Giorno 18 – Aje l’avventuriero

Lezione di ieri: Ti può finanziare letteralmente chiunque, persino gli eserciti nazionali.
Martedì 19/07/2022 Jorsallé (Solukhumbu, Nepal)
Sono pronto già di buon mattino, ma aspetto il toc-toc fino alle sette quando la guarnigione viene a svegliarmi con una tazza di tè fumante. Dipes si assicura che non mi dimentichi di lui e dopo averlo rincuorato mi avvio baldanzoso giù per il sentiero sperando di arrivare al passo di Khari Kola, così domani partirò in discesa.
Il cielo è coperto e ho già perso un’ora e mezza di bel tempo, ma non bisogna pensare a queste stupidaggini quando si è stati trattati da re. Molto meglio pensare alle bande di panda rossi, che potrebbero essere appostati ovunque. Adesso che nessuno mi sente posso ridere di gusto. Ma come gli è venuta in mente questa barzelletta? Terrorizzato, percorro il sentiero a lunghe falcate.
A Phakding, un incontro inaspettato dona un po’ di brio a questa atmosfera nuvolosa. Incontro un escursionista, ma non uno qualsiasi. Si chiama Aje (prononciato proprio age), è indiano e vive in Kerala. Ha pochi anni più di me e porta sulle spalle uno zaino enorme, così pieno che deve tenere la sacca della tenda davanti, a tracolla. Aje è indubbiamente uno di quei pazzi che affrontano i trekking in montagna come se fossero spedizioni polari, cioè in completa autonomia. Inoltre Aje è un autostoppista esperto e secondo lui fare l’autostop in India non è per niente di difficile. Per chi non ha mai provato è facile asserire che per gli indiani è quasi impossibile. Aje ha in mente di percorrere il trekking del Campo Base, ma non può usare la carta di credito a causa di una banale dimenticanza. Esattamente una di quelle stupidaggini che faccio io, capisco perfettamente. Il risultato è che non ha potuto comprare il cibo necessario a Salleri e deve inventarsi un modo per completare il trekking senza soldi. È uno che non molla tanto facilmente, venendo fino qui ha camminato a lungo sotto la pioggia e il giorno dopo si è dimenticato la propria tazza preferita dell’ostello dove si è asciugato. È tornato indietro otto chilometro per riaverla.
“Sai cosa? Hai incontrato il viaggiatore giusto!”
Mentre Aje dice che è a posto e che non ha bisogno, dispongo il mio cibo sul muretto, così che prenda quello che vuole. Finalmente si convince e mi alleggerisce di un paio di chili, io ritorno al razionamento come prima e lui ha qualche speranza in più di completare il trekking. Non so perché, ma quando siamo in difficoltà noi viaggiatori incontriamo proprio le persone giuste. Mentre Aje riempie lo zaino, spunta un raggio di sole. Sopra di noi le nuvole si stanno letteralmente spaccando lungo tutta la lunghezza della valle, ridando vita alla giornata. Mi raccomando con Aje di salutare Chung Yang quando lo incontrerà poco prima di Namche e riparto, leggero e contento.
Dopo le pendenze dei giorni scorsi, il sentiero nella valle è poco più che un falso piano. L’adattamento all’alta quota si sente tutto, quaggiù posso mettere il turbo e superare il bivio per Lukla in un baleno. Strada facendo il cielo si annuvola nuovamente, passo Surke e inizia proprio a minacciare pioggia.
Con tutto l’ossigeno che c’è quaggiù posso raggiungere Khari La in un paio d’ore, ma proprio quando sto per raggiungere la deviazione per il passo, la fine pioggerellina diventa pioggia. Per oggi la camminata è finita, bisogna trovare riparo subito. Non vedevo l’ora che piovesse, sono partito a camminare dodici ore fa e finalmente mi devo fermare.
Balzo giù dal sentiero, tendo la corda stendo e picchetto il telo blu e mentre lego la corda dell’amaca sta già diluviando. Le chiome degli alberi ritardano la doccia di sessanta secondi, ma qualche ritocco alla tensione del telo è inevitabile, altrimenti le falde toccano l’amaca. Forse ho avuto tre minuti in tutto, l’allenamento di questi mesi è servito a qualcosa. Mentre contemplo il nubifragio da sotto il mio tetto, passa qualche nepalese inzuppato con l’ombrello, qualche metro sopra di me. Uno addirittura si ferma senza dire una parola, facendo quel gesto che non vuol dire niente, ribaltando la mano verso l’alto, con le dita aperte a cono. Immagino che sia un gesto di stupore per chiedere spiegazioni, chi sono, dove vado, cosa sto facendo, perché e tutto il resto. Lo immagino perché non ho mai parlato con questa gente, il gesto in sé mi pare talmente generico che non so neanche che cosa vogliano sapere. Se loro sono così ebeti da non riuscire nemmeno a produrre un verso nella propria lingua, perché io dovrei sforzarmi di spiegare un concetto che non capiscono? Il problema è che di solito insistono con quella manaccia e mi fanno venire il nervoso. Tutto quello che posso fare è socchiudere anch’io la bocca e mimare il gesto finché non se ne vanno.
Fa un certo freschino, quindi tiro su la zip del sacco a pelo e mi metto a scrivere, mentre lentamente mi asciugo. La pioggia continua a scrociare sulle foglie, finché vengo interrotto da due giovani passanti, che scendono accanto al mio telo. “Ma perché nessuno si fa i fatti propri su questa montagna?” Dicono di essere dell’esercito, in servizio qui nel parco. Non mi aspettavo che i militari andassero in giro sotto il diluvio in maglietta e scarpe di tela, ma forse sono in borghese. Uno dei due stiracchia i tiranti del telo per infilarsi sotto e mi comunica che non posso stare qui. Non si può perché è pericoloso e ci potrebbero essere le tigri. “Qualcuno qui è stato mai aggredito da una tigre?”, chiedo io. No, nessuno, come pensavo. Poi piove e siamo nel bel mezzo del nulla, dove andremmo, di grazia. “C’è un posto qui vicino a solo quindici minuti.”
“Quindici minuti? Con quest’acqua c’è da bagnarsi anche le ossa. Ma che problemi avete?”
“Pensiamo che tu sia ubriaco.” Se c’è qualcosa che spesso mi costa parecchia forza di volontà è aderire alla mia norma di astinenza dall’alcol quando vado per monti. Accuse come questa sono talmente insensate da risultare offensive. Secondo me sono loro che si drogano. Provo a giocare il jolly, nego tutto e aggiungo ce conosco Dipes, il comandante della guarnigione del parco. Non c’è niente da fare, questi due dementi sono irremovibili e devo smontare tutto. Poi andremo in un albergo e starò la per la notte. Non ho intenzione di pagare un accidente e stavo bene qui, ma neanche questo basta a convincerli. Ripetono che gli sembro ubriaco e restano a fissarmi mentre mi preparo a partire. Arrotolo il sacco a pelo con cura, piano piano in modo che questi due diavoli si bagnino come si deve. Intanto sbuffo come sbuffava Bonni durante le verifiche alle superiori, aggiungendo una trafila senza fine di maledizioni e improperi.
A un tratto fanno una telefonata e mentre sto arrotolando anche l’amaca mi comunicano che posso stare qui. “Non hai paura? Tu senti al sicuro?”
“Certo che mi sento al sicuro, gli animali selvatici quando piove stanno al riparo.” Gli animali selvatici non sono così scemi. Fanno per ripartire, ma uno dei due fa uno scivolone sul fango, infatti è noto che le All Star sono le calzature più adatte per andare in montagna. Così imparano a importunare i campeggiatori.
Poco più tardi viene buio e la mia postazione diventa invisibile, così posso scrivere e poi dormire sonni tranquilli, mentre mi riasciugo dalla seconda lavata che ho preso.

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