Jotin era un’altra persona, probabilmente è solo un nome da uomo.
Lezione di ieri: Anche delle semplici uova possono essere una fregatura.
Venerdì 22/07/2022 Phaplu (Solukhumbu, Nepal)
Piovvigina ancora, ma la notte è stata confortevole. Con il caldino che c’è quaggiù e un giaciglio di paglia, npn ho neanche dovuto usare il sacco a pelo. Continuo a sonnecchiare a lungo mentre attendo che la temperatura salga un altro po’. Attendo un po’ troppo, tanto che la padrona di casa viene a sollecitarmi insieme ad un’amica. “Who are you?” (Chi sei?) Da bravo italiano, istintivamente risponderei “Sono io”, ma rimango interdetto, rendendomi conto che non sarebbe un granché come risposta, fuori dall’Italia. Mentre organizzo i pensieri sono già passate alla seconda domanda. “Sei da solo? Dove sono i tuoi amici?” Di nuovo non so cosa dire, perché ormai è da due mesi che mi sento chiedere se sono da solo circa venti volte al giorno. Pensavo fosse solo un disturbo psichico degli indiani, invece anche il Nepal non fa eccezione. Sono leggermente provato, normalmente sono l’unico straniero di passaggio nell’arco di mesi e ciononostante dovrebbe esserci qualcun’altro. Che cos’è questa mania di voialtri angrej di spostarvi sempre con qualcuno, smettetela! Poi, razionalmente, se siamo in più di uno perché ho passato la notte qui da solo? Mentre le fisso con sguardo vacuo, aspettando che inizino a porre delle domande intelligenti, arriva la terza domanda. “You don’t have friends?” (Non hai amici?) Le risposte semplici sarebbero sì e no. No significa che sono solo al mondo, quindi la risposta giusta è l’altra. “Certo, ho centinaia di amici. Due a Namche, due a Gokyo, due a Chukkung, tre a Pangboche, più tre a Kathmandu e parecchi a Butwal. E molti molti altri.” Come mi diverto a elencare la bellezza di questo viaggio, ah come mi diverto! Spiazzate dalla mia risposta, mi lasciano un momento per precisare che tra poco me ne andrò, mi bastano dieci minuti. Grazie e tanti saluti, meglio che scenda a Salleri.
Procedendo di buona lena, basta un attimo per arrivare all’aeroporto di Phaplu, salutando di qua e di là. Mentre saluto, mi capita di incontrare un camioncino pieno di uova. I tre uomini che stanno finendo di caricarlo, mi offrono un passaggio per Salleri e mi invitano ad accomodarmi nel magazzino di legno. Rifiuto il passaggio ma ho un’altra proposta. “Quanto costano nove uova?” Jotin non sembra soddisfatto. “Sono centottanta rupie. Se le compri in negozio costano almeno 25 rupie ciascuna. Sei sicuro di non volerne trenta?” In effetti è un peccato non comprare un portauova completo e io ho molta voglia di uova. Ne compro trenta, Jotin me le impacchetta con due cartoni e la rafia. Riparto con la mia valigetta di uova, valutando che con questo incontro ho ammortizzato la fregatura di ieri. Adesso; dov’è la casa rosa? Devo recuperare l’olio di senape! Proprio di fronte al mio nascondiglio, c’è una scolaresca che aspetta l’autobus, saranno perfetti come spettatori. Poso lo zaino e sparisco tra i cespugli, ritrovando le mie scorte caloriche ancora intatte. I bambini sono già in visibilio alla vista di un europeo, perciò la mia mossa non altera affatto le loro facce sgomente.
Sull’ultimo tornante prima di Salleri affianco un uomo di nome Ngime Dendi, così ci scambiamo i soliti convenevoli. Lui ha ventisette anni ed è venuto quassù a trovare dei parenti.”Studi o lavori?” Nessuno dei due, sta ancora cercando lavoro perché è uscito di prigione appena un mese fa. Quattro anni fa era in moto, aveva bevuto e ha investito un pedone. L’uomo investito è morto, così Ngime è stato in carcere per tutti questi anni. Stava studiando all’epoca, ma ormai è andato tutto all’aria. Almeno parla bene inglese, il ché è molto inusuale qui in Nepal. La ragione è che in prigione non c’erano solo nepalesi, ma anche molti stranieri, soprattutto africani. Molti detenuti sono in prigione per contrabbando. Essendoci così tanti stranieri, la lingua franca perciò era l’inglese. Ora Ngime deve ricominciare tutto daccapo, che si tratti di studi o di carriera lavorativa. Non so bene che domande porre sulle carceri nepalesi, non vorrei essere indiscreto. Quello che apprendo è che anche qui, come in Italia, molti problemi nascono dal sovraffollamento delle carceri. Ci sono il triplo dei detenuti rispetto alla capacità prevista.
Anche lui non ha ancora pranzato, così mi invita in un posto che conosce. Là ci sono ad aspettarlo un suo amico e la sorella, Garin. Prima di tutto però devo trovare un bancqqomat, non ho più un soldo. Provo a fare i conti di quanto mi servirà, ma l’unico bancomat funzionante è in manutenzione, ci vorranno almeno due ore. In tutta Salleri ce n’è solo uno che non ho ancora provato, e con l’aiuto di un tecnico riesco a prelevare e correre indietro da Ngime, dove ormai il pranzo sarà pronto da un pezzo.
Si mangia, finalmente, evviva! Mi portano un gran piatto di riso bianco, con intorno sughi di verdure ben condite, patate e fagiolini. A parte, ci sono una coppetta di carne in umido qe anche i peperoncini verdi, da sgranocchiare. Aggiungo appena un cucchiaio di olio di senape, che è molto forte. Adesso capisco che cosa intendesse Rashap, sulla via di Haldwani, quando mi ha cantato le lodi di quest’olio. È perfetto insieme ai sapori decisi del cibo che si mangia qui, mentre ucciderebbe qualsiasi piatto europeo, a meno di essere aggiunto in dosi minuscole. L’olio di oliva è buonissimo, si può anche bere schietto e si sposa con tutto, ma è corretto affermare che, in confronto all’olio di senape, non sa di niente. Finito il primo piatto, passa il proprietario del locale a distribuire il secondo giro. Buono questo secondo piatto, se ne può avere un terzo? Vi avevo avvertito che ho fame. Ngime paga per tutti e due e poi deve andare a prendere l’autobus, così ci diamo appuntamento di nuovo a Kathmandu, tra qualche giorno.
Ora direi che sono pieno, a livelli da cenone di Natale. Mi appoggio alla parete di legno aspettando di digerire come fa un serpente ce ha ingoiato un cervo intero. Nel frattempo telefono e scrivo. Cala il sole e si avvicina l’ora di cena, sono ancora pieno, ma mangerei di nuovo, che cosa devo fare? La mamma mi esorta a mangiare, ma sono comunque confuso. Mi faccio cuocere sei uova, risolvendo la manche di Salleri con l’aiuto di un assistente di otto anni. Non è facile spiegare il gioco con il mio nepalese scalcinato, ma la semplicità del regolamento può superare qualsiasi barriera linguistica. Questa volta si sfidano Aleot, Max, la Mely, Nico, Ste e Vitto. Il mio giovane avversario invece si chiama Pasan Sherpa, il quale vince con l’uovo Vitto, con ancora l’espressione di uno che non ha capito che cosa stiamo facendo. Pazienza, lo rigrazio e faccio merenda, complimenti Vitto!
“Che cosa vuoi per cena?” Chiede Mingmar Sherpa, il proprietario del locale. Io eviterei di scomodare lui e la cuoca solo per me, inoltre sono proprio curioso di vedere che cosa mangiano di solito. Non sono affatto sorpreso quando mi ritrovo davanti un piatto molto simile a quello del pranzo, con patate e bietole invece che patate e fagiolini. Questo è Il Cibo, perciò quando è ora di mangiare è questo che si mangia, come conferma anche Mingmar. Dice che questa notte posso dormire di sopra, gratis, e per i due piattoni di riso bastano trecento rupie. Costano tanto perché qui comunque i generi alimentari sono costosi, nonostante arrivino in camion invece che portati a spalla. Appena ho finito di mangiare, il peperoncino sta già facendo effetto. È una reazione piuttosto fastidiosa e involontaria, che condivido con mio padre. Quando mangiamo piccante, bisogna che ci soffiamo il naso, pare inevitabile. No, non mangiamo col naso, ma evidentemente i fumi del peperoncino sfiatano da lassù. Sono sufficientemente lontano dall’Azerbaijan e forse è accettabile soffiarsi il naso in pubblico, provo. Quell seduto al tavolo accanto alza gli occhi dal piatto, trapassandomi e sbotta: “Amico, è disgustoso! Sto mangiando!” Dannazione. Niente, immaginavo che fosse una norma legata ai paesi musulmani, ma più probabilmente è valida in tutta l’Asia. Meglio tirare su col naso che fare pernacchie moccolose, posso capire. Quello che non capisco invece accade poco dopo, quando la moglie di Mingmar gira l’angolo della sala per andare a lavarsi i denti. Nonostante la lunga permanenza nel subcontinente, non sono ancora del tutto abituato alle scatarrate di chi si lava i denti. In realtà non si lavano solo i denti, ma tutta la cavità orale dalla laringe in su. Senza contare che vige il rutto libero, che mi fa sempre sorridere. Mi metto il cuore in pace spiegando il disagio degli europei al vicino di tavolo, così almeno facciamo una risata e siamo pari.
Continuo a scrivere fino a tardi sulla panca della sala, mentre la power bank finisce di ricaricarsi. Quando andiamo a letto nel piano di sopra, fuori sta piovendo e io scrivo ancora, tanto il mio compagno di stanza russa bene anche con la luce accesa. Nonostante le mie buone intenzioni, ben presto mi addormento anche io.