Hasta Kabul!

Lezione di ieri: sciare è spaziale!
Giovedì 27/01/2022 8:15 Kars (Turchia)
Anche oggi la prima incombenza è portare Elsa dal veterinario, ma la lascio sbrigare al padrone. Ora che sono solo, è bene scrivere. La somministrazione dell’antibiotico va per le lunghe e i due rientrano a casa dopo diverse ore, ma va tutto bene.
Dato che ho promesso al ginocchio un po’ di riposo, oggi resto in casa e ci penserò domani a fare il test covid molecolare necessario per entrare in Georgia. A meno che Erdoğan debba partire domani per Ankara, in questo caso è meglio andare subito all’ospedale, via! Mi spiego meglio, ieri sera il mio ospite mi ha chiesto per quanto ancora ho intenzione di restare e io gli ho dato la massima flessibilità. Ieri sera lui pensava di partire domenica o lunedì, ma ha appena comprato un biglietto aereo per domani mattina.
13:10
Se domani parto da Kars in autostop è bene fare prima un rodaggio del ginocchio per cercare una postura che non solleciti il muscolo stirato. Inoltre ho voglia di camminare, due passi all’aria aperta possono solo fare bene. Ora che ho un bastone non cado neanche più sui marciapiedi scivolosi. È buffo perché a Kars i negozianti non spalano la neve, ma aspettano che i pedoni la schiaccino e poi rompono il ghiaccio a picconate. In questo modo il marciapiede viene pulito a segmenti discontinui, a seconda dell’efficienza dei gestori dei locali. In alto, sui bordi dei tetti, il bel tempo artico di questi giorni ha formato enormi stalattiti di ghiaccio, specialmente negli scoli delle grondaie.
Oggi c’è vento e il freddo gela le orecchie, forse avrei fatto meglio a prendere il berretto. Fortunatamente in ospedale non c’è vento. Dove devo andare? Provo nell’ambulatorio delle vaccinazioni e mi indirizzano verso il pronto soccorso. In turco naturalmente, non è che le infermiere giovani possono anche sapere tre parole di inglese, che pretese. Per accedere al pronto soccorso, che per la sua sveltezza si chiama Agil (Scritto però “acil”) bisogna mettersi in fila allo sportello. Sì, un solo sportello, con scritto sopra il grido di guerra dei talebani spagnoli: “Hasta Kabul” (In spagnolo significa “Fino a Kabul”, in turco invece vuol dire “Segreteria pazienti”). Non è come a Reggio, dove il pronto soccorso ha una sala d’attesa con più di cinquanta posti a sedere. Qui si sta in fila in piedi, anche perché siamo solo in sei.
Hanno tutti un foglio in mano, sospetto che serva anche a me ma non so dove si prende. Fortunatamente la segretaria è gentile e mi indica l’ambulatorio dei test covid con parole e gesti turchi. Torno con il foglio, controllo che i dati siano giusti, rifaccio la fila e mi stampano dei piccoli adesivi e un paio di fogli per il pagamento. Mai e poi mai potrei trovare l’ufficio in cui si paga, ma gentilemente la guardia mi conduce in quell’angolo remoto del piano terra. La segretaria mi aveva assicurato che si può pagare anche con la carta, ma a quanto pare si accettano solo contanti. Per fortuna nel campus ci sono dei bancomat e posso andare in missione a prelevare quindici euro. Ebbene sì, mentre in Italia ne servono 90, qui un test costa quindici. Con i soldi che si risparmiano dall’Italia si potrebbe venire in vacanza un paio di giorni in Turchia, inclusi voli low cost e soggiorno. Se serve un test per prendere l’aereo però il giochetto non funziona.
Comunque, torno indietro, pago e mi accorgo che sulle etichette il mio cognome è scritto sbagliato. Palladinni. Quest’uomo dice che non c’è problema, ma secondo me Riccardo Palladinni non è la stessa persona del passaporto. Chi glielo spiega ai piantagrane della polizia di frontiera che secondo il tizio dell’ospedale di Kars non c’erano problemi? Forse intende dire che questo documento resta all’interno dell’ospedale e non è definitivo.
Vado fino a Kabul e chiedo alla segretaria di ristampare le etichette. Deve essere possibile, se il codice a barre viene stampato male non ci sono alternative. In realtà anche le etichette non sono definitive, quindi il problema è risolto. Nel frattempo passa di lì un mio coetaneo, che mi aiuta a superare gli ultimi tecnicismi facendo da interprete.
Con tutte le carte in regola, fare materialmente il tampone è un gioco da ragazzi. Mi sbarazzo anche dei fogli perché mi lasciano solo un codice a barre per ritirare il referto domani.
16:45
Ho già finito, non è stato neanche troppo difficile. Certamente conoscere qualche base di turco ha fatto la differenza, specialmente perché ha snellito il processo. Quando chiedi alle persone se parlano inglese, quasi tutti ti risponderanno semplicemente “No”. Se invece la domanda è “Conosci un po’ di inglese?”, allora sono obbligati a rispondere di sì. Chi non conosce almeno cinque parole in inglese alzi la mano. Il passo successivo è affermare di conoscere un po’ della lingua locale. In paesi come la Turchia è molto facile saperne di più dell’inglese del tuo interlocutore, che conosce letteralmente cinque parole. Ora che tu viaggiatore hai fatto la tua parte nel cercare di comunicare con lui residente, il minimo che lui possa fare è essere paziente e aiutarti a capire. Non funziona sempre, alcuni si sono svegliati e non ci si può fare niente, ma si rilassano improvvisamente quando gli dici che parli un po’ di turco.
Il sole ormai sta calando e l’ultima cosa da fare è tornare al castello di Kars per visitarlo. È piuttosto lontano, ma si può fare. La gamba non è molto contenta di andare a vedere il castello, ma almeno mi aiuto con il mio bastone nuovo. È molto elastico e traballante, ma basterà aspettare che si secchi. La salita che porta al castello è stata calpestata abbondantemente diventando scivolosissima, proprio come piace a quelli con un ginocchio acciaccato. Mentre il sole tramonta mi affretto verso il portone, arrivando contemporaneamente ad altri due turisti. No, non sono turisti, sono venuti a chiudere a chiave il castello, che chiude alle 17:30. Faccio due foto di consolazione alla città sottostante.
Scampando per un pelo a varie cadute ritorno verso casa, che dista un’altra mezz’ora di cammino. Nel frattempo è venuto buio e fa freddissimo, le mani devono fare i turni per non congelare.
Rientrando a casa trovo Erdoğan insieme ad una signora e a sua figlia, intente a fare le pulizie. Il mio ospite non è sul lastrico e i suoi ottocento euro al mese gli permettono di farsi pulire la casa da qualcun’altro. Queste due però non scherzano, hanno lavato i piatti, rimesso in ordine tutto e hanno disposto in bell’ordine nel frigo le uova che ho comprato ieri sfuse. Non era così in disordine prima, ma adesso è talmente tirata a lucido che sembra un’altra casa. Mentre aspetto che finiscano mi torna in mente l’ultimissima cosa che devo fare oggi. Visto che sono arrivato in fondo all’altopiano della Turchia, è il momento di tagliarsi i capelli. Sotto casa di Erdoğan c’è un parrucchiere che si chiama “Hakan küaforu” e mi ricorda il mio buon Hakan di Pamukkale. Inoltre il mio amico qui lo conosce, quindi appena le pulizie sono ultimate scendiamo in strada per farmi tosare. Non subito, prima devo indovinare quanto è la paga oraria di chi fa le pulizie a domicilio in Turchia. Ha lavorato di più la madre della figlia, ma comunque erano in due e hanno impiegato circa tre ore. Prendo la mia paga netta da operaio, moltiplico per sei ore, converto in lire con il tasso di cambio di sei mesi fa e tolgo un quarto perché la figlia è sicuramente sottopagata. Mi sembra troppo, moltiplico anche per il coefficiente di sfruttamento delle donne delle pulizie, ma so che non basta. Lascio perdere i conti e sparo una somma talmente misera che piuttosto sarebbe conveniente chiedere l’elemosina. Cento lire. Naturalmente è troppo poco, il compenso giusto è 140.
Scendo dal parrucchiere, che al momento è impegnato e mi offre un tè. Mi faccio scattare una foto e poi lui si mette al lavoro, cercando la mia testa con il decespugliatore. I capelli ormai mi arrivano tra la bocca e il mento, credo che sia la prima volta che lascio passare un anno tra un taglio e l’altro.
Poco dopo scende anche Erdoğan, che si fa spalmare in faccia una maschera bianca e mi aiuta con le traduzioni. Ho scoperto che a quanto pare il parrucchiere si chiama Karlos, non è lui Hakan. Va comunque un ottimo lavoro, finalmente posso toccarmi i capelli e sentire che sotto c’è qualcosa. Non so più chi sia quello lì nello specchio, che è il bello di tagliarsi i capelli di rado. Mi faccio fare una seconda foto e pago. Non sono sicuro di aver capito il prezzo, mentre sono voltato a prendere il portafoglio chiedo conferma a Erdoğan. Nessun equivoco, sono davvero 30 lire. “Stai scherzando vero?” Non sta scherzando, usciamo e racconto al mio socio che in Italia per un taglio di capelli pago 300 lire, venti euro. Va bene che mi ha fatto lo sconto perché sono amico di un suo amico, ma con 40 lire che cosa si compra? Venti euro e quaranta lire equivalgono a quattro chili di pane, ma ad esempio la benzina qui costa la metà che in Italia, non un decimo. Con venti euro compri undici litri In Italia, ma in Turchia con quaranta lire te ne danno due e mezzo. Come fa il parrucchiere a sbarcare il lunario? Erdoğan non è per niente scosso, dice che probabilmente il salario del parrucchiere è più alto del proprio. Come? Karlos lavora tutti i giorni dell’anno, tutto il giorno. Non è esattamente come il lavoro del medico qui presente.
Per cena stasera cuocio le uova, per la terza manche di scosètta cui partecipano la Moni, Santa, Aleot, Lollo, Prisco e Forack. Stavolta non sono solo e mi sembra giusto coinvolgere nel gioco un ospite. Prima devo aspettare che finisca la doccia, è già là dentro da mezz’ora ma non sembra intenzionato a lasciare il bagno molto presto.
Ritornato vittorioso dalla sua missione nella doccia, scopro che conosce già il gioco. Qui si chiama yumurta çarpıştırmaca (letteralmente “picchiare le uova”), e il concetto non cambia. Santa è estremamente agguerrito e fa una strage, ma alla fine vince Forack. Mentre ceniamo guardiamo altri due episodi della serie animata australiana iniziata ieri sera. I protagonisti sono tutti gli eroi e tutti i cattivi di tutti i film, i cartoni animati e i fumetti prodotti dal genere umano. I due disegnatori interpretano anche le voci di tutti i personaggi e la realizzazione di un solo episodio richiede un lavoro enorme, praticamente un anno. Devo proprio specificare che gli episodi di Fanfictasia sono prodotti con grande cura? Li trovate sul canale youtube Artspear Entertainment.
Dopo cena mi siedo sul divano, Elsa accorre per stare al caldo e ci addormentiamo mentre Erdoğan è al computer per una videochiamata e qualche partita online.
1:40
Si va a letto, olé!

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