Ho bisogno di cucinare

Lezione di ieri: è buona norma pagare gli ostelli una notte alla volta, non si sa mai che cosa può succedere.
Lunedì 11/01/2022 8:20 Göreme (Turchia)
Oggi il tempo è buono, ma per domani è prevista pioggia e il giorno dopo neve. Giovedì le temperature saranno precipitate otto gradi sotto quelle attuali e sarà dura raggiungere Samsun, sul mar Nero. A Yozgat, la tappa intermedia a 1400 metri di quota, sono previsti dodici gradi sotto zero. Probabilmente -12°C è troppo poco per l’equipaggiamento che ho. Non so cosa fare, intanto contatto un ospite su Couchsurfing, sperando che riceva il mio messaggio. Oggi l’importante è riuscire a visitare tutta Göreme approfittando del bel tempo, così nei prossimi due giorni posso stare in ostello senza rimpianti. È da tanto che non mi capita una giornata di pioggia, va sfruttata. Non penso di restare un’altra notte qui perché non si può cucinare, il riscaldamento è tenuto al lumicino e ci sono altri ostelli più promettenti in città.
Intanto finisco di scrivere l’articolo abbozzato ieri sera mentre sgranocchiavo frutta secca a quattro ganasce. Quando sono a buon punto scendo nella sala comune, dove ci sono alcuni ospiti che stanno facendo colazione. Probabilmente chi dorme nelle stanze private ha la colazione inclusa.
Come mi siedo e inizio a mangiare, Yusuf si alza e va a prepararmi la colazione. Si tratta di due uova strapazzate, pane a fette, pomodoro e cetriolo, una fetta di formaggio spalmabile, un mandarino, olive, qualche fettina di ciambella al sesamo, burro, marmellata e miele. Questo cambia tutto.
Facendo colazione scambio due parole con i due ospiti sudcoreani, King Don e Kionu. Sono arrivati in aereo da Seoul e restano in Turchia per tre settimane, visitando tutto il possibile. King Don ha 23 anni e studia biotecnologie, Kionu invece ne ha 22 e studia ingegneria. Purtroppo sono già qui da un paio di giorni quindi oggi uscirò da solo, ma mi mostrano un video pazzesco di loro che passeggiano per la steppa turca a dorso di cammello, come se fossero nelle pianure del Kazakistan.
Finita la colazione torno in camera per preparare lo zaino, così lascio l’ostello con tutti i miei averi e sono libero di non tornarci se trovo un posto migliore. Visto che dovrò restare fermo più a lungo del previsto, non sarebbe male trovare un buon posto in cui dormire fuori stanotte, per poi tornare in un altro ostello domani notte. Quelle case scavate nella roccia sono molto attraenti, sicuramente ce n’è una che fa al caso mio, così posso anche cucinare.
11:35
Posso lasciare lo zaino qui all’ostello fino a stasera senza impegno, fantastico. Cioè, fantastico, spero che almeno qui ci sia qualcuno che fa caso ai ladri di zaini, non come a Pamukkale.
Si parte, ho quasi sette ore di luce, molte di più di quelle che servono per fare così pochi chilometri. La prima destinazione è qui a dieci minuti, posso fare una piccola deviazione a vedere una chiesa qui vicino.
La chiesa è scavata in un piccolo cono di arenaria, la roccia che costituisce l’affioramento roccioso di questa zona. L’arenaria è poco più che sabbia pressata, quindi è facilissimo scalfirla con un utensile di metallo ma purtroppo viene erosa con altrettanta facilità dalla pioggia. Si formano lunghe fessure verticali e all’improvviso crolla una fetta di roccia. Questa cono solitario adibito a chiesa sta diventando troppo piccolo ed è stato riparato con dei mattoni intonacati di sabbia. Non c’è modo di rimediare a questo processo inarrestabile, anche l’intonaco si è sgretolato, scoprendo i mattoni sottostanti.
La chiesa è chiusa, stavolta ha ragione Maps, quindi proseguo lungo un sentiero qualsiasi, in cerca della via che tagli verso l’altro versante della cresta che ho davanti. Trenta metri più in alto di me ci sono due turisti che stanno salendo dei gradini, significa che c’è un sentiero che porta lassù. La via non è difficile da individuare, perché è l’unica parte accessibile in mezzo a queste pareti ripide, solcate dai calanchi. Finisce il prato e inizia un pendio roccioso, che diventa una cresta e poi arriva ad una piccola sella. Un vicolo cieco? Forse, ma figurati se non c’è un calanco percorribile che porta fin su, si tratta solo di risalire l’ultimo tratto, gli ultimi dieci metri. Provo il primo, ma i pochi appigli disponibili sono insufficienti, ci sono solo alcuni ciottoli che emergono dalla roccia granulosa e arrotondata. I primi due tentativi falliscono, è impossibile salire per più di un metro. Scendere da qui non è semplice, tanto vale provare a risalire il canale più a sinistra, che è piuttosto stretto e sicuramente si arriva fino a metà senza arrampicarsi.
La prima metà è molto facile, ma compensa la difficoltà degli ultimi metri, che sono praticamente verticali. Parte della salita si può superare puntando un piede su una parete e la schiena su quella opposta, ma poi diventa interessante. Le pareti non sono più così vicine e i punti di appoggio scarseggiano. C’è un pezzo di arenaria incastrato in una fessura che costituisce un gradino interessante, ma qualche colpo di bastone è sufficiente a provare che non è affatto solido. Servono parecchi tentativi per trovare degli appigli solidi, gettando via tutta la parte che si sgretola. Grazie al provvidenziale aiuto di un piccolo arbusto cresciuto nella sabbia, riesco a issarmi fino in cima, con il bastone infilato di traverso in cintura. Effettivamente in cima c’è un sentiero, peccato che non abbia alcuna connessione con la valle da cui sono venuto, il dislivello è troppo. Dovevo essere in astinenza da arrampicata, adesso ho qualche graffio ma va molto meglio. Dovrei averne abbastanza per un bel po’.
È già passata un’ora da quando sono partito e non sono ancora arrivato alla prima destinazione, molto bene. Qui in cima c’è un piccolo vigneto, ma il terreno è così pietosamente povero che anche la vite cresce a stento. Non viene coltivata a spalliera, ma forma piccoli cespugli contorti che non arrivano a un metro da terra. D’altra parte non si può sperare di coltivare molto altro nella sabbia. Da qui, un palese sentiero porta giù alla strada, dove si trova una delle chiese da visitare, Tokalı Kilise. Varco la soglia e mi chiedono il biglietto di ingresso. Non ce l’ho, chi lo sapeva che serve il biglietto? Bisogna andare a comprarlo al “museo a cielo aperto”, che immagino sia qualcosa di simile a quello che ho visto ieri nelle case di Nevşehir. Non penso di andarci visto che Göreme è piena di case ipogee e ne ho già abbastanza da visitare fuori dal museo. Intanto che scambio due parole con il custode lancio qualche occhiata all’interno, basterà dare un’occhiata da qui prima di proseguire. Mentre saluto ho la faccia di uno che non sta andando a comprare il biglietto, quindi il custode mi dice di entrare, non c’è problema. Davvero? Stupendo, ho sbloccato una nuova abilità, entrare gratis nelle attrazioni a pagamento.
La chiesa merita di pagare un biglietto e in Italia otto euro sarebbero un prezzo normale per vedere questo piccolo gioiello millenario. Nel decimo secolo è stata scavata una prima chiesa più piccola, ma cent’anni più tardi è stata ampliata, mantenendo la prima chiesa come vestibolo di quella più grande. Essendo una chiesa sotterranea il soffitto non è a rischio di crollo e le condizioni di temperatura e umidità pressoché costanti devono avere contribuito alla conservazione degli affreschi interni, riportati a nuova vita da un’operazione di restauro ancora in corso. Trovandosi in profondità nella collina, non ci sono finestre e deve essere stata dipinta solo grazie alla luce artificiale. Dopo una lunga contemplazione con il naso all’insù, meglio procedere verso la prossima chiesa, che si trova più su vicino alla strada. È chiusa anche questa, ma almeno la si può osservare dall’esterno e entrare nelle altre camere scavate ai lati. Per raggiungere di nuovo la strada basta tagliare lungo un palese sentiero, perché è sempre bello camminare a casaccio nei prati, specialmente qui dove il terreno è soffice e fischia. I fischi sembrano provenire dall’erba, ma tra gli steli radi non c’è niente, solo una miriade di buchi circolari, di pochi centimetri di diametro. Sembrano squittii di roditori, ma non vedo proprio niente intorno a me, probabilmente si tratta di qualche grillo solitario. Dopo pochi metri e un centinaio di buchi, compare un naso e un paio d’orecchie. Questi buchi non sono che una versione più raffinata delle abitazioni sotterranee di Göreme, le uniche case ancora utilizzate. Dopo dieci minuti di attesa il topo o l’arvicola torni fuori per gridarmi in faccia uno squittio intimidatorio. Mi fermo per fare qualche foto finché i topi non perdono le speranze e smettono di mettere la testa fuori aspettando che me ne vada. Hanno capito il concetto molto più in fretta dei cani che incontro di solito, il loro cervello è piccolo ma deve essere fatto meglio.
Dopo un’altra ora ho finito di importunare i topi e raggiungo la Red valley (valle Rossa), caratterizzata da calanchi e formazioni rocciose colorate, traforate di abitazioni sotterranee e luoghi di culto. Per scendere verso la prima chiesa basta seguire una rete di sentieri, che portano quasi tutti verso un piccolo bar che oggi è chiuso. L’ingresso alla chiesa è chiuso con un’inferriata, ma le mani sapienti dei visitatori hanno scolpito un varco in un angolo, che permette di entrare. L’interno è affrescato con figure di santi dipinte con i colori bianco e rosso. Le stesse sapienti mani dei visitatori hanno inciso sulla pittura bianca il registro delle visite. Quello che manca nella chiesa è un’esposizione permanente delle sapienti mani, che andrebbero tagliate ed esposte come monito.
Per proseguire verso la Rose valley salgo una ripida scala di metallo che collega questa deviazione con il sentiero principale. No, mi sono dimenticato giù il bastone, bisogna tornare a prenderlo. La valle si trova più avanti, qui il paesaggio è completamente diverso. Fino a poco fa sembrava il sentiero scendeva lungo i calanchi scavati dalla pioggia e dal vento nella roccia rossiccia, mentre ora si vede dall’alto una valle erbosa popolata di grossi coni di roccia. Ciascun cono è stato scavato, ricavando una o più abitazioni, a volte sviluppate su più piani. Il coni più grosso ricorda quegli edifici della civiltà Khmer in Cambogia. È sviluppato su quattro piani e segue uno sviluppo a chiocciola, con nicchie per il fuoco e tunnel di ventilazione. Come nelle altre case che ho visto finora ci sono taniche d’acqua qualche rifiuto e resti di bivacco, qualche cumulo di carbonella sotto le pareti annerite. È una casa molto bella, ma non penso che vada bene per passarci la notte.
La valle è piena di case ed è difficile non esplorarle tutte. In alcune trovo gli stessi ambienti per la vinificazione o per conservare il cibo, di cui ho imparato l’aspetto ieri a Nevşehir. Ce ne sono così tante che sarà difficile non trovarne una che vada bene, che sia abbastanza invisibile o inaccessibile.La roccia diventa bianca, poi appaiono alcuni strati gialli accostati a quelli rossi e la policromia non si ferma, culminando nella valle Rosa, dove si aggiunge una nuova sfumatura agli strati soprastanti. È stupendo, un magnifico mucchio di roccia che ha fatto la fortuna di questo piccolo paese che vive esclusivamente di turismo. Anche questa valle è stata densamente popolata ed è piena di case. Proprio ora c’è un uomo che si sta dirigendo verso una casa con qualcosa in mano. Peccato, anche questa valle non va bene, è troppo frequentata. Meglio tagliare verso la strada principale, la cresta da superare sembra molto più amichevole di quella di prima.
Improvvisamente il luogo diventa familiare, mi ricordo di questa strada, l’ho già vista tre mesi fa. Mi stavo chiedendo se sarebbe stato difficile campeggiare in questa parte di Turchia, e dalla street view ho visto un posto estremamente arido, con cartelli scritti in una lingua incomprensibile e un’auto parcheggiata. Come avrei fatto ad arrivare in un posto così sperduto, parlare con gli abitanti locali, trovare un posto per campeggiare in un ambiente così desolato e diverso da quelli a cui ero abituato? Era meglio non pensarci e concentrarsi sulla Slovenia, quella sì che sembrava familiare.
Ora che mi trovo qui, effettivamente il posto è arido, ma la lingua è tutt’altro che incomprensibile e non c’è niente di più semplice che trovare un posto per campeggiare.
Sulla collina di fronte c’è un gruppo di motociclisti in sella ai quad, che scorrazzano tra il centro di Göreme e qui. Questa cresta è fatta di roccia nuda, tagliata da profondi calanchi rivolti verso la strada principale. Proprio sulla parete di uno di questi solchi c’è una piccola finestra, segno della presenza di una casa sotterranea, molto ben nascosta.
Da quassù è inaccessibile, quindi faccio tutto il giro e risalgo da sotto, scoprendo che la porta non c’è, è stata murata, perciò questa finestra è l’unico accesso, piuttosto scomodo. L’ispezione dell’interno rivela che anche qui ha pernottato qualcuno, come in ogni singola casa vista oggi, ma non sono stati accesi fuochi. Per terra ci sono solo alcune borsine di plastica e delle canne sottili sparse sul pavimento, come per formare un giaciglio sottilissimo. Perfetto, aggiudicato. Mentre mi allontano prendo dei riferimenti per riuscire a ritrovare il posto anche al buio. È importante perché dopo cinquanta metri mi volto e non sono più sicuro di dove sia la casa.
I camini delle fate direi che si possono saltare perché non mi rimane molto tempo, meglio andare direttamente nella valle dell’amore. Forse ce la faccio prima che venga buio, invece che seguire la strada asfaltata posso anche tagliare superando una cresta. In cima all’altura c’è una piccola zona coltivata e un capanno di legno, con due cani a montare la guardia. Come mi vedono, iniziano ad abbaiare come se avessero visto un orso. Uno dei due, quello non legato, ringhia e fa finta di caricarmi, per poi fermarsi a pochi metri e abbaiare più forte che può. Non si attenta a venire più vicino di due metri, è solo un can che abbaia. Per scendere dalla parte opposta devo per forza aggirare la sua proprietà, fino a trovare una sorta di sentiero che porta fin giù.
Non sono nel punto di osservazione convenzionale, perché le visite guidate di solito accompagnano i turisti lungo la strada panoramica che percorre la cima del versante opposto, dove c’è un bar e una struttura a forma di cuore per fare le foto con la valle sullo sfondo. Il nome di questo posto è molto romantico, ma dato che si riferisce a delle colonne di roccia con un cappuccio conico, potrebbe anche chiamarsi valle dei peni. Nel punto più famoso, ci sono infatti cinque cilindri di roccia disposti in fila, alti 25 metri, sormontati da un triangolo e di maggiore durezza alto a sua volta più di cinque metri. Se fosse uno solo potrei capire la somiglianza, ma siccome i peni di solito crescono isolati questi sembrano più dei giganteschi funghi. Esiste una specie del tutto simile, chiamata emblematicamente Phallus impudicus, che cresce a gruppi e ha esattamente questa forma. Probabilmente il nome “valle dei funghi” non richiamerebbe così tanti turisti. A parte queste riflessioni, le formazioni rocciose che ho davanti sono veramente impressionanti, completamente diverse da tutti quello che ho vostro finora. Non solo, anche se si è portati ad immaginare che siano cilindriche, alcune di queste sono pericolosamente sottili. Una delle più alte, in cui è stata scavata anche una camera alla base, è larga dieci metri, ma è spessa solo tre metri. Probabilmente oscilla quando c’è molto vento.
18:10
Il sole è già tramontato e non c’è più niente da vedere, meglio tornare indietro seguendo un’altra scorciatoia. La strada passa obbligatoriamente per gli stessi cani di prima, che riprendono ad abbaiare quando sono ancora a duecento metri di distanza, su un colle vicino. Stessa scena di prima, piacere di non rivedervi.
Raggiungere il paese è semplice e prima di rientrare in ostello c’è un ultima possibilità per evitare di dormire fuori. Il “Cave hostel” ha i dormitori scavati dentro la roccia, è una sorta di casa sotterranea moderna. La mamma non vuole che dorma in una casa ipogea e sono ancora malaticcio, quindi stasera posso dormire lì. Per fortuna l’ostello è chiuso, perché siamo in bassa stagione, quindi non ho altra scelta, devo andare nell’ultima casa che ho visto. Non è possibile che tutta Göreme abbia dormito in quelle case e io no. Entro in un altro ostello aperto per chiedere se è vero che non si può cucinare e mi confermano che è così, in Turchia è vietato, quindi per alleggerire lo zaino devo per forza soggiornare nel mio nuovo ostello fai-da-te.
Torno a prendere lo zaino e a salutare quelli dell’ostello Köse, che automaticamente mi offrono un tè. Farmi sedere al calduccio per dieci minuti è un chiaro tentativo di indurmi a restare in questo posto così tiepido e comodo, invece di uscire nella notte ventosa. Non mi piego alle lusinghe del materasso e del termosifone, c’è un posto incredibile, freddo e scomodo che mi aspetta.
Ho quasi tutto il necessario, compro pane e ayran e si parte. Nelle vicinanze della casa non c’è legna da ardere, quindi è bene fare scorta lungo la via per non rimanere al freddo. Ora sono decisamente carico di provviste, meglio andare alla casa a scaricare tutto, non serve altro.
Anche con la scarsa luce disponibile in questa notte nuvolosa, adesso è facile trovare la casa. Scarico lo zaino e inizio a disporre il telo azzurro all’interno, per non grattugiare lo zaino sul pavimento. Ho studiato la manovra venendo in qua, perché l’ingresso è un buco di 50×50 centimetri, a un metro da terra, quindi per entrare bisogna sedersi sulla soglia e mettere dentro la testa, poi spingersi dentro con le braccia e con i piedi. Ovviamente non si può fare con lo zaino in spalla, quindi devo entrare prima lui, poi il resto delle vettovaglie e poi io, nello spazio rimanente. È un po’ come i nidi degli uccelli scavati nei tronchi degli alberi, dove entrare e uscire è una manovra da contorsionisti.
21:30
Per stasera direi che non accendo il fuoco, è già abbastanza tardi e ho da mangiare ancora le olive che mi ha dato Nicol. Visto che le placche in gola non stanno migliorando stasera inizio a prendere l’antibiotico. L’ayran che ho comprato fa da integratore di fermenti lattici, che non so se prendere o non prendere.
La casa è formata da un piccolo ambiente vicino all’esterno, con qualche piccola apertura di ventilazione e altre strutture di cui non capisco l’uso, comunicante con una stanza più incassata nella collina, con il soffitto più alto e tre ordini di piccole nicchie ricavate nelle pareti. La stanza posteriore in realtà ha a sua volta un piccolo buco che comunica con l’esterno e migliora la ventilazione. Non c’è vento qui dentro, perciò i cinque gradi del termometro sembrano dieci. Finito di cenare stendo il sacco a pelo sul telo azzurro, inaugurando così la notte nella casa sotterranea.

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