di mattoni. È da un mese e mezzo che vedo delle moschee, ma non ci sono ancora entrato. Non so perché, quando ci passo davanti non ci sono altri turisti che entrano per farmi capire che cosa devo fare. Basta togliersi le scarpe o bisogna fare le abluzioni, o una via di mezzo? Adesso è il momento di scoprirlo, perché Hagia Sofia è piena di turisti. È molto semplice, basta togliersi le scarpe ed entrare, proprio come ci si toglie il cappello prima di entrare in chiesa.
Proprio sopra al corridoio di ingresso c’è un mosaico cristiano, ripulito dall’intonaco che era stato aggiunto dopo la conquista di Costantinopoli da parte dell’impero ottomano.
Varcata la soglia del portale di accesso, si spalanca un ambiente immenso, decisamente più grande di quanto i libri di storia dell’arte possano far immaginare. Adesso che è stato rimosso l’altare e le icone, probabilmente la grandezza dell’edificio è ancora più suggestiva. Guardando meglio il bordo della cupola non è perfettamente circolare, anzi non è affatto circolare. Quello è il marchio lasciato dal terremoto del 558, che fece crollare la volta danneggiando gravemente anche uno degli archi portanti. Ci vollero tredici anni per preparare i finanziamenti e un progetto di riparazione dell’arco pericolante.
Chi non è mai entrato in una moschea, deve sapere che l’interno è ricoperto di morbidi tappeti, decorati con motivi a righe parallele sulle quali si allineano i fedeli nei momenti di preghiera. Chi arriva in ritardo può anche correre senza disturbare come farebbe in una chiesa, e lo stesso vale per i bambini, che scorrazzano silenziosamente sulla moquette.
Terminato lo spaesamento iniziale, sorge una domanda: ma in fondo, che differenza c’è tra una chiesa e una moschea? I minareti e il simbolo che c’è in cima alla cupola, una croce o una mezzaluna. Il resto sono dettagli che si possono sistemare in un secondo momento.
Terminata la visita ad Hagia Sofia, sono vittima della febbre delle moschee, una malattia che spinge il malcapitato turista a visitare ogni moschea di cui riesca ad avvistare la cupola. Il tramonto del sole generalmente pone fine all’attacco, ma si possono ripresentare episodi febbrili nei giorni successivi. Per prevenire la febbre delle moschee è bene iniziare a visitarle già in Bosnia, invece che aspettare due mesi.
Il risultato è che non mi ricordo più come era fatta all’interno ciascuna moschea, ma ne ho ricavato l’impressione generale che ai turchi piace molto di più dipingere piuttosto che scolpire i motivi geometrici a trompe l’oeil che decorano le volte. Generalmente il tappeto è composto di tante strisce giustapposte, ma ho visto una moschea enorme in ci il tappeto era tutto d’un pezzo, senza cuciture visibili. Ovviamente sono escluse le parti intorno alle colonne, perché stendere il tappeto prima di fare il soffitto sarebbe un po’ complicato.
Per finire vado a vedere il tramonto sul mare, dove mi attende un fenomeno che non ho mai visto prima. Di fronte a me c’è una grande nave, che ha verso prua una cavità a forma di ponte proprio in mezzo allo scafo, il quale sembra levitare sul pelo dell’acqua. Anche i promontori in lontananza sono protesi per cinquanta metri sul vuoto, profondamente incisi dall’erosione del mare, che oggi è calmo. Addirittura un peschereccio all’orizzonte è spezzato in due, ma misteriosamente non sta colando a picco. È un miraggio inferiore, dovuto ad uno strato di aria calda vicino alla superficie del mare, che deflette la luce in arrivo da sopra l’orizzonte, che creano un’immagine speculare al di sotto degli oggetti reali. Sul mare credo di non averlo mai visto.
Adesso che il sole è andato a dormire rientro verso casa, ripercorrendo lo stesso ponte ancora pieno di pescatori e facendo una sosta al supermercato per comprare da mangiare per i prossimi giorni. Qui a Istanbul non si usa bere l’acqua del rubinetto, forse per via delle tubature vecchie o perché sa di cloro. La mia religione mi proibisce di comprare l’acqua in bottiglia se non è proprio necessario, quindi nelle scorse settimane ho elaborato un piano alternativo. Invece che comprare l’acqua tanto vale comprare del latte, che almeno è nutriente. Tra comprare l’acqua da bere e comprare l’aria da respirare il passo è breve e la cosa non mi va a genio. Ieri ho comprato un litro di latte, ma non era abbastanza, facciamo che oggi ne compro tre.
Stasera non c’è niente da fare per fortuna, quindi posso scrivere in tranquillità, per poi farmi dare qualche consiglio da Sam su che cosa visitare domani per approfondire la visita alla parte europea di Istanbul.
Mentre digerisco la cena, mi sdraio e mi addormento.

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