Lezione di ieri: se non ci sono zanzare, meglio cucinare prima del cambio turno.Mercoledì 04/01/2023 Payahe (Indonesia)È sorto il sole e il ronzio si è spento. È giunta l’ora di attraversare il lago. Un albero caduto ricoperto di rampicanti costituisce il molo a cui è attraccata la zattera sgangherata. Monto sul naviglio, mollo l’ormeggio e inizio a pagaiare con l’asse di legno a forma di pagaia che si trova a bordo. Più che una pagaia sembra un tagliere per i salumi, ma almeno è grossa. Pagaio di qua, pagaio di là, ma la zattera di barili blu non fa altro che ruotare su se stessa. Ci sono! Con due spezzoni di corda lego il tagliere a un palo di legno, creando un lungo remo. Ora la zattera è diventata un coccodrillo, basta muovere l’impugnatura a destra e a sinistra, senza sforzo e senza fretta. Torno all’attacco e sfrutto una corda sommersa per tonneggiarmi a venti metri dalla riva. Da lì, inizio a vogare lentamente, con il sole in poppa e un filo di brezza. Il remo funziona male, la zattera avanza, sì, ma ruotando come prima. Mi serve una deriva. Le assi sono quasi tutte schiodate, così ne conficco una nel telaio di supporto e la fermo con pezzi di vecchie tavole marce. Avendo un vincolo a prua, la zattera acquista una certa direzionalità e procede di quasi un metro al minuto. Ora sì che rimpiango i tre quarti di nodo che faceva l’Indomita, la barca costruita in Malesia. Mi concentro sui progressi e continuo a remare, mentre si radunano intorno a me banchi di piccoli pesci scuri, per nulla spaventati. In effetti più che remare sto mescolando il lago, non sono molto minaccioso. Nel frattempo continuo a chiedermi come venga usata questa zattera, a che cosa serva. Forse serve solo per arrivare là dove finisce la corda, a dieci metri dalla riva. Oppure il proprietario attraversa il lago portando fin qui un motore, perché è impensabile spostare questa carretta con una pagaia. Continuo a pensare e intanto arrivo in vista del fondo del lago, che è chiuso da una collina, non ci sono emissari. Ormai sarà passata un’ora e fa caldo, bisogna che torni indietro con un metodo più intelligente. Posso usare il remo come timone!In un attimo il remo è legato con la cima di ormeggio e fermato con un’asse. Con un’altra asse malconcia inizio a vogare con forza, in piedi sul bordo. Provo con il timone dritto, con la barra a dritta e a sinistra, ma non funziona per niente bene. Forse prima ero già vicino alla velocità limite. Bisogna che torni a vogare come prima, con calma. Mi sdraio e muovo il remo, aspettando che passi il tempo. Poco più tardi sono vicino alla riva, incagliato al fondo. Sgancio il remo e lo uso per spingermi in avanti, sprofondandolo nel fondo limaccioso. Anche così non è facile ritornare, perché ci sono altri tronchi caduti a sbarrare la via. Mi aggrappo ai rami fragili, tirando e spingendo fino a superare gli ostacoli, lentamente. Negli ultimi metri manovro il remo pesantissimo e scomodo come se fosse una pagaia, di qua e di là. Per non estrarlo dall’acqua capita che lo faccia scivolare da poppa ed è lì che capisco tutto. Ecco come fanno i gondolieri! Con il remo a poppa, piantato nell’acqua, faccio leva e spingo l’acqua indietro. Ruoti di novanta gradi torni indietro e ripeti. Funziona! Mi stavo proprio chiedendo a che cosa fosse servito tutto questo remare e l’ho capito appena in tempo, negli ultimi tre metri. Sperando di migliorare l’esistenza di quel povero diavolo che abita qui, lascio il remo montato. Scappo all’ombra, voglio solo un po’ di fresco.È stata un’esperienza bella tosta, più che rilassante. Centoventi metri in due ore, ad essere ottimisti. C’è di buono che ho imparato come pagaiare con un remo solo e ho anche scoperto perché la zattera che ho costruito con il Biondo si ribaltava così facilmente. Più è piccola, più galleggiabilità deve avere. Avremmo dovuto usare sei o otto piani di bottiglie sotto quel pallet.Aspetto di asciugarmi seduto in amaca, poi mi decido e ricompongo lo zaino. Mi servirà dell’acqua extra, il cocco che ho da parte non basta. Salgo su una piccola palma a procurarmi un altro mezzo litro. Prima si finisce lo zaino, poi si beve, poi si riparte.Saluto il lago, arrivo alla strada e riprendo la discesa, fino alla pianura. Al primo muretto mi fermo a bere acqua di cocco e mangiare polpa di cocco al cucchiaio. Contatto Guntur (Guntùr), che ho incontrato la settimana scorsa a Sofifi insieme a Salman (Salmàn). Mi dà appuntamento in centro a Weda, così riprendo la marcia, fino in paese.Può sembrare incredibile, ma a Weda ci sono persino i cassonetti dell’immondizia. Non tutto il pattume riesce a raggiungerli, ma c’è chi li utilizza, il ché non è per niente scontato. Da qui in poi non c’è più ombra lungo la strada, perciò mi sembra conveniente accettare un passaggio, ora che sono arrivato a Weda. L’idea iniziale non era di completare la traversata a piedi, ma alla fine ce l’ho fatta. Quante noci di cocco che ho mangiato, wow! Ne sarebbe valsa la pena anche solo per quello.Mentre aspetto Guntur, mi rendo conto di fare proprio schifo. Avrà intuito che sono impresentabile?Per fortuna, o meglio per sua fortuna, mi propone di andare a casa sua. “È piccola eh! Non è un problema? Puoi farti una doccia, se vuoi””Doccia? Sisisisì, assolutamente.”Mi presento brevemente alla moglie che ha in braccio il figlio di un anno, e faccio conoscenza con un amico seduto all’ingresso. Non mi sembra tanto carino sfruttare subito il bagno, ma appena Guntur nomina di nuovo la doccia, mi ci fiondo in un baleno.Finita la doccia, mangiamo. La casa in effetti è piccola e forse il bagno sul retro è condiviso con la famiglia accanto. Ci si aiuta, come dovrebbero fare i vicini di casa. Poco dopo ci raggiunge anche Salman, che si accomoda nella piccola casa blu. È bello essere all’ombra, finalmente, così chiacchiero a lungo con Guntur, Toni e Salman. Gli racconto del telefono che mi hanno rubato a Bitung e che di tanto in tanto capita di fare incontrari sbagliati. Guntur precisa immediatamente che quelli che abitano là sono tutti cattivi, infatti Toni è originario di Bitung. Giù a ridere, mentre Toni precisa inutilmente di essere nato a Manado. Glielo rinfacceremo a vita, di sicuro mente. È tipico di quelli di Bitung.Più tardi, esco con Toni per fare un giro in un posto per turisti che è famoso a Weda. Si chiama Nusliko park ed è un camminamento che attraversa la foresta di mangrovie a Sud di Weda. Paga lui il biglietto di ingresso, così entriamo a passeggiare mentre il sole ormai tramonta. Sono sempre bellissime le mangrovie, con i loro semi lunghi due spanne e più. Stiamo chiacchierando del più e del meno, quando Toni indica l’acqua esclamando “Ular!””Grande Giove! Un serpente di mare!” Sotto la passerella sopraelevata, c’è un ofide che sguazza allegramente, in caccia. Lo so che esistono i serpenti di mare, ma il loro habitat è dentro lo schermo del televisore. Questo che cosa ci fa qui fuori? Un rettile che sguazza nell’acqua salata credendosi un pesce. È incredibile. Per chi è digiuno di documentari, questo serpente di mare è lungo poco più di mezzo metro, grosso come un pollice e con la coda appiattita a forma di pagaia. Dalla testa alla coda è colorato a bande nere e azzurre, di un azzurro metallico quasi grigio. Mai e poi mai avrei immaginato di vedere un serpente di mare, è bellissimo. Prima che qualcuno si tuffi a fare il bagno con questa creatura singolare, una piccola avvertenza: sebbene non si nutra di carne umana, è considerato uno dei primi tre serpenti più velenosi al mondo, a seconda dei documentari.Proseguiamo il giro fino alle casette costruite sull’acqua, che immagino siano affittabili dai turisti. Solo, mi sembrano un pochino basse sull’acqua. Se il livello sale di altri venti centimetri, dentro si naviga. Posto che il massimo di marea è venti centimetri più alto di adesso, mi sa che non hanno preso sul serio il cambiamento climatico. Tanti auguri.Prima di uscire, per chiudere in bellezza, compaiono pesci arciere a frotte. Pesci arciere nel mare? Sì a quanto pare tollerano l’acqua dolce come l’acqua salmastra, indifferentemente. Completata la visita, facciamo un giro attraverso Weda e rientriamo a casa di Guntur. La mia power bank è ancora in carica, ma ha già fatto leggeri progressi. Guntur va e viene, nel frattempo la moglie gestisce il motonoleggio dal bancone all’ingresso.Sul telefono, mi è arrivato un messaggio bislacco, che invita alla tolleranza. Lo manda l’amministrazione locale, per acquietare la faida tra la gente di Ambon e quelli di un paese qui vicino. Stanotte è morto uno di Ambon, che era in ospedale già da tempo, perciò ci si aspettano ritorsioni nel prossimo futuro.Io me ne vado stanotte, problemi loro.Ceniamo, compriamo il biglietto, rifaccio lo zaino e aspettiamo la mezzanotte. Toni lavora alla miniera di nichel, chiamata IWIB, e mi racconta di dovere molto al buon Guntur, che lo ha aiutato a trasferirsi qui da Manado. “Intendi dire da Bitung” ribatto io, guardando Guntur che sta già ridendo. Ad ogni modo Guntur ha un cuore così grande che la casa deve per forza sembrargli piccola, ci entra a malapena.A mezzanotte Toni mi accompagna al porto, un’ora prima della partenza. La nave ASDP è nettamente più piccola della nave Pelni di Bitung, ed è quasi piena. Sul punte più basso, quello per il trasporto veicoli, c’è già un tappeto di umanità accampata con teli e borsoni in ogni pezzetto di pavimento. I teli formano tanti tasselli colorati, i passeggeri sono stesi a casaccio, c’è pieno di bambini e barang-barang, che sarebbero i bagagli. Sembra una nave di emigranti, e in effetti in qualche modo lo è. Chi cambia isola cerca lavoro o torna dal lavoro, in genere. Se non mi bruciasse ancora la perdita del vecchio telefono, gli farei una foto.Data la situazione, verrebbe da pensate che i due ponti passeggeri siano già stracolmi, ma bisogna considerare che questa è l’Indonesia. Per arrivare lassù bisogna fare i gradini, non è da tutti lanciarsi in una scalata del genere. Salgo fiducioso, trovando il ponte di coperta ancora piuttosto libero. Mentre sto ancora valutando dove incastrarmi, tre ragazzi mi invitano a sedermi con loro in un angolo del ponte, di fronte al mare. Non mi sembra un posto molto comodo, ma un pavimento vale l’altro e gli amici valgono più di un buon posto.I tre si chiamano , con me facciano quattro R. Sono diretti alla miniera di nichel sull’isola di Gebe, la seconda fermata del viaggio. Mi siedo accanto a loro nel metro di ponte tra le cabine dell’equipaggio e il parapetto. Avendo dormito parecchio nei giorni scorsi, posso restare sveglio a lungo e tenere d’occhio lo zaino.Il mare è piatto, ma domani dovremmo trovare finalmente un po’ di onde a spezzare la monotonia. Non succede mai niente nei mari indonesiani è una noia terribile. Non c’è neanche il vento, niente, solo mare piatto.